tag:blogger.com,1999:blog-70318523416207584882024-02-01T21:16:52.284-08:00Bianconigliopiero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.comBlogger71125tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-86036885419603560182021-05-24T03:39:00.000-07:002021-05-24T03:39:00.455-07:00<p> </p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;"><b>LA FANTASIA E’ MEGLIO DELLA REALTA’</b><o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: large;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Quando Pierre Javelin, dipendente <i style="mso-bidi-font-style: normal;">dell’Istituto nazionale per la bellezza e
l’estetica</i>, dopo una giornata passata a vendere cosmetici torna a casa,
scopre che la sua chiave non funziona più, e che in casa sua si è installata una
coppia che sostiene di abitare lì’ da sempre. Quando telefona alla moglie, lei
ha il tempo di dire poche parole e la linea cade. Quando va in ufficio non
riesce a fare la sua firma. Il protagonista della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Città senza cielo</i>, di Jean Malaquais, edizioni Cliquot, ha perduto
la sua identità e non la ritroverà più. <o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Si tratta di un romanzo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">distopico</i>, ambientato in un sistema
chiuso, la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Città</i>, dove le case sono
così alte che non si può vedere il cielo, e dove domina una burocrazia
misteriosa e occhiuta, che controlla tutto. Le persone che Javelin incontra
assomigliano ai personaggi del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Castello</i>
dI Kafka: allusivi e licenziosi, sanno ma non dicono, conoscono i problemi di
Javelin ma o non vogliono o non possono aiutarlo veramente. Lo vediamo
confrontarsi con i nuovi inquilini di casa sua, l’enorme signor Bomba e la
sensuale moglie Kouka, la sua direttrice, l’imperscrutabile signorina Limbert,
il persecutorio controllore Babitch (che non possiede nemmeno una sedia), la
cameriera dell’albergo dove si rifugia, con l’insopportabile nipote Horace e
l’unico essere affettuoso, il gatto Simon.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">In un insensato vagare tra <i style="mso-bidi-font-style: normal;">l’Istituto nazionale di idiosincrasia
applicata</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">l’Istituto nazionale della
calza indistruttibile</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">l’Istituto
nazionale dei sigilli e delle stimmate</i>, uffici che lo accusano di far finta
di essere chi non è, e lo dichiarano inesistente, o morto, Javelin dovrà
accettare che la sua identità è stata cancellata per sempre.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Il libro, uscito in Francia nel 1953,
ha avuto una importante prefazione di Norman Mailer e l’autore, morto nel 1998,
scrive in francese ma è di origini polacche.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Colpisce, leggendolo oggi, il taglio narrativo, vicino a un filone di
fantascienza psicologica che ha avuto un momento di vitalità ma forse è stato
dimenticato troppo presto. Conta che il libro ha sostanza, perché mette insieme
una scrittura affinata e inventiva, lo schema di una società dove vigono regole
incomprensibili e i ritratti di personaggi che hanno rilievo pur essendo, per
certi versi, bidimensionali.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><o:p><span style="font-size: large;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Gli accosto <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il mio nome è mostro</i>, di una giovane scrittrice britannica, Katie
Hale, uscito da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">liberilbri</i>. Anche
questo è un libro che si inserisce in un filone ben preciso: quello dei
racconti del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">dopobomba</i>, in cui pochi
sopravvissuti (qui sono due donne), occasionalmente rifugiati in sotterranei
isolati, abitano un mondo distrutto da una guerra e da un’epidemia che ha
eliminato il genere umano.<o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Se lo schema è noto (basti pensare a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dissipatio H.G</i>. di Morselli), lo
svolgimento invece è originale. Perché la prima parte del libro è scritta in
prima persona da una donna, abituata alla solitudine da sempre, quasi
asessuata, che ha un passato di vera misantropia, con buone doti pratiche e
quindi capace di organizzare la vita alla Robinson, che costruisce lentamente
una parvenza di normalità. Ma la seconda parte è scritta dalla sua Venerdì: una
bambina, una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">enfant sauvage</i>, che è vissuta
senza rapporti col mondo, chiusa in una clinica sotterranea, che conserva solo
vaghi ricordi del mondo di prima. <o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Il racconto è quindi insieme quello della
vita delle ultime due rappresentanti dell’umanità che cercano di arrangiarsi, e
insieme il processo di crescita e di conquista del linguaggio della bambina
selvaggia. <o:p></o:p></span></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 35.45pt; margin-right: 0cm; margin-top: 12.0pt; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Questi due libri hanno
il pregio di essere di facile lettura, ma qualcuno storcerà il naso dicendo che
fanno parte di filoni più o meno fantascientifici, e per di più già molto
coltivati. Leggendoli, però, si ha la piacevole sensazione di essere usciti da
una palude di scritture del tutto sprovviste di fantasia, come sono la maggior
parte dei libri usciti negli ultimi anni, in particolare in Italia. Qui invece
viene affrontata una sfida, quella di lavorare al di fuori del reale, che
merita attenzione. Perché la scrittura che ripete esperienze personali, nel
mondo che viviamo tutti i giorni, anche intense, ma banalmente inserite nel
quotidiano, spesso non riesce a uscire dalla dimensione diaristica. Mentre lo
sforzo di immaginare mondi altri, personaggi del tutto immaginari è, in fondo,
il vero ruolo della letteratura. Perché le narrazioni intimistiche, magari
arricchite con segnali della contemporaneità – messaggi digitali, posta
elettronica – ci parlano di cose che conosciamo molto bene; forse troppo. Ma
raramente mettono in discussione il mondo in cui si svolgono. I libri di cui
parliamo qui, invece, mettono in scena (uno con grande preveggenza) i difetti
di equilibrio della nostra era. E di fronte ai quali la nostra propensione a
coltivare la narrazione intimistica non solo non giova, ma forse finisce per
svolgere la funzione di distrarci dai veri problemi del vivere. </span><o:p></o:p></span></p>piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-81038122527037759052021-05-24T03:28:00.000-07:002021-05-24T03:28:03.691-07:00<p> </p><p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.25pt; margin-right: 56.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 20.15pt;"><span style="font-size: large;"><b>IL
TAPPEZZIERE E LA LEGGE INTERIORE. </b></span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.25pt; margin-right: 56.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 20.15pt;"><span style="font-size: large;"><b>Ovvero: il
delitto non è fatto per i buoni</b></span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.25pt; margin-right: 56.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 20.15pt;"><o:p><span style="font-size: large;"> </span></o:p></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.25pt; margin-right: 56.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 20.15pt;"><span style="font-size: large;">Vi è mai
successo di leggere un libro senza un momento di rilassamento, col fiato
sospeso, presi dall'angoscia che sente il protagonista come se foste voi, senza
avere mai la sensazione che la tensione si allenti, costretti a correre verso
il finale senza smettere di girare le pagine? Be', <i>Money</i>, di Andrea
Kerbaker - La nave di Teseo, 126 pagine, 13 euro – è questo genere di libro. Un
racconto semplice, persino lineare, ma drammatico, ad alta tensione, che
costringe a fare i conti con qualcosa che forse tutti proveremmo, se ci
trovassimo nelle condizioni di Roberto, il protagonista. A lui, tappezziere con
sempre meno soldi di quelli che sarebbero necessari, Vincenzo, un vecchio
conoscente, fa una proposta che non sa rifiutare. Gli deve dare la seconda
chiave di un furgone che sta per consegnare al commissionario che gliene vende
uno nuovo. Cioè usato, ma per lui fin troppo lussuoso. Il furgone, ormai
passato di proprietario, sarà rubato e usato per un'operazione illegale. In
cambio di quella chiave avrà una percentuale sul furto di un'opera d'arte.
70.000 euro, che per lui sono un'enormità.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.25pt; margin-right: 56.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 20.15pt;"><span style="font-size: large;">Noi lettori
siamo già in ambasce durante la trattativa. Roberto è troppo per bene, troppo
ingenuo e anche troppo buono per essere il complice di un delinquente. E già
nelle fasi preliminari dell'operazione vive un'ansia acuta, e noi con lui,
perché sa di non essere alla altezza (cioè alla bassezza) del compito. Ma
naturalmente le cose si complicano, perché i delitti perfetti non esistono, e
mentre Roberto è terrorizzato da inquietanti visite dei carabinieri, interviste
di giornalisti spregiudicati che lo mettono in cattiva luce, l'inchiesta
sull'incidente che ha incrinato la perfezione del piano finisce per sfiorarlo.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.25pt; margin-right: 56.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 20.15pt;"><span style="font-size: large;">Non diremo
come finisce la storia, perché questo è un giallo e senza la s<i>uspence</i>
perderebbe fascino; ma quel che conta è anche altro. Come la descrizione
dell'ambiente in cui vive Roberto, una piccola borghesia italiana tutta parenti
e duro lavoro, segreti e non detti, mogli che devono fare le compere di Natale
e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>figlie insoddisfatte, voglie represse
e illusioni perdute. Ci sono parenti un po' razzisti – i responsabili di tutto
sono sempre extracomunitari! – amici un po' qualunquisti, vicini di casa
(soprannominati <i>i Finestrini)</i> che scrutano abitualmente nelle finestre
di fronte. Come le officine e le botteghe artigiane, oggi sempre in crisi,
disordinate e poco pulite. Come le trattorie dove mangiano con poco i
lavoratori.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.25pt; margin-right: 56.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 20.15pt;"><span style="font-size: large;">Insieme, il
gorgo di angoscia e di rimorso in cui Roberto precipita perché, anche se non ha
responsabilità dirette, sa di essere stato lo strumento con cui un delitto, e
un dramma che ne è conseguito, sono stati consumati. Roberto, e ancora noi con
lui, vive continuamente sull'orlo di un cedimento, di una confessione, di una
ritrattazione. Questo il duro, sanguinoso contenuto del libro, che lascia una
traccia profonda anche in chi delitti non usa compierne. E meno male, perché
per chi non ha il pelo sullo stomaco il mondo dell'illegalità, ci spiega
Kerbaker, può essere una trappola mortale. Magari non per la legge dello stato,
ma per la nostra legge interiore sì.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></p>piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-16113755156164827872021-05-24T03:22:00.000-07:002021-05-24T03:22:07.905-07:00<p> </p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Rileggere Malraux oggi<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><o:p></o:p></i></span></b></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></i></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">“Manuel
prendeva coscienza che la guerra consiste nel fare l’impossibile perché dei
pezzi di ferro entrino nella carne viva”. La nuova, impeccabile traduzione fatta
da Giovanni Pacchiano di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Speranza</i>, di
Malraux, pubblicata da Bompiani, è un utile ripasso di un passaggio storico che
ha avuto molte versioni letterarie, quasi sempre però filtrate da una visione
eroico-agiografica che ne ha tradito la realtà, non sempre limpida. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Raccontare
la guerra di Spagna, vista dalla prospettiva delle brigate internazionali, vuol
dire, in gran parte, spiegare cosa succede quando chi combatte non è stato
addestrato a farlo e non è un soldato. Con i tratti di eroismo e di commovente
slancio ideale che caratterizzano chi è convinto di combattere una guerra
giusta, anche se spesso non capisce bene cosa accade; e con i momenti di
confusione, militare quanto ideologica, che caratterizzano un esercito
raccogliticcio, in parte composto da spagnoli, in parte da stranieri di varie
provenienze e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>varie fedi politiche, e in
parte anche da mercenari. “Chi comanda qui?”, chiede a un certo punto il
comandante Garcìa, un intellettuale, raffinato e ironico, prestato alla guerra
civile; “Chi vuole che comandi?.. Tutti… Nessuno…” gli viene risposto. E al
capitano Hernàndez, uno dei pochi militari di carriera, che osserva che una
barricata è troppo bassa, viene chiesto chi è; “Non sei della CNT [i comunisti
stalinisti]. Allora, cosa c’entri con la mia barricata?”.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ma
la guerra è violenza e morte, e Malraux la descrive con una prosa tumultuosa, a
partire dai convulsi dialoghi telefonici iniziali, in cui le voci dei
falangisti si incrociano paradossalmente con quelle dei miliziani, per arrivare
ad alcuni tra gli scontri più duri, all’assalto con armi inadatte ai carri
armati tedeschi, ai duelli aerei con gli apparecchi italiani, superiori per numero
e potenza allo scombinato stormo dei “pellicani”, gli aeroplani rappezzati alla
meglio comandati da Magnin, l’alter ego di Malraux. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ma
questo “esercizio dell’apocalisse”, che è la spina dorsale del libro, non
richiede riflessioni, perché le battaglie, per chi non sia un esperto, sono la
cosa più difficile da commentare, mentre è la prosa tambureggiante con cui è
descritto che cattura e coinvolge. Mentre insieme ai combattimenti ci sono gli
scontri politici, le gelosia tra le componenti delle milizie, l’autorità dei
commissari politici comunisti e l’inafferrabile indisciplina degli anarchici.
