lunedì 26 giugno 2017

DALLA CRISI SI ESCE SOLO LEGGENDO

Parliamo di lettura. Discorso banale, ma partiamo da lontano. Quali sono i principali problemi del nostro paese? La stagnazione economica, le diseguaglianze sociali, la disoccupazione giovanile, il debito pubblico e l’immigrazione, diranno in molti. Problemi veri, con pesi diversi, ma tutti abitualmente delegati alla classe politica. Curiosamente, però, oltre a lanciare allarmi, né la stampa né i partiti sanno indicare ricette che non siano, stancamente, interventi di tecnica economica. Ma di quale sia l’effettiva origine, in particolare, del fatto che la stasi economica colpisce il nostro paese più della maggioranza degli altri paesi europei,  in realtà, non si occupa nessuno.
Per fortuna ci pensa Giuseppe Laterza, che da tempo studia i dati sulla correlazione tra la cultura e la crescita economica. L’ultima tabella che ha meritoriamente messo in circolazione ci dice che i paesi europei che hanno il maggior tasso di lettura, di istruzione e di ricerca sono gli stessi che hanno maggior crescita, più occupazione e redditi più alti. Bisogna fare attenzione, però, perché molti credono che i dati vadano letti a partire dai fattori economici, immaginando che, se la gente legge, studia e investe in ricerca, è perché è già ricca. Il ragionamento che si deve fare, invece, funziona al contrario: se non siamo ricchi è perché non leggiamo, non studiamo e non facciamo ricerca. E che tutte le ricette per ovviare alla crisi economica sono palliativi. L’unico modo per uscire dalla stagnazione è investire in cultura: produrre conoscenza, promuovere la lettura e convincere anche le aziende a fare ricerca, perché praticamente da noi ricerca la fa solo lo stato.
Vediamo i dati di Laterza. In Svezia, paese al vertice di tutti i parametri, c’è un 90% di lettori, sia pure occasionali. In Danimarca 82%, in Germania 79, in Francia 73 e via calando. In Italia il 56%; e temo sia una cifra ottimistica. Peggio di noi stanno solo Polonia, Bulgaria, Grecia e Portogallo. Non va meglio per la ricerca: in Francia si investe il 5,1% del PIL, in Germania il 2,5. Noi, solo l’1,1%. E per l’istruzione, al vertice c’è la Danimarca, con una spesa dell’ 8,5% del PIL, mentre noi arriviamo solo al 4,1.
Ora ci sarà qualcuno che dirà che Laterza fa il suo lavoro, è un editore, e cerca di convincerci che bisogna leggere di più perché così la sua azienda ci guadagna. Anche se fosse vero, non ci sarebbe niente di male. L’editore è un imprenditore e, se non ci guadagna, danneggia se stesso e gli altri. Il fatto è che la lettura dovrebbe essere un interesse collettivo perché è uno dei parametri che accompagna, e probabilmente produce, la crescita economica. Non è solo interesse degli editori, ma di tutti che in Italia si legga di più. Come si può immaginare che un paese, con la spietata concorrenza prodotta dalla globalizzazione, possa resistere senza cultura, saper fare, originalità di pensiero e intelligenza collettiva?
Immagino che anche qui ci saranno obiezioni: a leggere sono capaci tutti, ma non hanno tempo; escono troppi libri, e costano troppo. Scuse, le ho sentite mille volte. La realtà è che gli italiani, se non leggono, è perché non sanno farlo. Sanno leggere un articolo (non tutti), le istruzioni del telefono (mah, forse quelle neanch’io), ma un libro, un vero libro, di centinaia di pagine, non sono in grado di leggerlo perché non ne hanno mai letto uno. Ora, chi può insegnare agli italiani a leggere? E perché non dovrebbero bastare la scuola, l’abitudine quotidiana a leggere semplici notizie, e la lettura digitale, che negli ultimi anni è cresciuta esponenzialmente?
Nessuno ha la ricetta miracolosa. Certo è che per produrre nuovi lettori dovrebbero impegnarsi tutti: famiglie, scuola, università, mezzi di comunicazione di massa, social media, classe dirigente politica ed economica. Tutti, perché il mancato progresso intellettuale del paese è quello che ne impedisce lo sviluppo economico.
I metodi? Alcuni sono noti, altri si dovrebbero sperimentare. Ma cominciamo da quello che conosciamo: leggere ad alta voce ai bambini, avere in casa più di 100 libri, insegnare a frequentare librerie e biblioteche, far vedere che chi legge non è uno sfigato ma, anzi, ha più successo di chi non legge. Poi ci sono certamente altri strumenti, ma se non usiamo i più rodati, inutile pensare a come svilupparne altri.
Per concludere, se non c’è sviluppo è perché non c’è crescita intellettuale. Non investire nella lettura è suicida. Il prossimo governo inserisca nel suo programma lo stimolo alla lettura, metta all’ordine del giorno qualcosa, anche solo un appello alla nazione perché tutti abbiano qualche libro in casa. E’ scientificamente dimostrato che chi cresce in una casa dove ci sono libri ha il 50% di possibilità in più di avere successo nella vita.

Vale la pena, no? 

                                                                                              (Da "L'immaginazione, luglio 2017)

Nessun commento:

Posta un commento