martedì 1 marzo 2016

ABBIAMO SOGNATO CHE ERANO FINITE LE GUERRE
E CI SIAMO RISVEGLIATI CON I CONFLITTI ASIMMETRICI

“Il sistema internazionale sta entrando in una condizione di anarchia che non può promettere niente di buono”. Questa l’osservazione che Luigi Bonanate pone a provvisoria conclusione del suo ultimo saggio, Anarchia o democrazia, Carocci editore. Non è difficile seguire il ragionamento di Bonanate: per secoli si è ritenuto che solo all’interno degli stati si potesse evitare la risoluzione violenta dei conflitti, mentre tra gli stati regnava un’anarchia internazionale, che non poteva non suscitare guerre. Nell’89 il crollo del regime sovietico ha dimostrato che si possono produrre clamorosi mutamenti politici anche senza guerre, e questo ha cambiato il paradigma interpretativo dei rapporti tra gli stati. Ma quella mutazione, lungi dal produrre un nuovo ordine, ha prodotto una nuova, e incontrollata, anarchia. Le guerre non sono sparite, ma sono più subdole: spesso sono guerre civili, non vengono dichiarate, possono durare anni, a bassa densità, non si sa nemmeno se e quando finiscano, sono asimmetriche, vedono in conflitto non più gli stati tra loro ma schieramenti internazionali contro nazionalismi esasperati e fondamentalismi religiosi, o almeno contro la volontà di potere e di controllo del territorio che nascondono.
Bonanate ci conduce nell’analisi dell’origine dei conflitti, ed è convincente quando afferma che la bellicosità degli stati è inversamente proporzionale alla loro democraticità. Quando si chiede perché gli USA abbiano condotto guerre insensate e dannose, come quelle in Afghanistan e in Irak, risponde che non basta tenere libere elezioni per avere una democrazia sostanziale, che evidentemente è la democrazia degli USA che ha avuto un periodo di declino, e non il pacifismo democratico. E che la manipolazione dell’opinione pubblica può orientare fortemente in senso bellicista una nazione.
Le conclusioni non sono confortanti. Anche se una ragione per non disperare, dice Bonanate, c’è: è la democratizzazione dei rapporti tra gli stati, che è l’unica strada che può garantire la pace.
Completata la ricognizione scientifica, e quella di Bonanate è impeccabile, credo si debba riflettere su quello che ci riguarda direttamente. Che dobbiamo fare, noi? La persistenza dei conflitti, una volta archiviata la guerra fredda, è  alla base delle nostre insicurezze, del risveglio dei nazionalismi e anche di alcuni rilevanti problemi economici. La drammatica situazione del Medio Oriente è certo in parte dovuta agli errori degli USA e dell’Occidente tutto, ma anche e forse soprattutto alla lotta per il potere in atto tra fazioni e nazioni islamiche. La maggior parte delle vittime sono civili arabi, e l’esodo della popolazione, che si riversa negli stati europei, è un dramma che noi non siamo preparati ad assorbire, ma rappresenta soprattutto un germe di violenza e di instabilità internazionale che può durare decenni, se non di più. Nel Nordafrica le primavere arabe, se si eccettua il caso della Tunisia, si sono dissolte in una guerra civile diffusa o nel rafforzamento di assolutismi e dittature militari. E i conflitti all’interno degli ex stati satelliti dell’URSS, infine, sono lontani dall’essersi risolti.
Per chi ha sognato che la morte delle ideologie e la fine del confronto tra i due blocchi avrebbe aperto un periodo di pace e di benessere, non è un bel risveglio. Credo che anche gli americani si siano convinti ormai che esportare la democrazia formale con le armi non sia una soluzione, specie in paesi che hanno ancora un forte ancoramento a ideologie teocratiche, e che vedono i processi  democratici come una negazione dell’intangibilità delle leggi divine. Bombardare assassini e tagliagole può essere un tentativo di aiutare le fazioni meno violente; ma non è detto, e non ci procura simpatie.
Qualcosa, però, qui e ora, a me pare si possa e si debba dire. A me pare che la difesa a oltranza dei confini nasconda una strisciante tendenza a riaffermare la purezza delle etnie nazionali. Che i muri servano solo a difendere i privilegi del benessere raggiunto per paura di doverlo condividere con rifugiati che non hanno nulla da perdere. E che, mentre la crisi demografica dei paesi occidentali mette a rischio le nostre economie, sbagli chi soffia sulle braci della paura del diverso e del razzismo sotterraneo che riprende vigore.

Non possiamo imporre ad altri la nostra cultura, ma almeno non dovremmo rinunciare alle conquiste morali e culturali che hanno caratterizzato gli ultimi settant’anni di vita dell’Europa. Quella che possiamo opporre, alla preoccupante anarchia di cui parla Bonanate, è una battaglia politica e culturale. Non vorrei che domani, come possiamo fare noi oggi pensando alla miopia della generazione che ha dato credito e consenso al fascismo, fossimo accusati dai nostri nipoti di essere stati ciechi di fronte al rischio di collasso della democrazia europea che avevamo sotto gli occhi. 

                                                                                                          Da "L'Immaginazione", marzo 2016