Perché quella di Spagna è insieme guerra e rivoluzione, e contiene durezza
militare e slanci ideali. “Barcellona era incinta di tutti i sogni della sua
vita”. In un clima decisamente anticlericale, in contrapposizione al
clericalismo dei fascisti, ci si propone di permettere di decorare i muri come
una volta si decoravano le cattedrali. “C’è più fratellanza qui, per strada,
che in qualsivoglia cattedrale dall’altra parte”. E il conflitto tra comunisti
e anarchici è sempre aperto: “Un tempo, i nostri erano disciplinati perché
comunisti. Adesso molti diventano comunisti perché sono disciplinati”. Sullo
sfondo, la consapevolezza che si tratta di una guerra che è quasi impossibile
vincere, ma che si tratta innanzitutto di una battaglia di libertà, e che chi
la vive si trova in una situazione di sospensione, come se il tempo di fosse
fermato, perché non c’è altro che quel conflitto, quell’ideale; e la vita
quotidiana, con le sue gioie e il suo tedio, è sospesa fino a nuovo ordine. “La
rivoluzione è una vacanza dalla vita”. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><o:p></o:p></b></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Pure,
questi uomini, che sanno di rischiare moltissimo, vivono momenti di poesia, di
riflessione e di confronto, pur rendendosi conto che la guerra è sempre
tragica, e non permette mai di essere a proprio agio, di vivere
spensieratamente. Manuel, musicista, trovandosi in una chiesa si mette
all’organo e suona il Kyrie di Pierluigi da Palestrina. Ma poi si dice che non
può più suonare. “Credo che per me, col combattimento, sia iniziata un’altra
vita; quanto quella che è cominciata quando per la prima volta sono andato a
letto con una donna. La guerra rende casti”. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><o:p></o:p></b></span></p>
<h2 style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 21.3pt; margin-right: 21.25pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 21.25pt;"><span style="color: windowtext; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; font-weight: normal; line-height: 115%; mso-bidi-font-weight: bold;">E la speranza
del titolo si può rintracciare negli interstizi tra le battaglie, che lasciano
spazio a ritratti originali, come quello di Hernandez, che sarà catturato e
fucilato dai falangisti. “Nella vita tutto può avere la sua compensazione; (…)
Ma la tragedia della morte sta in questo: trasforma la vita in destino, e a
partire di qui niente può più essere compensato”. E il pilota mercenario
Leclerc, che viene sospettato di viltà, e si lancia in un diverbio con Magnin:
“Ti piscio addosso”; “Hai sbagliato”, fa Magnin. “Ti piscio addosso. Sei un
salame legato, una faccia di vacca”. E l’italiano Scali (che pare sia disegnato
sul personaggio di Nicola Chiaromonte), un raffinato storico dell’arte che si
trova a maneggiare armi e soldati e una dimensione di sentimento collettivo mai
provato. “Lei che è l’interprete di Masaccio, di Piero della Francesca, come
può sopportare questo universo?”, gli chiedono. E lui, un intellettuale che è
abituato non solo a spiegare, ma anche a persuadere, risponde: “Gli uomini
uniti allo stesso tempo dalla speranza e dalla passione raggiungono, come gli
uomini uniti dall’amore, territori ai quali da soli non arriverebbero
mai”.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></h2>piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-8146230885897655652021-05-24T03:11:00.003-07:002021-05-24T03:11:24.199-07:00<p><span style="font-size: large;">L'INFODEMIA CI HA VIRTUALIZZATI</span></p><p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 40.25pt; margin-top: 0cm; text-indent: 18.15pt;"><span style="font-size: large;">La pandemia
ha prodotto una messe di <i>instant books</i>; alcuni sono alte ricognizioni
sulle pestilenze, da Omero a Camus; altri sono racconti personali di come si è
trascorso il periodo di clausura, con toni più o meno intimistici; altri ancora
sono profezie su cosa ci aspetta, in tutti i sensi. Ci sono anche opere di
grande qualità, quasi tutte però accomunate dalla caratteristica della
precarietà: sono invecchiate in poche settimane, man mano che la cronaca ci
dava i nuovi contorni del diffondersi della malattia e delle conseguenze che ne
sono derivate.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 40.25pt; margin-top: 0cm; text-indent: 18.15pt;"><span style="font-size: large;">Trovo meno
caduco un volume a firma di Lella Mazzoli e Enrico Menduni,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i>Sembrava solo un'influenza</i>,
sottotitolo: <i>Scenari e conseguenze di un disastro annunciato</i>, Franco
Angeli. Il vantaggio di questo lavoro è che non parla tanto di pandemia,quando
di <i>infodemia</i>. Non è una parolaccia, il termine è già codificato dalla
Treccani: è la “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta
non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un
determinato argomento”. Il volume contiene, in appendice, anche un intervento
di Massimiliano Panarari sulla politica e uno di Giandomenico Celata
sull'economia, ma nella sostanza è una ricognizione su cos'è successo nel mondo
della comunicazione.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 40.25pt; margin-top: 0cm; text-indent: 18.15pt;"><span style="font-size: large;">Il punto di
partenza è che la clausura ha imposto la virtualizzazione di molti dei nostri
atti quotidiani: più uso di moneta elettronica, di <i>smartphone</i> e
computer, e meno negozi, riunioni in presenza, rapporti personali. Con malizia,
si aggiunge, più liti domestiche, meno rapporti extraconiugali e meno
comportamenti illegali. Nel chiuso delle nostre case, siamo passati con
disinvoltura dalla comunicazione mediale (radio, tv, web) a quella sociale (i <i>social
networks</i>). In questo nuovo modello circolare della comunicazione si sono
aperti i confini tra i dispositivi e tutti hanno fatto di tutto, senza
divisioni tra informazione, intrattenimento e dialogo interpersonale. E la
videochiamata, fin qui poco usata e forse anche temuta (chi ha voglia di farsi
vedere spettinato – non è il mio problema - e in pigiama?) è diventata di uso
comune, per riunioni di lavoro, per<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>pranzi famigliari come per lezioni scolastiche e universitarie.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 40.25pt; margin-top: 0cm; text-indent: 18.15pt;"><span style="font-size: large;">Interessante
è sentire la voce dei giornalisti, che col nuovo intreccio comunicativo hanno a
che fare. La parola chiave del nuovo paradigma informativo è la <i>narrazione</i>:
la sete di informazione che è cresciuta negli utenti ha richiesto che tutta la
trasmissione e la ritrasmissione di parole e immagini assumesse la struttura di
una messa in scena, quasi un unico grande spettacolo che ha attraversato
diagonalmente tutti i <i>media</i>. In questo modello il ruolo originale,
naturalmente, è quello svolto dalla rete, anche se per certi versi,
paradossalmente, è accaduto anche che fosse la vecchia tv a colonizzare internet, che ha finito per essere lo strumento di ritrasmissione di quello che
nasceva nei mezzi tradizionali.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 40.25pt; margin-top: 0cm; text-indent: 18.15pt;"><span style="font-size: large;">Il fatto che
molti giornalisti abbiano lavorato da casa (<i>smart </i>vorrebbe dire
brillante, piacevole: non tutti sono d'accordo) ha prodotto una
centralizzazione del lavoro. Senza riunioni in presenza, le procedure si sono
semplificate, ma lo scambio e la dimensione collettiva sono venuti a
mancare. Si vive qualcosa che assomiglia a un tempo di guerra, in cui molte
delle regole usuali sono sospese e l'attenzione si concentra sulla malattia e
sul senso di instabilità che si è creato nel sentire collettivo. In questo,
come abbiamo verificato tutti, il ruolo di scienziati e clinici è stato
cardinale. Mai avevamo avuto una presenza così costante e pervasiva di tecnici
in ogni genere di struttura comunicativa.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 40.25pt; margin-top: 0cm; text-indent: 18.15pt;"><span style="font-size: large;">I nuovi
processi comunicativi, e il continuo ricorso alla ibridazione tra mezzi <i>mainstream</i>
e <i>new media </i>ha messo in luce un certo ritardo professionale. Sono
diventati improvvisamente digitali anche i “dinosauri” della carta stampata:
anche se non sempre c'è stata la competenza necessaria per saper capire e
riconoscere la qualità del messaggio. Leggere la comunicazione digitale
richiede la capacità di filtrare, di verificare i contenuti, e districarsi in
un universo in continua ebollizione non è semplice: né per chi ha cultura ma
non disinvoltura tecnologica né per chi, nativo digitale, ha i mezzi tecnici ma
poco retroterra culturale. C'è di nuovo, in questo quadro, che forse la nuova
alleanza tra i media ha reso di nuovo necessario il ruolo dei mediatori, dei
quali ci si era illusi di poter fare a meno.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 14.2pt; margin-right: 40.25pt; margin-top: 0cm; text-indent: 18.15pt;"><span style="font-size: large;">In
conclusione: quando, e se, la pandemia sarà veramente finita, torneremo alle vecchie
abitudini, alla vecchia organizzazione del lavoro, alla produzione tradizionale
di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>informazione e intrattenimento? Di
solito, non succede. Quando le cose cambiano, piaccia o non piaccia, non si torna
indietro. E nella storia, in effetti, non è mai successo.</span></p>piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-83905692270143305292021-05-24T03:00:00.004-07:002021-05-24T03:00:36.277-07:00<p><span style="font-size: large;">E SE VIVESSIMO IN UN VIDEOGIOCO? </span></p><p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.65pt; margin-right: 58.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 13.8pt;"><span style="font-size: large;">C'è una categoria
di barzellette che comincia con “C'è un aereo con a bordo...” e qui una serie
di personaggi sui quali poi si costruirà la battuta finale. Curioso che in
questi giorni siano usciti due libri – molto diversi – che cominciano proprio
così: c'è un aereo, con a bordo tante persone, che incontra una forte
turbolenza e fa un atterraggio di fortuna. E succede qualcosa di impensabile.
Nel <i>Silenzio</i>, di Don De Lillo, Einaudi, tutti gli strumenti elettrici ed
elettronici, ovunque,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>smettono di
funzionare. Dopo l'atterraggio di fortuna noi seguiamo una coppia che, in mezzo
a una folla smarrita che guarda inutilmente il proprio telefonino muto, raggiunge
a piedi la casa di amici dove doveva vedere una partita. Il resto del libro
parla di come i protagonisti affrontano il <i>black out</i>, delle dinamiche di
coppia, dello smarrimento di fronte alla perdita di strumenti che ci sono
diventati – che lo si voglia o no – indispensabili. Il libretto, 100 pagine di
piccolo formato, è tutto qui. Un po' furbo, perché esce al momento giusto visto
che ci mette di fronte all'inaspettato, come lo siamo stati di fronte alla
pandemia. Ma come spesso accade agli <i>instant book</i> è un racconto freddo,
con personaggi appena abbozzati: una storia senz'anima. Se voleva farci
riflettere su quanto siamo impreparati a rinunciare improvvisamente alla nostra
routine, ci è riuscito meno della reclusione che, a tratti, ha segnato gli ultimi mesi.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.65pt; margin-right: 58.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 13.8pt;"><span style="font-size: large;">L'aereo con cui comincia
<i>L'anomalia,</i> di Le Tellier, La Nave di Teseo, esce malconcio dalla
terribile turbolenza che squassa la fusoliera, fa un atterraggio di fortuna, in
un giorno di marzo, in un aeroporto americano; ma i passeggeri scendono
incolumi. Quello che non va è che, tre mesi dopo, in un giorno di giugno, da
una turbolenza molto simile esce lo stesso aereo, con a bordo le stesse persone
e lo stesso equipaggio; tutti convinti di essersi imbarcati tre mesi prima.
Isolati in una base segreta, studiati da scienziati di ogni branca del sapere,
risultano la copia esatta delle duecentocinquanta persone che volavano sul
primo aereo e che adesso, ignare, si incontreranno con i loro doppioni. Stesse
personalità, stessi ricordi, stesso DNA. I passeggeri di giugno hanno soltanto
tre mesi di vita in meno di quelli di marzo che nel frattempo hanno vissuto,
recitato, amato, partorito; qualcuno si è lasciato con la moglie e qualcuno è
anche morto.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.65pt; margin-right: 58.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 13.8pt;"><span style="font-size: large;">L'idea è forte e
la materia aperta a mille suggestioni. Il racconto da un lato ci mette davanti
ai grandi esperti ai quali Cia, FBI, e Pentagono chiedono una spiegazione
dell'accaduto, e dall'altro alle vicende di chi si deve confrontare con
l'esistenza di un doppio. Poiché si tratta di scrittori, attrici, delinquenti, gente comune, e ogni storia è una storia a sé. Possiamo solo anticipare che il
più fortunato sembra essere lo scrittore di giugno, il cui alterego di marzo,
nei mesi precedenti, ha scritto un libro che ha venduto un milione di copie e
si è suicidato. Senza nemmeno aver dovuto fare la fatica di scriverlo, lo
scrittore di giugno incassa ricchi diritti d'autore e una popolarità enorme.
