mercoledì 7 febbraio 2018

COME FAR SCAPPARE 
I BRAVI DIRETTORI DI MUSEI 
E VIVERE  FELICI

Ma possibile che, con tutto quello che ci succede intorno, con i problemi che affliggono il futuro del paese di fronte a una tornata elettorale che lascerà il parlamento nell’incertezza, ci si debba occupare di Tomaso Montanari? Ebbene sì, ci tocca anche questa. Cos’è successo? Che il Consiglio di Stato, supremo organo di giustizia amministrativa, ha messo in mora le nomine di direttori di museo che non hanno la cittadinanza italiana. Non possono difendere istituzioni di rilevante interesse nazionale, dicono i magistrati; e si prendono un po’ di tempo per decidere, anche perché le opinioni, all’interno dello stesso Consiglio, sono divergenti. E Montanari, come  è logico, ha gioito. In un ispirato articolo su Repubblica ci spiega che la legge è scritta male, che Franceschini non sa fare il suo mestiere, o ha collaboratori inadeguati. E che la riforma aveva nominato direttori senza risorse, non provenienti da grandi musei ma anzi, ”figure di secondo o più spesso di terzo piano”.
Poco sotto, come se questo dimostrasse l’assunto, ci informava che il direttore degli Uffizi ha annunciato, a metà mandato, che andrà a dirigere il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Segno, a suo parere, che la riforma non funziona.
Ora qui Montanari deve mettersi d’accordo con se stesso. Se il direttore degli Uffizi, già dirigente di importanti musei in Germania e negli Usa, ha deciso di andarsene a dirigere a Vienna uno dei più importanti musei d’Europa, vuol dire che proprio di secondo piano non era. Né lui, né altri colleghi stranieri chiamati in importanti musei, che tra l’altro vantano un notevole aumento di visitatori e di introiti. Vuol dire, forse, che ha capito che il Consiglio di Stato potrebbe mandar via anche lui, e ha cercato una sistemazione prima che accada.
Ma Montanari dovrebbe anche spiegare perché, se chi non è cittadino italiano non può tutelare le istituzioni nazionali in Italia, questo può succedere altrove. Infatti l’ormai ex direttore degli Uffizi ha diretto l’importante museo di Baltimora e ora va a Vienna, pur essendo cittadino tedesco. Cosa accade? All’estero sono così stupidi da lasciare che gli stranieri gestiscano le loro istituzioni e solo noi italiani siamo così accorti da evitare che pericolosi stranieri si impadroniscano dei nostri musei? Non è, per caso, che la nazionalità non c’entra niente e che quello che vale, in questo caso, è la competenza e la capacità manageriale? A Montanari non va giù che, poiché la Costituzione indica che chi ricopre cariche pubbliche debba “adempiere con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”, questo compito venga affidato a, chessò, un tedesco. Per non parlare della parola “manageriale”, che a Montanari fa venire la pelle d’oca, perché pensa che i musei siano dei centri di ricerca scientifica e che il numero di visitatori non conti nulla. Buffa opinione, per chi si dichiara di sinistra: pensare che i musei siano fatti per un’élite di studiosi e non per le masse. Che stiano a casa, a guardare la tv, quegli ignoranti.
Ecco, la situazione del paese non è allegra, ma questo caso non è estraneo al declino di autorevolezza e competitività che affligge l’Italia. Se non abbiamo capito che siamo in Europa, e non in un paese isolato, che può accadere che un tedesco abbia più disciplina, onore, e magari anche doti intellettuali e manageriali di qualche funzionario italiano, come speriamo di affrontare le sfide della globalizzazione? E se il nostro provincialismo ci porta a pensare che è sempre meglio difendere i burocrati nostrani e non metterli in competizione con le intelligenze che popolano il continente, quando riusciremo a superare l’inerzia e l’inefficienza cronica della nostra pubblica amministrazione? Infine, se a ogni innovazione quelli che si qualificano “progressisti” reagiscono con il rifiuto di ogni novità e la difesa a oltranza dello status quo, che cambiamento potremo mai aspettarci, e da chi? Dai conservatori?

Montanari è un ottimo storico dell’arte. Ma se questa dovesse essere la classe dirigente che aspetta di prendere il posto di chi ha – forse mediocremente, ma dignitosamente - gestito il paese negli ultimi anni, siamo fritti. Dei talebani della cultura, dei fondamentalisti del sindacalismo statalista, dei nazionalisti di estrema sinistra non abbiamo proprio bisogno. Che facciano il loro mestiere, ma evitino di bloccare ogni tentativo di modernizzazione dello stato, per piacere. Ne abbiamo avuti già troppi, di personaggi bizzarri, in posti chiave del paese. Ora vorremmo persone sensate.