domenica 2 dicembre 2018



MA I CRITICI GUARDANO MAI AL PASSATO?

Ma sarà poi vero che i romanzi italiani, oggi, sono tanto peggio di quelli di cinquant’anni fa? Non è la prima volta che Berardinelli si interroga sulla qualità della produzione letteraria di oggi, e si risponde che forse ha ragione Giorgo Ficara nel sostenere che si è perso il contatto con la grande tradizione italiana (l’Avvenire, 9 novembre). Poiché anche a me, qualche volta, vien fatto di pensare che tra i romanzi letti negli ultimi anni non ce n’è uno che meriti di essere ricordato, devo farmi un esame di coscienza. Non sarà che, come tutti gli anziani, riesco soltanto a rimpiangere tempi che mi sembravano migliori perché ero più giovane io?
Mi pare che, a ben pensare, la qualità media della produzione letteraria di oggi non sia poi tanto peggio di quella di una volta: probabilmente di grandi romanzi, di quelli che diventeranno dei classici, se ne scrivono una decina per secolo. E i libri che hanno avuto ampia risonanza negli anni ’60  spesso, se riletti, oggi, risultano molto sopravvalutati. L’esercizio della critica è concentrato sul presente, e raramente effettua ricognizioni nel passato. Facile ironizzare sulla modesta qualità di alcuni dei libri più venduti e più premiati oggi. Credo invece varrebbe la pensa verificare cosa ci dicono, oggi, i premi letterari del passato, i best seller di una volta.
A scorrere i premiati dello Strega ci sono anche tanti titoli importanti: bisogna dire che alcuni sono diventati dei veri classici, come L’isola di Arturo , o Il gattopardo, e che ancora oggi si leggono i libri di Natalia Ginzburg e di Lalla Romano; ma chi si ricorda di La memoria, di Angioletti, Strega del ’49? E chi legge più L’occhio del gatto, di Bevilacqua, (’68), o Allegri, gioventù,di Cancogni (‘70)? E La spiaggia d’oro, di Brignetti, (’71), ha lasciato qualche traccia?
Non va tanto meglio nemmeno per il Campiello. Se di Silone si legge ancora Fontamara, chi ha più sentito parlare di L’avventura di una povero cristiano (Campiello ’68), o di Alessandra di Stefano Terra (’74)?
Non possiamo non riconoscere che il Nobel è andato, a lungo, a personaggi che meritavano effettivamente di essere, per così dire, santificati. Ma se i premiati degli ultimi anni non sono tutti di grande statura, non credo che autori come Mistral (Nobel del 1904) o Eucken (1908), Gjellerup (’17), Benavente (22) o Rolland (‘32) li legga più nessuno. Hanno avuto il loro momento di gloria, un temporaneo successo commerciale, ma oggi credo sarebbero indigesti anche ai cultori della materia. Sembrati imperdibili ai contemporanei, oggi sono spariti, ingoiati dal giudizio del tempo.
Ecco, forse una revisione critica potrebbe rimettere in discussione autori che vengono ancora oggi considerati importanti, ma che sarebbe difficile rileggere. Chi  rilegge Ferito a morte, non può non avere qualche dubbio: la sensazione è che sia stato importante perché innovativo, nel ’61; ma oggi a me pare si smarrisca in un colorismo invecchiato e poco attraente. Mi sembra da rivedere anche il giudizio su Bianciardi, che pure molti continuano a considerare importante. Ho provato a rileggere recentemente La vita agra, e non me la sentirei di raccomandarlo a un giovane di oggi: mi è parso lontano, sopravvalutato.
Forse ha ragione Patrizia Valduga, sull’ultimo numero di questa rivista,che non ne può più dei giallisti. Ma non è facile immaginare se altri libri più “seri” reggeranno l’urto del tempo. Invece Emilio De Marchi scriveva gialli che si studiano ancora. E gli anni non passano per Sciascia, che pure ha usato la forma gialla per alcuni dei più importanti romanzi del ‘900, che ci raccontano ancora oggi la società italiana con un’acutezza incomparabile. Si dirà che la sua lingua è splendida, che aveva capacità di sintesi insuperate. Ma resta che il giallo ha dato e sta dando alcuni scrittori interessanti: il tempo dirà se la loro qualità sopravvivrà al momento in cui il marketing li ha elevati a beniamini di pubblico e critica.
Se c’è una riflessione che questa disordinata ricognizione mi sembra suggerire, è che la critica dovrebbe essere più cauta nello scoprire romanzi indimenticabili: le recensioni spesso tradiscono amicizie e contiguità poco limpide. E soprattutto non può esserci un “più importante scrittore del momento” ogni mese. Sarebbe bello, ma è semplicemente falso, e temo possa indurre giudizi conformistici nei lettori. Nello stesso tempo i giudizi stratificati nel tempo si possono rivedere. Non credo ci si debba vergognare di scoprire che qualche autore molto riverito è in realtà sopravvalutato. Anche perché poi non possiamo lamentarci se gli studenti ai quali vengono consigliati “classici” invecchiati precocemente non si appassionano alla lettura. Rischiare di allontanare una generazione che ha fin troppi stimoli diversi dai libri non è un peccato veniale.
                                                       (DA "l'IMMAGINAZIONE, DICEMBRE 2018)