Gli altri se la caveranno meno bene, anche perché mentre ci sono casi di
giovani sorelle che sono felici di avere una gemella, non tutti hanno voglia di
vivere con una copia di sé che pretende di avere la stessa moglie, la stessa
casa, lo stesso lavoro, e gli stessi soldi e di usare gli stessi vestiti.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.65pt; margin-right: 58.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 13.8pt;"><span style="font-size: large;">Difficile
descrivere le risposte che gli esperti danno all'<i>Anomalia</i>. Naturalmente
ci sono autorità religiose che pensano a esperienze trascendenti e a punizioni
divine. C'è chi ci crede a va a uccidere i doppioni convinto che si tratti
dell'incarnazione del male. Non mancano gli ufologi che immaginano l'intervento
di intelligenze extraterrestri. Un'altra interpretazione è che si sia
verificato un paradosso temporale, dovuto a un piegamento dello spazio, per cui
il secondo aereo sarebbe passato inopinatamente da un continuum spaziotemporale
a un altro. L'idea che prende piede, però, è che il fenomeno sveli il fatto che
la nostra vita non è che un'illusione e che le nostre esperienze, come noi
stessi, non sono che uno scenario ologrammatico prodotto da qualcuno che ci usa
come degli avatar in un videogioco.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.65pt; margin-right: 58.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 13.8pt;"><span style="font-size: large;">Il libro ha
qualche lungaggine, soprattutto nella parte centrale, la molteplicità dei
protagonisti rende la trama un po' confusa e la conclusione – che naturalmente
non anticipo – è criptica. Se però anche questo è un racconto allegorico, e ci
deve far pensare a come, nella pandemia, noi tutti siamo in fondo eterodiretti,
perché la nostra libertà individuale è fortemente limitata, qualche elemento di
ansia ce la trasmette. E se in Francia ha venduto un milione di copie sarà perché ci consola pensare che forse, in realtà, i nostri disagi sono proprio
solo un gioco.</span></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.65pt; margin-right: 58.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 13.8pt;"><o:p> </o:p></p>
<p class="Standard" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 27.65pt; margin-right: 58.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 13.8pt;"><o:p> </o:p></p>piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-42922848124569360862020-10-21T08:50:00.003-07:002020-10-21T08:50:33.406-07:00<p><b>UN'AUTOBIOGRAFIA OBLIQUA </b></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Antonio Franchini ha fatto un gioco
obliquo, pubblicando i racconti raccolti in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il
vecchio lottatore</i>, sottotitolo: e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">altri
racconti postemingueiani</i>, NN editore. Obliquo perché già il sottotitolo è
ingannevole: cosa vuol dire postemingueiano (prendiamo la sua grafia)? Forse
che rifiuta un taglio duro, diretto, come quello <i style="mso-bidi-font-style: normal;">di Acqua, sudore e ghiaccio </i>(per me, uno dei suoi libri più belli)?
Certo, qui ci sono racconti che parlano del sentimento paterno e di memoria di
amici scomparsi. In effetti, abbiamo<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>momenti più lirici, meno “sodi”, rispetto ad altre prove dello scrittore.
O forse che nega la derivazione della sua scrittura dal pragmatismo
nordamericano che ha segnato le sue opere precedenti. Ma una certa dose di
elementi primordiali, di lotta dura, di senso della disciplina sportiva, di
confronto con la natura e di pulsioni primarie restano, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e non marginalmente. Il postemingueiano, a mio
avviso, si può cogliere solo nell’insieme, malgrado i nove racconti raccolti
qui siano apparentemente separati da tematiche e ambientazioni diverse. Il
gioco obliquo, insomma, consiste nel fatto che, raccogliendo storie scritte in
momenti diversi, con ambientazioni lontane e persino una scrittura che cambia a
seconda del quadro rappresentato, l’insieme di questo libro risulta esser una
sorta di autobiografia per immagini, dove ogni racconto sembra disegnare una
fotografia delle diverse immagini che l’occhio dello scrittore ha visto,
metabolizzato e elaborato letterariamente fino a farle diventare un percorso di
vita. Un autoritratto con sfondi variabili.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Uno scenario cubano, percorso da
napoletani in trasferta, con l’immancabile poker, l’inutile tentativo di
pescare i marlin, i daiquiri. Personaggi esagerati, con nomi fiabeschi: lo
Squalo, la scimmia, il Patatino, in una prospettiva in tutto è epico: le
sbronze, le sfide a braccio di ferro, le grasse ragazze tedesche. Fino alla
saturazione: “Quanto deve durare ancora, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">‘sta
strunzata</i>?”. E La conclusione, con la foto ricordo fatta con un marlin
imbalsamato, che sembra vero. “Gli parve di averlo appeso nell’armadio dei suoi
sogni irrealizzati e di essere uscito per sempre dalla vita che davvero avrebbe
voluto per sé”.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Impressionante lo scenario delle
visite alle trincee di Caporetto, con i musei che raccolgono pietosi resti,
rimasugli di vite perdute un secolo fa in una guerra assurda, i recuperanti,
che vivevano raccogliendo residuati bellici, gli esperti che fanno visite
guidate a quello che è una sorta di immenso cimitero senza tombe. Episodi
raccolti, forse sognati, che rianimano questa terra dolente.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">E ancora un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">aficionado</i> della corrida, Ermanno Doris, uomo dedito a pratiche
estinte, che cerca di creare a casa sua un angolo di Spagna, ma che è stato
anche karateka, pittore (di plazas de toros), esperto di spade giapponesi e
scrittore in proprio. Sostiene di dovere la vita all’autore, ma lui non saprà
mai perché. Vede un’affinità tra la corrida e la letteratura: “La tauromachia
resta il massimo esempio , nonostante i trucchi, di una cosa vera e la
letteratura è il massimo esempio in virtù dei trucchi e nonostante i pregi, di
una cosa finta”. Ma in fondo non è nemmeno così. Resta la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">aficiòn</i>, un’innocua follia, “gratuita, inattuale, sfolgorante”.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">L’ultimo racconto della raccolta, che
dà il titolo al libro, è il più tradizionalmente franchiniano. E’ una
“famiglia” – un gruppo – di lottatori, con i loro problemi, perché anche i
lottatori invecchiano e, anche se esistono combattimenti riservati a chi è più
avanti negli anni, possono essere difficili se non patetici. Ma la storia parte
da lontano, dal senso ultimo della disciplina, della logica del combattimento,
del pensiero del lottatore: “Voi non siete rabbiosi, voi non avete sentimenti,
dovete acquisire una mentalità predatoria”. E quando il vecchio lottatore si
chiede perché abbia lottato per tutta la vita, deve dirsi che sono tante. “Per
gloria e per vanto (…), per amore della bellezza e per sfogo del corpo (…) per
abitudine e impossibilità di smettere (…) Le stesse ragioni per le quali ci si
impegna in qualunque altra cosa, le stesse ragioni che, quando mancano,
inducono a buttarla, la vita”.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Quasi un romanzo a sé “Pesca alla trota
in Carnia”, il ritratto di un ragazzo originale, Zanon, “figlio laconico di una
terra ingrata”. Un’amicizia fatta <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di avventurosi
campeggi con pesca subacquea di trota <i style="mso-bidi-font-style: normal;">fario</i>
(caratteristica: ha la pelle punteggiata di pallini rossi), nelle acque gelide
del Tagliamento, con la compagnia di una ragazza bella, apparentemente
spregiudicata, inarrivabile, che però forse ha avuto una storia con Zanon; e
poi viaggi nella Germania del Nord, alla ricerca di organi bachiani, il suo
matrimonio, lo sci, fino a quell’inevitabile distacco che fa perdere per strada
gli amici della gioventù, che si incontrano sempre più di rado. La rivedrà, la
ragazza, vent’anni dopo; sempre bella, meno originale, imborghesita. Di Zanon
sapremo che era diventato ricco, che si era comprato un’isola, che è morto
immergendosi nel Tagliamento. Forse pescava trote <i style="mso-bidi-font-style: normal;">fario</i>. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ma forse il più significativo, quello
che lascia più chiaro il senso di tutto il libro è il primo racconto, Le
leonardiadi, scritto tutto il seconda persona, in cui il protagonista-autore
accompagna la figlia a ujna gara per bambijni, alla fine delal quale anche gli
adulti potrebbero partecipare a ujna corsa campòestyre, cui però l’autore non
parteciperà. “Perché non ha i corso?”, chiederà alla fine la figlia. Ma lui è
un genitore e, per fortuna, non deve correre per vincere.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">C’è, in tutti questi racconti, in
modo diverso ma sempre presente, una malinconia e un senso di morte che fa
pensare ad anni che sembrano spensierati, animati dall’ebbrezza di una
conquistata autonomia, di sfide a grandi cose, ma che hanno in sé qualcosa di
dolente. Il filo conduttore di tutto il libro è l’arrivo della linea d’ombra, quando
quell’esaltazione sfuma nella consapevole responsabilità dell’età adulta. Lì
viene meno la “mentalità predatoria”, e ci si pongono le domande. <o:p></o:p></span></p>piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-45770569348772951632020-07-14T01:55:00.000-07:002020-07-14T01:55:55.971-07:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 20.0pt; line-height: 115%;">Le
ziette: l’altra parte della famiglia<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">“Vado
a casa delle mie zie, perché io una casa non ce l’ho”. Chi parla è Tino
Faussone, il protagonista della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Chiave a
stella</i>, di Primo Levi. Grande e grosso, capace di montare con le sue manone
ponti, tralicci e piattaforme petrolifere, non ha casa e quando, tra un viaggio
di lavoro e l’altro, torna a Torino, va dalle zie. “Sono due zie di chiesa, mi
ricevono nel salotto buono e mi danno i cioccolatini”, spiega a Levi Faussone;
e qui c’è un particolare che fa riflettere. Faussone non dice “due donne di
chiesa”, dice “due zie di chiesa”, e con questo ha aggiunto all’indicazione di
genere una caratteristica che rende uniche queste parenti. Prima che donne,
zie. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">“Cosa
faremo di questo ragazzo?”, si chiede Betsey, l’energica la zia di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">David Copperfield</i>, tipico personaggio
dickensiano, interrogandosi sul suo futuro. “Io gli farei un bagno”, risponde
imperturbabile il signor Dick. La zia Betsey è un tipo che paga regolarmente
l’ex marito perché non si faccia vedere e ha un affittuario, il signor Dick
(nome allusivo? Chissà) che, anche se non viene esplicitato, sembra vivere more
uxorio con la zia. Siamo nella puritana Inghilterra vittoriana, dove già il
fatto che la zia abbia cacciato il marito è del tutto al di fuori dai canoni
sociali borghesi, e che in sovrappiù<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>conviva con un uomo addirittura scandaloso. Ma le zie sono così, e per
questo rappresentano un originale soggetto letterario.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Compaiono
carsicamente, nell’universo letterario, ma sono stelle di prima grandezza. Il
loro compito è obliquo, ma spesso centrale. La Sanseverina, zia vedova di
Fabrizio del Dongo, presa da tumultuosi rapporti sentimentali, sotterraneamente
innamorata del nipote, è un personaggio chiave della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Certosa</i>. Una zia di carattere, anticonformista al limite
dell’incoscienza, volitiva e incurante di norme e convenienze. Tutt’altra cosa
le <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sorelle Materassi</i>, emblematiche di
un mondo di zie tutte casa e parrocchia, che però perdono la testa per il
nipote sciagurato e per amor suo si fanno derubare di tutto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ci
sono, è vero, importanti zii letterari maschi, dal principe di Salina ai paperi
di Disney. Ma non arrivano mai ad avere la peculiarità delle zie. Perché la loro
ironia corrosiva, la volontà di dare ai nipoti strumenti per maturare fuori
dalle convenzioni e per conquistare una visione del mondo capace di
rinnovamento, in conflitto con le tradizioni, rappresenta un formidabile
strumento di progresso etico e sociale. Così per <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Zia Mame</i>, così con<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> In viaggio
con la zia </i>di Graham Green, così con la formidabile <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Zia Julia</i> di Vargas Llosa. Per non parlare delle terribili zie di
Jane Austen: quella di Darcy, in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Orgoglio
e pregiudizio</i> e quella di Fanny Price, in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mansfield Par</i>k, tutte e due usate dall’autrice per dimostrare che
anche le più tenaci e ostinate opposizioni al cambiamento sociale della
modernità non possono che essere sconfitte.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">C’è
un modello di zia che lascia una traccia indelebile nella letteratura moderna e
che giustifica l’idea che il ruolo delle zie, nel romanzo, vada al di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>là della semplice parentela. Perché le zie
sono spesso un surrogato dei genitori, ma con caratteristiche completamente
diverse. Tenere e ingenue, alle volte autoritarie e crudeli, ma anche
coraggiose al limite della temerarietà. Hanno un’autonomia, sociale e
affettiva, che una madre non può avere. E insieme un ruolo di protettrici se
non educatrici che possono esercitare con la libertà che nessun genitore ha.
Non hanno gli stessi patemi delle madri, ma possono esprimere un affetto anche
più caldo e disinvolto. Non devono essere severe, perché non è da loro che ci
si aspetta un’educazione rigorosa, ma possono esercitare una sorta di dominio
sotterraneo che le porta a insinuare nei nipoti il tarlo dell’anticonformismo e
della ribellione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Le
zie della letteratura sono uno strumento per la comprensione dei modelli di
formazione dell’uomo moderno. Un archetipo letterario che lascia il segno:
quando in un racconto compare una zia, tutti solleviamo le sopracciglia,
allunghiamo le orecchie. Sta per succedere qualcosa. Le zie sono grimaldelli
per entrare nelle dinamiche famigliari da una porta laterale, per aprire
prospettive inusuali nei problemi della consanguineità, per guardare con un
prisma che cambia l’ottica dell’osservazione quello che nascondono le
parentele. Le muse di un’umanità in via di sviluppo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Personaggi
formidabili per costruirci intorno un racconto. Tant’è vero che se n’è accorto
anche il cinema, in più di un’occasione, com’è accaduto con le terrificanti
ziette di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Arsenico e vecchi merletti</i>,
che seppelliscono i loro pigionanti in cantina. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Grazie, zia</i>!<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<br />piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-16559549342392221242020-05-23T06:09:00.001-07:002020-05-23T06:09:44.391-07:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">SCRIVERE UN APOLOGO E' UNA SFIDA TEMERARIA</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">L’ultimo Rushdie,
Mondadori,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>450 pagine, si intitola <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Quichotte</i> (Chisciotte alla francese, mah),
e vuole essere un calco moderno e spregiudicato del classico di Cervantes. Parla
di un mediocre scrittore di libri di spionaggio che inventa il Chisciotte moderno
sotto forma di emigrato indiano (dall’India) negli USA, commesso viaggiatore di
oppioidi illegali. La sua Dulcinea è un conduttrice televisiva di successo, tossica,
indiana anche lei. In viaggio verso l’incontro con la bella, Q. è accompagnato
da un figlio immaginario, Sancho, che deruberà la sorella di Q., detta Molla
Umana, e fuggirà, alla ricerca di un’identità reale, in dialogo con il grillo
parlante e una fata turchina sovrappeso. Sullo sfondo, tra l’apparizione di
uomini-mammut, agenti segreti nippo-americani e colloqui con la statua di
Andersen, le vicende dello scrittore; anche lui munito di un figlio agente
della CIA e di una sorella malata. In conclusione, la classica fuga in macchina
attraverso gli Stati Uniti, mentre Q. dialoga con la sua pistola e la bella lo
accompagna verso un sogno di fantasmatici viaggi interplanetari.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Rushdie sa scrivere, il
ribollire di invenzioni riempie il libro e produce la curiosità che porta ad
aspettarsi una conclusione fantasmagorica. Ci riesce. Il rischio di scrivere un
romanzo picaresco, però, ambientato negli USA di oggi, è quello di mettere
insieme pezzi del Mago di Oz, di Lolita e di Philip Dick. E il risultato è sì una
satira di un mondo in crisi, ma chiusa in un ritratto un po’ confuso degli USA
e dell’immigrazione indiana.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Anche <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lo scarafaggio</i> di Ian McEwan, Einaudi,
meno di 100 pagine, si presenta come un apologo della Gran Bretagna della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">brexit </i>e un’allegoria del declino delle
democrazie occidentali. Lo scarafaggio protagonista si insinua al n. 10 di
Downing street e si sveglia nel corpo umano del primo ministro. Sostenuto da un
governo di uomini-scarafaggio come lui, imposta un grande progetto: l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">inversionismo</i>, un capovolgimento delle
regole del mercato. Si paga per lavorare, si viene pagati per consumare. L’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">inversione</i> trova qualche resistenza, che
viene però superata. L’unico ministro non di origine scarafaggesca si deve
dimettere a causa di un finto scandalo che lo mette fuori gioco; e la ritrosia
del parlamento viene superata quando il presidente degli USA (scarafaggio
anche lui) si schiera a favore dell’i<i style="mso-bidi-font-style: normal;">nversione</i>.
Lasciamo al lettore il divertimento di arrivare alla tragicomica conclusione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">In una postfazione, Mc
Ewan dichiara apertamente di essersi ispirato alla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Modesta proposta</i> di Swift, e di voler parlare in allegoria della<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> brexit</i>. “Il più insulso, masochistico e
inconcepibile proposito della storia di queste isole” al quale, con l’eccezione
di Putin e Trump, il mondo guarda con sgomento. Una scelta per la quale ha
votato solo il 37% dell’elettorato. Per descrivere “qualcosa di orrendo” che si
è insinuato nella politica britannica, a Mc Ewan<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è sembrato naturale ricorrere a un’immagine
ripugnante come quella dello scarafaggio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Un ragionamento, per me,
assolutamente condivisibile, come ogni riflessione su quanto questo fenomeno
sia figlio di tendenze sovraniste e di una propaganda fatta di falsità e di
discutibili insinuazioni. E non posso che concordare sul fatto che le tensioni
antieuropee nascondano tendenze autoritarie e<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>antidemocratiche. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">I libri di Ian Mc Ewan e
di Salman Rushdie, però, mi sembrano fallire il loro intento sul piano
letterario. C’è da chiedersi perché, visto che si tratta di due scrittori di talento.
Credo che accada perché la dimensione allegorica è di per sé difficile da
maneggiare, al di là della statura di chi scrive. Diventa facilmente parodia
del racconto romanzesco, non lo sostituisce, e finisce per annoiare perché la
trasparente funzione satirica si esaurisce presto, mentre la narrazione stenta
a coinvolgere perché usa una trama tutta cerebrale, senza emozioni né
sentimento.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Un’ultima annotazione.
Due libri che si riferiscono, fin dal titolo, a due grandi classici, sono di
per sé una sfida temeraria. Don Chisciotte e il suo doppio Sancho hanno certo
ispirato altre narrazioni, ma l’uso che Rushdie fa del personaggio è tutto in
burla, e così perde la sua drammaticità. L’uso che Mc Ewan fa dello scarafaggio
non ha a che fare con il disagio dell’uomo moderno, come in Kafka, ma con il
declino della politica, e anche qui l’emblema si stempera in una visione
grottesca che non raggiunge il lato profondamente umano della metamorfosi di
Gregor Samsa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">A questi due scrittori,
che hanno voluto parlarci della crisi del nostro mondo, sembra essere mancato
lo slancio epico necessario per dire le grandi contraddizioni dell’uomo. Senza
quella dimensione, ogni riscrittura, ogni rifacimento, rischia di diventare un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">divertissement</i>, che lascia un po’ il
tempo che trova.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 28.3pt; margin-top: 0cm; text-align: justify; text-indent: 1.0cm;">
<br /></div>
Da "L'immaginazione", n. 318piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-91941554815195744522020-04-06T09:28:00.000-07:002020-04-06T09:46:25.428-07:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">L'INCANTAMENTO DIGITALE</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">E IL FUTURO DELLA DEMOCRAZIA</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Per un curioso paradosso negli Stati
Uniti, il paese che è sempre stato in prima linea nelle innovazioni
tecnologiche e nello sviluppo dei media, si sono diffuse le critiche più
radicali – e spesso superficiali – dei processi in atto. Non ci ricordiamo
nemmeno più dei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Persuasori occulti</i>,
di Vance Packard, che alla fine degli anni Cinquanta ci metteva in guardia
dalle forme più subdole di pubblicità e pure ha avuto grande diffusione; si
sono persi nel tempo gli studi apocalittici sullo sviluppo della comunicazione
televisiva, come i <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Tre topolini ciechi</i>,
di Ken Auletta; per venire a oggi, è dall’America che vengono i più duri atti
d’accusa al Web e ai suoi effetti, a cominciare da quello di Nicholas Carr, col
suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Internet ci rende stupidi?</i> , per
arrivare a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Proust e il calamaro</i> e il
più recente <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lettore, vieni a casa</i>, di
Maryanne Wolf.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Sono libri che soffrono di un taglio
divulgativo che non si propone tanto di indagare in profondità, quanto di indirizzarsi piuttosto verso una critica superficiale e umorale. Un saggismo
che tiene conto soprattutto delle posizioni tradizionalistiche degli ambienti
accademici, e rappresenta una sensibilità conservatrice, che affonda le sue
radici in una lettura forse un po’ approssimativa della scuola di Francoforte. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Sarà per la solida tradizione
umanistica, che in Italia informa anche gli studi di sociologia della
comunicazione, ma è da noi che, spesso, arrivano i lavori più originali e
aggiornati sui nuovi media. Il più recente è un libro scritto a quattro mani da
Giovanni Solimine e Giorgio Zanchini, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
cultura orizzontale</i>, edito da Laterza. Originalità che inizia dal titolo,
che rappresenta la prospettiva con la quale gli autori guardano al modo in cui
si organizza, oggi, la trasmissione delle cultura e del sapere. Una
trasmissione ad andamento orizzontale, appunto, senza intermediazioni, che ha
obliterato le professioni e le competenze e ha “scardinato il sistema di
accesso alla conoscenza a cui eravamo abituati”. Ma questo è un dato di fatto,
non un giudizio,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e il libro è
un’indagine senza pregiudizi, che parte da un’analisi obiettiva di come è
cambiato il paradigma dei processi comunicativi nell’epoca della comunicazione
digitale, focalizzata in particolare sui comportamenti giovanili. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 1.0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Di fronte allo straordinario flusso
di informazioni veicolato dalla rete, notano gli autori, dobbiamo tener conto
da un lato dell’arretratezza degli intellettuali, chiusi in un sapere
autoreferenziale, e dall’altro di<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>un’alfabetizzazione incompiuta. Malgrado l’alto livello mondiale di
scolarizzazione, l’ignoranza non ha mai esercitato tanto fascino come oggi.
Colpa della rete? Anche, ma anche di una crisi di autorevolezza delle
istituzioni, che non hanno avuto la capacità di cogliere i segnali di cambiamento.
La rete dunque mette a disposizione una quantità di dati finora inimmaginabile,
illusoriamente gratuiti, ma ai quali si arriva spesso in modo non intenzionale,
e non è facile avere gli strumenti per decifrarli, organizzarli e leggerli con
competenza. C’è ancora, dunque, la necessità di mediazione; perché la rete è un
ambito di grande libertà, ma “non predisposto alla parità delle condizioni di
partenza”. E quindi “qualcosa della verticalità rimarrà”, dicono gli autori,
perché acquisire informazioni, di fronte al surplus cognitivo, necessita di un
mediatore, che permetta “una appropriazione controllata delle forme culturali”.
E’ difficile però immaginare chi saranno i mediatori del futuro. Certo non
quelli del passato, e se i giornalisti e gli intellettuali hanno ancora un
ruolo, oggi si trovano in competizione con i nuovi attori della cultura
orizzontale, dagli <i style="mso-bidi-font-style: normal;">influencers</i> agli <i style="mso-bidi-font-style: normal;">yuoutubers</i>, dai<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> bloggers</i> agli stessi potentissimi motori di ricerca.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 1.0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Il libro dà conto, con un’indagine
approfondita, di come la comunicazione digitale sta cambiando i diversi
comparti del consumo culturale: dal libro alla tv, dalla musica al videogioco,
dalla radio al cinema. Le novità più significative mi pare emergano
dall’analisi del modo in cui ci si informa nell’epoca della disintermediazione.
Qui il giornalismo tradizionale si trova a confrontarsi con un sistema
ibrido,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nel quale le notizie possono
arrivare – come anticipato dagli studi di Lella Mazzoli - <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>attraverso la crossmedialità: dai mezzi più
diversi e da fonti spesso non autorevoli, come lo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">user-generated content</i>. E’ un universo in cui il flusso informativo
si mescola con le relazioni dei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">social
networks</i> , in un “circolo narcisistico”, una sorta di conversazione
ininterrotta. Interessante la riflessione sul fenomeno del FoMo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fear of Missing Out</i>, il timore di
perdere la connessione, che produce una sorta di malattia conformistica che
costringe all’iterazione di contatti tra fruitori che condividono gli stessi
interessi e valori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Solimine e Zanchini, pur essendosi
proposti come ambito di ricerca solo le pratiche culturali in rete, con
particolare attenzione ai comportamenti giovanili, ammettono che l’essersi
formati in periodo pre-internettiano fa correre loro il rischio di cadere in
trappole nostalgiche. Malgrado lo sguardo obiettivo, però, la conclusione non
può essere ottimistica. Se è vero, come indicato dagli autori, che “il consumo
critico di informazione rischia di essere un privilegio di minoranze”, l’orizzontalità
può essere un <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fenomeno che “stride con
il pluralismo che la rete propaganda come sua bandiera”, perché non supera il forte
iato tra chi ha e chi non ha gli strumenti per orientarsi nella ridondanza
informativa. Qui il libro ci pone di fronte a un elemento di allarme che è
ricorso a più riprese, in vari contesti, negli ultimi anni: le correlazione tra
l’uso dei nuovi media e la crescente sfiducia nel sistema democratico, nella
politica e nelle istituzioni. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Né è
facile immaginare chi possa presiedere alla riorganizzazione dei saperi e alla
certificazione della veridicità delle informazioni in un universo che rifiuta
la mediazione<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e non riconosce le
competenze. Una preoccupazione che gli autori attribuiscono agli studiosi del pensiero classico: che
l’incantamento del mondo digitale abbia “l’effetto di inibire il processo di
maturazione che avviene nel continente profondo”. Difficile non essere
d’accordo. Il prevalere dello sguardo veloce e superficiale è già in atto. La
rete non cambia solo il flusso della comunicazione; ci cambia dentro, tutti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Mi permetto di aggiungere una mia riflessione.
Mi pare certo è che l’orizzontalizzazione<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>non stia aprendo la strada di una nuova democrazia della cultura, ma che
ci sia il rischio invece che apra due percorsi, uno politico e uno sociale,
ambedue recessivi. Da un lato, con la morte delle ideologie e la crisi dei
partiti tradizionali, sembra farsi avanti – non solo in Italia - una classe
politica fatta di soggetti che non hanno un progetto proprio, ma elaborano opportunisticamente
le proprie strategie elettorali sul modo in cui l’opinione pubblica si aggrega
intorno a sensibilità occasionali, legate a campagne stampa spesso basate su
notizie imprecise se non false. Dall’altro sembra delinearsi un nuovo
tribalismo, costituito da circoli ristretti, concentrati su interessi particolari
e su valori acquisiti acriticamente. Una frammentazione, un processo di
parcellizzazione sociale che non va nella direzione della modernità, ma a spinte
anarcoidi e a un ritorno a fenomeni di rifiuto del principio di responsabilità
collettiva e di delega agli organismi costituzionali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Nel momento in cui dobbiamo proporci
di uscire dalla gravissima crisi prodotta dalla pandemia del coronavirus, abbiamo
bisogno di ripensare in modo profondo i nostri rapporti con le istituzioni e di
elaborare un progetto di società sul quale investire per il futuro. Per farlo,
sarà necessario superare i tribalismi e gli opportunismi, perché l’idea che
tutto possa tornare come prima è illusoria, ma soprattutto pericolosa.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<br /></div>
<br />piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-35821560135727799592020-04-06T09:15:00.000-07:002020-04-06T09:15:14.860-07:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">MANZONI E LA LETTURA: UNA BIRBANTERIA</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Poiché non mi risulta che qualcuno ci
abbia pensato prima, non stupirà, dato il peso che il libro ha nella
costruzione dell’identità nazionale e dell’immaginario collettivo degli
italiani, che ci si chieda che ruolo abbiano, nei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Promessi sposi</i>, la lettura e la cultura in generale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Abbiamo tutti in mente quel
“Carneade! Chi era costui?”, del pavido don Abbondio che legge, ignaro della
burrasca che sta per addensarglisi sul capo, “seduto sul suo seggiolone”, in
“un libricciolo”. Povero prete; il Manzoni non si fa scrupoli nel descriverne
il carattere codardo, ma a ben guardare dovremmo avere un po’ di rispetto per
questo curato di campagna che non sa bene chi sia Carneade, del quale pure il nome “mi par
bene d’averlo letto o sentito”, e almanacca su che tipo di “letteratone del
tempo antico sia”. Perché – ci informa subito dopo l’autore, il curato “si
dilettava di leggere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino, che aveva
un po’ di libreria, gli prestava un libro dopo l’altro, il primo che gli veniva
alle mani”.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ora, a parte questo curioso
metodo di leggere a casaccio il primo libro a disposizione, è bene ricordare
che stiamo parlando di epoca in cui la lettura non era certo abitudine diffusa,
e il fatto che don Abbondio (certo, non aveva altri svaghi) leggesse abitualmente,
ne fa un piccolo eroe dell’aggiornamento professionale. Almeno rispetto a
quanto – a giudicare dalle statistiche – si legge oggi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Del resto veniamo informati che né
Renzo né Lucia né Agnese sono alfabetizzati; sanno a stento leggere lo
stampatello, ma le lettere che si scambiano sono scritte da scrivani e poi
lette da terzi di fiducia, con il risultato un po’ grottesco – tipo telefono
senza fili – che le notizie per strada si aggrovigliano e confondono, finendo
per produrre più confusione che informazione. Né vi è nessuno che, nei lunghi
mesi passati da Lucia nel convento di Monza, si sogni di insegnarle a leggere
nemmeno un messale. Segno evidente che l’idea di alfabetizzare i poveracci non
solo non era obiettivo dei religiosi, ma forse addirittura cosa da evitarsi in
quanto pericolosa e inadatta a un popolo che è bene non si avvicini troppo alla
conoscenza. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">A ben vedere, dopo il cenno a
Carneade, non sentiremo più parlare di libri finché non si arriverà ai capitoli
del rapimento di Lucia. Qui troviamo un cenno al fatto che le opere di carità
di Federigo Borromeo non si limitano al sostegno alla povertà, che “potrebbero
forse indur concetto d’una virtù gretta, misera, angustiosa”, ma arrivano alla
costituzione della biblioteca Ambrosiana, costata cinquecentomila scudi, costituita
mandando in giro per l’Europa e perfino nel Medio Oriente studiosi a
raccogliere il meglio disponibile sul mercato. Una raccolta di trentamila
volumi, quindicimila manoscritti, e studiosi stipendiati per studiare e pubblicare
i testi che<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>poteva suggerire il
materiale a disposizione. Manzoni si dilunga nel raccontarne le meraviglie e
conclude con acume: ”Non domandate quali siano stati gli effetti di questa
fondazione del Borromeo sulla coltura pubblica: sarebbe facile mostrare (…) che
furono miracolosi, o che non furono niente”. Infatti è tentativo inane dare
conto, specie allora, con cifre o dati certi, di cosa produca la presenza di
una biblioteca in una comunità. Ma conclude riflettendo su quanto fosse stata
giudiziosa l’iniziativa “in mezzo a quell’ignorantaggine, a quell’inerzia, a
quell’antipatia generale per ogni applicazione studiosa”. Vien fatto di dire
che si tratta di difetti ancora fortemente radicati nel paese.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Si torna a parlare di libri poco
dopo, quando Lucia viene accolta nella famiglia di un sarto che “è uomo che
sapeva leggere”. Per un sarto, un’originalità, tanto che “passava, in quelle
parti, per un uomo di talento e di scienza”. Le letture del sarto in verità non
sono un gran che: il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Leggendario dei santi</i>,
il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Guerrin meschino</i>, i <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Reali di Francia</i>. Ma questa spolverata
di sapienza ne fa un intellettuale, tanto che, commentando l’apparizione tra i
paesini del lecchese del cardinal Federigo, è il sarto a far sapere che “ha
letto tutti i libri che ci sono, cosa a cui non è mai arrivato nessun altro, né
anche in Milano”. Quando si parla di miracoli. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Si riparla del sarto, dal quale Agnese
e don Abbondio si fermano per “una fermatina”, di ritorno dal castello
dell’innominato, dopo il passaggio dei lanzichenecchi. Nel dialogo tra i due
intellettuali, Manzoni fa dire al sarto, a proposito delle disgrazie occorse,
che “s’ha da far de’ libri in istampa, sopra un fracasso di questa sorte”. Per
farci capire che il sarto, consapevole di essere stato testimone di qualcosa
che ha valore di testimonianza storica, vorrebbe che questa fosse resa
immortale con la pubblicazione di apposite memorie<i>. Excusatio non petita </i>del Manzoni, che ci ha pensato lui, nelle
lunghe pagine precedenti, che descrivono l’invasione barbarica, e ora sta solo giustificando
lo spazio che vi ha dedicato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">So bene che non bisogna mai giudicare
i grandi del passato senza considerare il contesto in cui agivano. Ma le
rarefatte apparizioni di libri e di lettori ci hanno, fin qui, dato la
sensazione che il Manzoni abbia una sorta di visione un po’ elitaria, se non
sarcastica, della possibilità di far arrivare barlumi di conoscenza a chi non
abbia solide basi intellettuali. La citatissima descrizione della biblioteca di
don Ferrante, e della sua misera fine, ne dà un’ulteriore prova. Manzoni
ironizza sul fatto che si fosse rassegnato al fatto che “gli universali,
l’anima del mondo, la natura delle cose non eran cose tanto chiare quanto si potrebbe
credere”. E forse non aveva torto. Ma non si ferma qui, e lo ridicolizza
dicendo che della filosofia naturale s’era fatto più un passatempo che uno
studio, che Aristotele e Plinio li aveva più letti che studiati e via maltrattando,
con bruschi passaggi dalla stregoneria al Machiavelli (“mariolo ma profondo”),
concludendo che aveva titolo di professore soltanto per la scienza cavalleresca
e i codici d’onore. Che poi di fronte al contagio don Ferrante, ritenendo non
trattarsi né di sostanza né di accidente, non prendesse precauzione alcuna e
morisse di peste “come un eroe di Metastasio”, ancora una volta il Manzoni lo
racconta come un fatto umoristico, con un malcelato sogghigno.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Un giudizio, a me pare, assai severo,
considerando che il povero don Ferrante è un autodidatta, vive in un’epoca di
rarefatti scambi culturali, e già il fatto che si fosse imposto di dominare
discipline così distanti ne fa un ardimentoso combattente per la conoscenza.
Che i risultati non fossero straordinari, in fondo, era più che logico. Ma il nostro,
ridicolizzandolo, continua a far filtrare, forse suo malgrado, un’acredine,
tradisce un’alterigia aristocratica cha fa pensare che per lui il borghese, se
proprio non doveva limitarsi ad essere un “vil meccanico”, al massimo poteva
dedicarsi a magnificare la preghiera e la carità cristiana. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Non è da meno la descrizione di come
i sapienti del tempo parlassero di malattie e veleni, utilizzando i libri come
strumento di mistificazione. A partire dai “dotti (… che ) vedevano l’annunzio
e la ragione insieme de’ guai in una cometa”, come dimostrato da un libro, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Specchio degli almanacchi perfetti</i>, che
“correva per le bocche di tutti“; per seguire con le <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Disquisizioni Magiche</i> del Delrio che – e qui forse Manzoni non ha
torto – furono “impulso potente di legali, orribili, non interrotte
carneficine”. “Pescavan ne’ libri, e pur troppo ne trovavano in quantità,
esempi di peste manufatta”, indotta artificialmente, insomma. Della voce del
volgo, conclude Manzoni, “la gente istruita prendeva ciò che si poteva
accomodar con le sue idee; da’ trovati della gente istruita, il volgo prendeva
ciò che ne poteva intendere”. Un giudizio amaro, ancorché, purtroppo, in parte ancora
valido (par di sentire certi insensati allarmi sociali di oggi), sulla difficoltà
di essere intellettualmente onesti, e di essere onestamente informati. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Potremmo dire che un briciolo di
speranza, nella possibilità di accesso alla conoscenza dei poveracci, il
Manzoni ce lo dimostra quando, verso la fine del libro, parlando dei molti
figli avuti dagli sposi, dice che Renzo “volle che imparassero tutti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a leggere e a scrivere”; ma mi pare che si
tradisca un po’ anche qui, quando lo fa concludere dicendo che “giacché c’era
questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro”. Birberia,
l’alfabetizzazione! Ma santo cielo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 49.55pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Un dettaglio, per concludere. Quando
don Abbondio viene incaricato di andare a recuperare Lucia al palazzo
dell’innominato, deve montare una mula. Pavido come sempre, il nostro si
informa se la bestia sia quieta. “Si figuri”, risponde l’aiutante di camera che
lo fa montare, “è la mula del segretario, che è un letterato”. Spiegazione non
sorprendente, rivelatrice dell’atteggiamento diffuso per la cultura, e non solo
nel ‘600: saper di latino non coincide col saper cavalcare. Insomma: natura e
cultura, ci ammonisce Manzoni, raramente vanno d’accordo.<o:p></o:p></span></div>
<br /><br />
da "l'IMMAGINAZIONE", MARZO 2020piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-49174642539896813512020-01-28T06:58:00.001-08:002020-01-28T06:58:15.609-08:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Aiuto, sono in ritardo: non mi ero accorto </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">che i festival culturali sono l'oppio dei popoli</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Cosa si intende per cultura, a cosa
serve, e chi e come la trasmette? Sono domande legittime, visto che le risposte
cambiano col cambiare dei mezzi di trasmissione del sapere e dei valori
dominanti. Goffredo Fofi ha scritto in proposito <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’oppio del popolo</i>, pubblicato da Elèuthera: un pamphlet molto
polemico, nel quale nota come oggi ”di cultura come originalità del pensiero e
delle opere ben pochi parlano”, del fatto che gli <i style="mso-bidi-font-style: normal;">opinion makers</i> hanno un ruolo nefasto per la democrazia e l’intelligenza
dei nostri connazionali tornati ad essere – secondo Fofi – “una plebe
indistinta”; e ancora dell’impossibilità di difendersi dalla stupidità, del
fatto che non esiste più una coscienza collettiva e che siamo diventati tutti
una “piccola borghesia generica, succube, condizionata e oppressa”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Un allarme che in parte sento anch’io,
basato su un’analisi parzialmente condivisibile. C’è però, nel libro, una
vivace contestazione delle manifestazioni che si sono diffuse negli ultimi
anni, e in particolare dei festival culturali
e delle “capitali della cultura”. Per Fofi si tratta di occasioni di
autopromozione per assessori alla cultura che hanno solo l’interesse di
divertire, semplificare e rincuorare. “Banchetti a base di canzonettisti,
teatranti e scrittori”, un minestrone il cui l’ultimo ingrediente è la politica,
“che non renderà certo migliori le nostre città e più giusti i loro abitanti”. E
se la cultura, si chiede Fofi, non fosse altro che “lo strumento privilegiato
del dominio, lo strumento di cui il potere si serve per asservirci, per farci
accettare l’inaccettabile?”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Qui Fofi non lo seguo. Perché anche
se festival e capitali culturali possono certo essere strumentalizzati da
amministratori beceri, fatti con fini commerciali e con personaggi mediocri, sono
convinto che se anche uno solo di chi vi partecipa ne trae spunto per un
pensiero, per un desiderio di approfondire un problema, per un desiderio di
leggere un libro che altrimenti non avrebbe letto, sono comunque qualcosa che
serve a noi tutti.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Vale, in questo senso, la
lettura<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cielo e soldi,</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il giornalismo
culturale tra pratica e teoria, </i>di Giorgio Zanchini, Aras editore<i style="mso-bidi-font-style: normal;">. </i>E’ un libro in cui l’autore raccoglie
l’esperienza di sette edizioni del Festival del giornalismo culturale di
Urbino, Pesaro e Fano, che dirige assieme a Lella Mazzoli, che è anche la
prefatrice del volume. E salta subito agli occhi, leggendolo, come un festival
possa essere anche uno strumento per documentare e monitorare<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il mondo della cultura del nostro paese, una
sorta di incontro annuale per mettere a punto un’indagine su come cambia il
rapporto tra produzione culturale e comunicazione, e su come i mezzi incidano
sui messaggi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Comincio dalla seconda parte del
volume, in cui Zanchini fa una ricognizione attenta ed esaustiva dei territori
del giornalismo culturale in Italia. Una mappa precisa, utilissima per capire
come si stiano modificando le terze pagine (dove esistono ancora), si sviluppino
i supplementi dei quotidiani, come cambiano le trasmissioni culturali
televisive - oggi concentrate soprattutto in canali dedicati - e di come in
rete si sia sviluppata una variopinta tessitura di siti di cultura. Una
trasformazione profonda, che vede anche una fertilizzazione incrociata dei
mezzi. Se è vero che i quotidiani perdono copie, è vero però il loro pubblico
coincide con quello dei consumatori forti di cultura, che le loro versioni <i style="mso-bidi-font-style: normal;">on line</i> crescono e che i contenuti dei
giornali spesso entrano in vario modo nella rete. E anche le trasmissioni
televisive, che pure i giovani non guardano, hanno ancora la capacità di
stimolare grossi numeri di consumatori culturali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Quella che pare evidente è la crisi
della forma-recensione, spesso sostituita –tanto sulla carta che in tv e in
rete – da interviste, segnalazioni brevi o recensioni “non affidate a critici
di professione, più impressionistiche che meditate”. Pezzi, conclude Zanchini,
“che non permettono nessuna vera elaborazione del pensiero critico”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Torno qui alla prima parte del libro,
nella quale l’autore dà conto del dibattito che ha animato il festival negli
anni. Fondamentale, a questo punto, è la messa in discussione degli
intermediari, la marginalizzazione delle competenze. La crisi del giornalismo
culturale tradizionale può essere arrestata? Può esistere un nuovo modello di
intermediazione? E la crisi in atto non è forse lo specchio della parallela
crisi delle strutture politiche e sociali? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 21.3pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Andiamo verso una sorta di
“autocomunicazione di massa”, e “I processi lenti di acquisizione dei saperi
faticano a resistere” si osserva. Vero. Ma forse dobbiamo chiederci: esistono
processi di acquisizione del sapere che non siano lenti? Questa, forse, la vera
domanda, e da qui la scommessa se il giornalismo culturale può avere un futuro.<o:p></o:p></span></div>
<br /><br />
Da <i>L'Immaginazione</i>, gennaio 2020piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-90327642991388566672020-01-14T01:41:00.001-08:002020-01-14T01:41:32.961-08:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">ANCHE LA POESIA PUO' SALVARCI LA VITA</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Può sembrare un paradosso pensare che
Dante, oggi, possa salvarci la vita. Ma a ben pensarci non soltanto è vero, ma
è un’affermazione che sottende un complesso ordine di ragionamenti che è molto
opportuno affrontare. Lo fa, con sistematicità, Enrico Castellli Gattinara nel
suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Come Dante può salvarti la vita –
Conoscere fa sempre la differenza</i>, Giunti editore. Parte, l’autore,
dall’idea diffusa che la poesia non abbia poteri che vadano al di là
dell’intrattenimento culturale: non cura le malattie, non spegne incendi, non
ripara ponti. E in caso di pericolo di morte, nessuno sarebbe così pazzo da
chiamare in soccorso un poeta. Insomma, apparentemente la poesia non serve a
niente. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Castelli Gattinara comincia
ricordando quello straordinario capitolo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Se
questo è un uomo</i> in cui Primo Levi racconta come, nell’orrore del campo di
sterminio, di fronte alla richiesta di Pikolo, il suo compagno di prigionia
francese, di insegnargli un po’ di italiano, a lui venga in mente di recitargli
il canto di Ulisse. E di come lo sforzo di ricordare Dante, di spiegarlo al suo
compagno, per un momento lo strappi dalle regole assurde del campo, dall’essere
sempre sospesi a un filo, dal fatto che la vita del lager riduce l’uomo a
un’istintualità primitiva, senza vera coscienza di sé, abbrutito fino al punto
di non sapere più cosa si è. Ecco, nell’inferno di Auschwitz Dante, quel “fatti
non foste a viver come bruti”, può strappare alla tentazione di lasciarsi
sopraffare dalla violenza che distrugge innanzitutto la dignità umana. Può
salvare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Castelli Gattinara continua la sua
ricognizione andando a cerare gli esempi in cui la musica, la lettura di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Pinocchio</i>, l’arte, lo studio siano
strumenti che possono sollevarci dalla disperazione, dall’isolamento, dallo
smarrimento. Succede che chi organizza un’orchestra nella situazione degradata
del Venezuela riesca a sottrarre<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>al
richiamo della manovalanza malavitosa giovani che altrimenti non avrebbero
nessun modo di sottrarsi al reclutamento criminale; chi coinvolge in
un’animazione teatrale, partendo da Collodi, ragazzi africani già preda dei
trafficanti di droga riesca a fargli trovare una via d’ uscita dalla
marginalità; che la fotografia, la pittura, il cinema siano tanti agganci al
mondo dell’espressione umana che, proprio perché immateriale, può salvare dalla
violenta materialità di mondi che non lasciano libertà di pensiero e di
speranza di costruzione di un futuro sereno.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Se praticare le arti è un modo di
accedere alla conoscenza, se dà cognizioni e sapere, può salvare. E non salva
solo chi vive situazioni di gravissimo disagio, i deportati e i reietti; salva
chiunque rischi di essere, come chi è stato privato della dignità umana, senza
capacità di scelta, di conoscenza, di autonomia del vivere le esperienza del
mondo e di farne la base per un pensiero critico ed analitico. Riguarda tutti,
e in particolare i giovani che studiano. Castelli Gattinara ha provato a
chiedere ai suoi studenti adolescenti cosa fosse la cosa più importante per
loro. “Su 100 studenti, motivati e interessati, intelligenti e partecipi,
nessuno ha scritto una parola che avesse anche minimamente a che fare con la
cultura”. Ed è importante la sottolineatura: non ragazzi apatici, svogliati e
indolenti: studenti motivati e intelligenti. L’esperienza dell’autore dice che
molti ragazzi amano la lettura e si appassionano alla scrittura. Ma quando ne
parlano tra loro non accettano che questi siano valori significativi. Le cose
importanti sono la famiglia, gli amici, l’amore. Non la poesia. E un libro, sì,
può salvanti la vita: ma solo se ti trovi su un’isola deserta e hai tra le mani
un manuale di sopravvivenza.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Castelli Gattinara, parlando di Primo
Levi, ricorda che nel lager venissero chiamati “musulmani” (nessun riferimento
all’Islam) i prigionieri che perdevano dignità e capacità di reagire, voglia di
vivere e di lottare. I primi a cedere e ad essere destinati alla camera a gas.
Credo che il suo libro voglia farci riflettere sul fatto che, anche se non
viviamo in un lager e nessuno di noi rischia di essere ucciso per un abominevole
progetto di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sterminio, si possa
diventare “musulmani” anche oggi, in un mondo libero. Si possa perdere il
coraggio di un pensiero autonomo, si possa cedere al conformismo di massa, si
possa rinunciare al principio di solidarietà, alla difesa della dignità umana.
Basta lasciarsi andare alla corrente. Non accettare la lezione della poesia,
della letteratura, delle arti. L’assenza della cultura, nel progetto di vita
dei giovani è un segnale preoccupante. Senza l’aspirazione alla conoscenza ci può
esser solo il valore dell’istinto e del possesso. E purtroppo se ne vedono i
segni.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Insomma, credo che dobbiamo convincerci che anche
oggi, nella battaglia per un mondo più giusto, Dante può salvarci la vita.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 42.45pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<br /></div>
da "L'immaginazione", dicembre 2019piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-59738678442783809132020-01-07T00:45:00.003-08:002020-01-07T00:45:39.138-08:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Come arrivai a conquistare la Capanna Nera<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Il ricordo delle nevi
di una volta, si sa, è sempre favoloso. E infatti, mentre calavamo verso
Corvara, dalla macchina<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che scendeva da
passo Campolongo ricordo di aver visto, affascinato, due muraglie altissime,
quasi si fosse miracolosamente aperto un varco in una enorme massa di neve,
come per Mosé al passaggio del Mar Rosso. E certo, di neve ce n’era proprio
tanta, negli inverni degli anni '50. Ma le giornate di quel primo anno sugli sci sono
state radiose, il sole faceva sciogliere la neve sul tetto, e nella mansarda
della scalcinata pensione in cui alloggiavamo un catino raccoglieva l’acqua che
sgocciolava dal soffitto malandato. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Tempi difficili,
c’erano pochi soldi, negli anni del dopoguerra; ma i miei genitori non
avrebbero rinunciato allo sci per nulla al mondo. Così ci si doveva adattare:
stanze umide, cibo scarso (brodini, fettine di carne trasparenti, qualche
patata) e ai piedi sci e scarponi ereditati da amici più grandi. Gli scarponi,
di vecchio cuoio, malgrado fossero stati debitamente unti di grasso di foca, si
bagnavano dopo una sola ora d’uso. Gli sci, provvisti dei mitici attacchi
Kandahar, con molla posteriore, erano dei legnacci marrone senza lamine che –
poiché la plastica non era ancora stata inventata – avevano come soletta una
mano di vernice rossa, alla quale la neve fresca si attaccava tenacemente. Dopo
i primi tentativi, durante i quali sotto gli sci si erano formati degli zoccoli<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che non permettevano di muovere un passo, ho
capito che l’unica era di infilare velocemente gli attacchi e cominciare a
muovere freneticamente gli sci avanti e indietro, in modo che lo zoccolo non si
formasse.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Addosso avevo dei pantaloni di lana niente
affatto impermeabile; per difendermi dai rigori invernali indossavo una giacca
a vento di semplice cotone impermeabilizzato, ma sfoderato. Sotto, una serie di
maglioni che mi facevano quasi sembrare in carne, mentre allora ero (da non
crederci) di una magrezza scheletrica. Alle mani, delle manopole di lana, e
sopra delle manopole di cotone cerato (per così dire). L’insieme da un lato mi
infagottava, rendendo faticoso ogni movimento, dall’altro era talmente inadatto
al contatto con la neve, che dopo la prima caduta mi ritrovavo bagnato da capo
a piedi e tale restavo fino al ritorno alla pensione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Facevo parte di un
gruppetto di bambini, tutti principianti e un po’ imbranati, affidati alla
pazienza angelica di un maestro di nome Karl. Più che una scuoletta di sci, era
un asilo infantile; e più che imparare lo sci da discesa, imparavamo ad usare
gli sci come mezzo di trasporto.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Il
primo giorno, se ricordo bene, lo abbiamo passato in una zona di perfetta
pianura, imparando appunto a non permettere che si formasse lo zoccolo sotto
gli instabili pezzi di legno e a non cadere per semplice mancanza di
equilibrio. Poi è arrivato il campetto: bisognava salire a scaletta una decina
di metri di dislivello e scendere, in pochi secondi, a spazzaneve. Solo dopo,
con appositi paletti, abbiamo imparato lo spazzaneve a curve che, senza lamine,
devo dire, risultava un esercizio piuttosto impervio. Ricordo di essere
riuscito, a fine corso, ad accennare a un cristiania a sci quasi uniti: un
trionfo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Una volta acquisiti i
principi fondamentali, è arrivato il grande giorno: siamo andati in gita verso
Colfosco. Breve discesa con pendenza irrisoria, salita poco faticosa, sosta,
discesa e risalita fino alla pensione. Oggi si direbbe sci di fondo. Per noi, un’avventura
indimenticabile.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Familiarizzati con lo
sci “da passeggio”, siamo stati iniziati allo skilift. Ce n’era uno solo, a
Corvara, a quel tempo; del resto c’era anche una sola seggiovia, e gli adulti,
quando si erano stufati di fare su e giù per il Col Alto, mettevano le pelli di
foca e andavano al Chertz o verso il Gardena.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Ma era uno skilift primitivo. Non c’era un attacco a molla, e il traino
avveniva con una T di legno attaccata a una catenella, che veniva agganciata
direttamente al cavo di acciaio dell’impianto. La partenza avveniva con uno
strappo violento, e prima di riuscire ad adattarmi devo essere caduto una
decina di volte, dopo pochi metri. Ma anche dopo aver capito come reggere allo
strappo iniziale, cominciava una sorta di tortura. C’erano punti in cui, per
l’ondulazione del terreno, il cavo era tropo alto, per cui, essendo troppo
piccolo per toccare terra, decollavo, appeso alla breve catenella. Mi trovavo
sospeso da terra, in equilibrio instabile e cadevo rovinosamente nell’atterraggio.
In altri punti il cavo scendeva raso terra, mi passava praticamente tra gli
scarponi, il legno sgusciava da tutte le parti. Era quasi impossibile mantenere
l’equilibrio, e nel tentativo di non perdere il traino tutto si risolveva in
una caduta e in un patetico trascinamento raso terra finché non riuscivo a
liberarmi della maledetta T di legno.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Devo dire che non ero
nemmeno il più incapace, e che i miei compagni di corso di solito finivano i
tentativi di risalita tra urla e lacrime che il paziente maestro Karl asciugava
con un apposito fazzolettone confortandoci in tedesco, che per fortuna capivamo
abbastanza bene, perché allora si usavano governanti austriache.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">E’ stato solo all’ultimo
giorno di quella prima, gloriosa settimana di addestramento, che siamo arrivati
tutti, senza cadere, alla fine dello skilift. E da lì, con una risalita un po’
a scaletta e un po’ a spina di pesce, abbiamo finalmente raggiunto una meta
ambitissima, il nostro primo rifugio: la Neger Huette, la Capanna Nera, luogo
dalle mille delizie. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Oggi i bambini che fanno
scuola di sci, alla fine della settimana bianca fanno una garetta e vengono
premiati tutti senza distinzione, mentre i genitori filmano la competizione con
i telefonini, tra annunci di altoparlanti che magnificano i tempi di discesa.
Noi, più modestamente, ma con uguale se non superiore soddisfazione, l’ultimo
giorno siamo trionfalmente arrivati alla Capanna Nera, e abbiamo avuto un
premio ineguagliabile: una meravigliosa cioccolata calda con la panna.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<br /><br />
da "In Alto", Soc. Alpina Friulanapiero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-6242698046306203282019-11-23T02:40:00.001-08:002019-11-23T02:40:23.402-08:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 18.6667px;">IL GIALLO, O DELLA CENTRIFUGAZIONE DELLA REALTA'</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Capita di sentir dire, periodicamente,
che di gialli ce n’è troppi, che non se ne può più, che sul giallo si è detto
tutto e che non c’è nulla da aggiungere. Poi, puntualmente, si scopre che la
letteratura gialla, come tutta la letteratura, ha sempre qualcosa di nuovo da
dirci e noi non abbiamo che da impegnarci a scoprirla.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Adelphi sta meritoriamente
ripubblicando tutto Sciascia, e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il metodo
di Maigret</i> è, appunto, una raccolta di saggi sul giallo che risulta
illuminante. Sciascia, negli anni ’50, parte da un atteggiamento dubbioso, che
nel tempo va modificandosi: forte consumatore di gialli Mondadori, all’inizio non
ritiene che abbiano altro che la dignità di un prodotto di consumo. Pensa anzi
che tendano a snaturarsi con un eccesso di violenza gratuita e una propensione
a riempitivi erotici che ne definiscono una deriva deteriore. Sa però che i
buoni giallisti hanno appreso la lezione di Stevenson e di Conrad, di Melville,
Proust e Kafka. E insieme sa che Faulkner e Cain hanno preso molto dal giallo,
e che Hemingway e Graham Green devono qualcosa a Hammett. L’idea che in realtà
tutta la grande letteratura abbia spesso preso spunto da stimoli polizieschi
porta Sciascia a pensare al furto della mandria di Ercole, nell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Eneide</i>, o al metodo – poliziesco – della
follia di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Amleto</i> nella sua indagine
sull’assassinio del padre, e così via. A questo punto Sciascia arriva ad
apprezzare anche quello che definiamo il giallo commerciale, e scopre che “assume
la realtà quotidiana del delinquente che misteriosamente opera e della società
che da esso si difende” e che la tecnica specifica del romanzo poliziesco è la
“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">centrifugazione</i> della realtà”. Magnifica
intuizione, perché è vero che il giallo comprime in un romanzo quello che,
nella nostra vita quotidiana è generalmente diluito in tempi lunghi. Così
facendo, però, ci costringe e prendere contatto col male. E qui Sciascia arriva
pensare che, in fondo, quella dimensione un po’ gratuita dell’eccesso di delittuosità
della realtà del poliziesco sia qualcosa che, in altri tempi, “si manifestava
con il sentimento del sacro”. Un’altra fantastica intuizione: pensare che la
proliferazione del racconto giallo altro non sia che la sostituzione del racconto
mitico, della tragedia greca, del confronto con il destino mortale che accompagna
la coscienza dell’uomo dalle origini del pensiero simbolico ad oggi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Non posso qui riassumere tutte le
intuizioni di Sciascia, ma val la pena arrivare alla sua lettura di Simenon e
del metodo di Maigret che, per Sciascia, è “un uomo che si affida alla
conoscenza del cuore umano e alle istantanee intuizioni”, e che coglie
“nell’esitazione di un gesto e nell’arredamento di una stanza più verità che
nelle impronte digitali e nelle perizie balistiche”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 12.0pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Un’osservazione che ci porta a un altro libro che di giallo
parla, sia pure con altra prospettiva. E’ <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La
versione di Fenoglio</i>, di Gianrico Carofiglio che è, sì, una serie di casi
gialli; ma anche una riflessione sui metodi di indagine e sugli strumenti
analitici che hanno gli investigatori. Carofiglio li mette in bocca al suo
maresciallo, e i casi che si susseguono, assieme alla vicenda del rapporto che
il maresciallo instaura con un giovane, rendono particolarmente accattivante la
lettura. Ma quel che voglio sottolineare qui è che anche il maresciallo
Fenoglio, come Maigret, indaga più con la riflessione psicologica che con la
tecnologia. “Le indagini ben fatte <i style="mso-bidi-font-style: normal;">devono
</i>contenere sbavature: sono sinonimo di genuinità”, dice. Si deve procedere
per aggiustamenti progressivi. Ed è un errore, trovato un sospetto, passare
subito alle conclusioni. Anche perché, se ci si fissa su uno schema, questo può
produrre una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">cecità selettiva</i>:
un’illusione logica. Le indagini non sono procedure lineari, perché tutti, in
qualche modo mentono, anche quando credono di essere sinceri. E non esiste un
trucco magico che consenta di smascherare le bugie. Quello più originale può
essere quello di ripercorrere una testimonianza a ritroso, partendo dalla fine:
difficile non contraddirsi, se si sta mentendo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ricalcando Poe, Fenoglio spiega che
alle volte un’indagine coglie nel segno perché, invece di cercare indizi, ne
scopre uno mancante. Fedele alla logica della ricerca scientifica, Fenoglio
ritiene che per provare davvero una congettura si debba sforzarsi di demolirla;
e che solo se resiste al tentativo di falsificarla è davvero utile a spiegare
ciò che è accaduto.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>E che l’importante
non è avere certezze, ma dubbi. Non credo di esagerare se dico che riflettere
sulle indagini è come riflettere sulla vita. Su come dovremmo confrontarci con
il nostro vissuto, con i nostri fallimenti, con la nostra visione del mondo.
Tutte prospettive che dovrebbero passare al vaglio di un tentativo di
demolizione; alla ricerca di un pezzo di verosimiglianza.<o:p></o:p></span></div>
<br /><br />
(da L'IMMAGINAZIONE)piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-44450122221796412622019-11-23T02:35:00.001-08:002019-11-23T02:35:18.758-08:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">PAROLE PESANTI E OPINIONI LEGGERE</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">“Le parole sono importanti”,
protestava Nanni Moretti di fronte alla vaghezza espressiva di giovani della
penultima generazione. Lo sono ancora.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>E’ successo, poco tempo fa, che un capo politico, in una dichiarazione
pubblica, si sia espresso così: “dirò ai miei deputati e ai miei senatori di
fare…”. Quell’uomo non stava parlando dei suoi compagni di partito. Voleva affermare
esattamente quello che ha detto, e cioè di esser il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">proprietario</i> di uno schieramento parlamentare, che per lui evidentemente
non era fatto di esseri pensanti ma di suoi famigli, suoi scherani. Un capo,
che dà ordini a un esercito uso a obbedir tacendo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Al di là del partito politico in
oggetto, del fatto che affermazioni del genere non suscitano nessuna reazione,
né di stupore né di indignazione, e questo già preoccupa, credo che quella
espressione, per isolata che sia (ma non lo è), abbia un significato che va al
di là della brutalità ormai consueta del gergo politico attuale. Mi pare tocchi
un paio di problemi, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">culturali,</i> che
sono stati, sì, oggetto di dibattito, ma in modo, a me pare, confuso e un po’
superficiale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Uno è quello sull’opportunità di definire
o meno chi fa politica oggi<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> fascista</i>.
Seri studiosi si sono impegnati a ricordarci che per fascismo si intende un
modo di gestire la cosa pubblica, con la deriva sociale, economica e culturale
che, a suo tempo, ne è conseguita. E naturalmente, vista l’obiettività di
questa osservazione, dobbiamo ammettere che nessun movimento politico, oggi,
potrebbe essere definito fascista. Però ci si è fatti beffe anche di uno
scritto sul fascismo di Umberto Eco dove, come spesso faceva, parlava con lieve
divertimento di cose serissime, e dove sosteneva esservi una matrice fascista
che si può riscontrare nei comportamenti umani, che stava alla base dei valori
del fascismo mussoliniano. Dunque, c’è anche qui un problema di uso del
linguaggio. Se diamo del fascista a chi, essendo un conservatore un po’
arrogante , bellicoso e poco incline a riconoscere il valore del
parlamentarismo democratico, esageriamo? Per non essere imprecisi dovremmo –
come suggerisce qualcuno – parlare di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">postfascismo</i>,
o <i style="mso-bidi-font-style: normal;">neofascismo</i>? Oppure bisogna
ricordare che è da quel tipo di valori che il fascismo ha avuto origine? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">A me pare che, in questo caso, non ci
si debba perdere nel nominalismo. E’ bene definire fascista chi aborrisce le
istituzioni democratiche e tradisce una vocazione autoritaria. Se non lo si fa,
si finisce per accettare che la sua cultura politica abbia un valore
accettabile per tutti. Se no, rischiamo di dimenticarci che i parlamentari non
sono proprietà di un capo, ma rappresentano, ognuno per sua responsabilità
personale, i propri<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>elettori e quindi la
nazione.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">C’è un altro termine che, negli
ultimi anni, è diventato oggetto continuo di polemica e di aggregazione
ideologica: è il rifiuto nei confronti delle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">élites</i>. Anche qui l’uso della parole è discutibile, ma soprattutto
impreciso. Con chi se la prendono i movimenti e i loro capi che ricordano in
continuazione che le <i style="mso-bidi-font-style: normal;">élites</i> hanno
rovinato il paese? Molto difficile capirlo, tanto che sembra trattarsi
fondamentalmente di puro<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>strumento di
propaganda: si inventa un nemico, ancorché inesistente, gli si dà un nome che
suona plausibile e si va all’attacco. Penso che sia importante riflettere su
questo, che è ancora una volta un problema culturale, perché tutti i movimenti
autoritari hanno costruito la loro fortuna inventando nemici immaginari, dando
loro la parvenza di un’entità segreta e pericolosa che lavora nell’ombra contro
gli interessi di un popolo. Dai tempi dei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Protocolli
dei savi di Sion</i>, il meccanismo è stato usato ripetutamente, e con
efficacia. Tempo fa un leader politico continuava a chiamare i suo i elettori a
combattere il pericolo comunista, mentre i comunisti erano spariti dalla scena
politica italiana ed europea da un pezzo. Oggi il pericolo sono le <i style="mso-bidi-font-style: normal;">élit</i>es. Ma quali? Le<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> élites</i> economiche, finanziarie, quelle politiche (cioè gli stessi
che ne stigmatizzano l’esistenza ), le <i style="mso-bidi-font-style: normal;">élites</i>
intellettuali (ormai senza potere), i giornalisti (mentre i lettori dei
giornali stanno sparendo) o quelle degli apparati della comunicazione
digitale?<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Penso che dietro questa fantasiosa costruzione
propagandistica ci sia qualcosa di pericoloso, e cioè l’idea di mettere in
guardia gli elettori nei confronti di chi, avendo competenze, può imporre loro
qualcosa di spiacevole. Un economista che spiega che, se non si pagano le tasse,
non si hanno più servizi; un medico che dice che, senza vaccini, c’è il
pericolo di epidemie; un intellettuale che dice che, se la collettività non
studia, non legge, non si informa non è consapevole.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ecco, qui il vero problema culturale.
Un’onda emotiva che dice che chi più sa più ti danneggia. Ecco perché le <i style="mso-bidi-font-style: normal;">élites</i> fanno paura. C’è il rischio che
dicano la verità.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"> <span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(Da l'Immaginazione)</span><o:p></o:p></span></div>
<br />piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-4092208117759011782019-03-07T08:32:00.000-08:002019-03-07T08:32:40.410-08:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">BATTIATO, LA LETTERATURA </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">E LA GRANDE SFIGA GIOVANILE</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Curioso, però, che Battiato abbia lasciato
segni tanto significativi in diverse generazioni di giovani. Ma se ne trovano
tracce diffuse, e questo dovrebbe pur dire qualcosa, visto che si tratta di un
cantante che è stato anche un poeta e – al seguito di Sgalambro - un po’ un
pensatore, di taglio mistico-esoterico. Lo cita Enrico Brizzi, nel suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Tu che sei di me la miglior parte</i>
(Mondadori), quasi a dare un segno interpretativo a un racconto tutto in presa
diretta, senza riflessioni né valutazioni morali. La storia è quella di un
gruppo di amici, raccontata dall’infanzia a una gioventù senza maturazione, con
i passaggi dai primi turbamenti del protagonista, molto ben inserito in una
famiglia tanto disordinata quanto sincera, fino a una spirale di devianza e di
conflitti, un po’ di sesso e qualche momento di violenza.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">I piccoli cannibali crescono, e dai
tempi di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Jack Frusciante</i> qualcosa è
cambiato, ma la chiave del narrare di Brizzi rimane fondamentalmente la stessa.
Se le vicende sono rese con una partecipazione affettuosa e ironica, la
sostanza resta quella del diffuso filone della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Grande Sfiga Giovanile</i>. Un modello narrativo che va
dall’autocoscienza dei gruppi di compagni di scuola fino al girovagare senza
meta di chi, finita la scuola, si è ritrovato senza né sogni né desideri, in un
mondo che permette di sopravvivere e persino di fare esperienze, ma non di
vivere autenticamente. Succede anche ai protagonisti di quest’ultimo libro, che
seguiamo con simpatia nella loro lenta discesa verso il nulla, pieni di
baldanza giovanile e fragile ingenuità. I primi amori, la scoperta del sesso,
la voglia di avere e di essere, lo sballo, soldi facili, qualche sosta in
carcere, il distacco e la negazione di valori consunti.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Credo che Brizzi abbia descritto,
ancora una volta, con precisione e partecipazione, i riti di passaggio della
sua generazione. A me però sembra che resti ancorato a una visione quasi
estatica di un vuoto di contenuti. Quasi che i suoi protagonisti non avessero
nessuno strumento per interpretare la realtà, come invece ogni
generazione non può evitare di produrre.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La traccia di Battiato che usa
Francesco Piccolo, invece, sta proprio nel titolo del suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’animale che mi porto dentro</i> (Einaudi), ma il modello narrativo è
tutt’altra cosa. Qualcuno parlerà di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">autofiction</i>,
ma a me pare più evidentemente un’autobiografia. Piccolo non prende mai
distanza dal suo racconto, parla sempre e solo di sé, senza né falsi né veri
pudori, e senza che la trasfigurazione letteraria trasformi l’esperienza
personale in narrazione romanzesca.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Anche qui abbiamo un racconto di formazione,
dall’infanzia ai primi turbamenti sentimentali e alle prime esperienze erotiche,
fino a un’autoanalisi, che si vuole spietata, del proprio essere incapace di
uscire da un’educazione violenta e dall’abitudine a vivere gli impulsi e i
condizionamenti del “branco”. Tutto il libro è una descrizione dell’impossibilità
di superare lo stereotipo del comportamento virile, del cinismo e della animalità
nella visione del sesso e del senso di appartenenza a un mondo fatto di
bullismo, prevaricazione, menzogna e brutalità. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Non si può non leggere con
partecipazione la descrizione di una crescita segnata dalla vita della
provincia meridionale, da un padre violento, da aggressività incontrollata
nello sport, da acne adolescenziale, da ansia di integrazione alle bande giovanili,
fino all’esibizione delle conquiste femminili e ai rapporti sessuali come prova
di forza. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Piccolo intervalla la descrizione
della propria impulsività con le esperienze estetiche:<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Malizia</i> di Samperi, il Sandokan di Salgari, il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Padrino</i>, il fumetto di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lando</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Amore senza fine</i> di Zeffirelli, Houllebecq e la canzone napoletana.
Sono intermezzi che descrivono il Piccolo-protagonista come uomo capace di
proiettare il proprio io nei canoni della narrazione popolare e nel consumo
della cultura di massa. Se si supera l’imbarazzo per il fatto che la parola
c….o ricorre con una frequenza quasi superiore a quella delle congiunzioni, se
ne trae un ritratto forse sincero, ma corrucciato e inquietante di come anche
l’intellettuale più esercitato all’uso di strumenti di analisi psicologica
possa avere difficoltà a controllare impulsi primordiali. Ed è curioso come,
proprio nella descrizione di questo machismo incontrollato, lo
scrittore-protagonista guardi a se stesso con un sentimentalismo quasi
altrettanto ingenuo e compiaciuto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La sensazione è che neppure Francesco
Piccolo sia sfuggito al canone della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Grande
Sfiga Giovanile</i>, ma l’abbia fatto redigendo un’autobiografia di voluta spudoratezza
e – nel suo caso - di esibito autocannibalismo. E lascia il dubbio che le
autobiografie dovrebbero essere consegnate a un tempo futuro, in cui esperienze
e veemenze siano state elaborate e metabolizzate fino in fondo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><o:p><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"> Da "L'immaginazione", marzo 2019</span></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<br /></div>
<br />piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-81528650969651266832018-12-02T09:08:00.002-08:002018-12-02T09:08:27.884-08:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; tab-stops: 42.55pt; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">MA I
CRITICI GUARDANO MAI AL PASSATO?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ma sarà poi vero che i
romanzi italiani, oggi, sono tanto peggio di quelli di cinquant’anni fa? Non è
la prima volta che Berardinelli si interroga sulla qualità della produzione
letteraria di oggi, e si risponde che forse ha ragione Giorgo Ficara nel
sostenere che si è perso il contatto con la grande tradizione italiana
(l’Avvenire, 9 novembre). Poiché anche a me, qualche volta, vien fatto di
pensare che tra i romanzi letti negli ultimi anni non ce n’è uno che meriti di
essere ricordato, devo farmi un esame di coscienza. Non sarà che, come tutti
gli anziani, riesco soltanto a rimpiangere tempi che mi sembravano migliori
perché ero più giovane io?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Mi pare che, a ben
pensare, la qualità media della produzione letteraria di oggi non sia poi tanto
peggio di quella di una volta: probabilmente di grandi romanzi, di quelli che
diventeranno dei classici, se ne scrivono una decina per secolo. E i libri che
hanno avuto ampia risonanza negli anni ’60 <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>spesso, se riletti, oggi, risultano molto
sopravvalutati. L’esercizio della critica è concentrato sul presente, e
raramente effettua ricognizioni nel passato. Facile ironizzare sulla modesta
qualità di alcuni dei libri più venduti e più premiati oggi. Credo invece
varrebbe la pensa verificare cosa ci dicono, oggi, i premi letterari del
passato, i best seller di una volta. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">A scorrere i premiati
dello Strega ci sono anche tanti titoli importanti: bisogna dire che alcuni
sono diventati dei veri classici, come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’isola
di Arturo</i> , o<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Il gattopardo</i>, e
che ancora oggi si leggono i libri di Natalia Ginzburg e di Lalla Romano; ma
chi si ricorda di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La memoria</i>, di
Angioletti, Strega del ’49? E chi legge più <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’occhio
del gatto</i>, di Bevilacqua, (’68), o <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Allegri,
gioventù</i>,di Cancogni (‘70)? E<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> La
spiaggia d’oro</i>, di Brignetti, (’71), ha lasciato qualche traccia? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Non va tanto meglio
nemmeno per il Campiello. Se di Silone si legge ancora <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Fontamara</i>, chi ha più sentito parlare di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’avventura di una povero cristiano</i> (Campiello ’68), o di<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Alessandra</i> di Stefano Terra (’74)?<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Non possiamo non riconoscere
che il Nobel è andato, a lungo, a personaggi che meritavano effettivamente di
essere, per così dire, santificati. Ma se i premiati degli ultimi anni non sono
tutti di grande statura, non credo che autori come Mistral (Nobel del 1904) o
Eucken (1908), Gjellerup (’17), Benavente (22) o Rolland (‘32) li legga più
nessuno. Hanno avuto il loro momento di gloria, un temporaneo successo
commerciale, ma oggi credo sarebbero indigesti anche ai cultori della materia.
Sembrati imperdibili ai contemporanei, oggi sono spariti, ingoiati dal giudizio
del tempo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ecco, forse una
revisione critica potrebbe rimettere in discussione autori che vengono ancora
oggi considerati importanti, ma che sarebbe difficile rileggere. Chi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rilegge <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ferito
a morte</i>, non può non avere qualche dubbio: la sensazione è che sia stato
importante perché innovativo, nel ’61; ma oggi a me pare si smarrisca in un
colorismo invecchiato e poco attraente. Mi sembra da rivedere anche il giudizio
su Bianciardi, che pure molti continuano a considerare importante. Ho provato a
rileggere recentemente <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La vita agra</i>, e
non me la sentirei di raccomandarlo a un giovane di oggi: mi è parso lontano,
sopravvalutato. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Forse ha ragione
Patrizia Valduga, sull’ultimo numero di questa rivista,che non ne può più dei
giallisti. Ma non è facile immaginare se altri libri più “seri” reggeranno
l’urto del tempo. Invece Emilio De Marchi scriveva gialli che si studiano
ancora. E gli anni non passano per Sciascia, che pure ha usato la forma gialla
per alcuni dei più importanti romanzi del ‘900, che ci raccontano ancora oggi
la società italiana con un’acutezza incomparabile. Si dirà che la sua lingua è
splendida, che aveva capacità di sintesi insuperate. Ma resta che il giallo ha
dato e sta dando alcuni scrittori interessanti: il tempo dirà se la loro
qualità sopravvivrà al momento in cui il marketing li ha elevati a beniamini di
pubblico e critica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Se c’è una riflessione
che questa disordinata ricognizione mi sembra suggerire, è che la critica dovrebbe
essere più cauta nello scoprire romanzi indimenticabili: le recensioni spesso
tradiscono amicizie e contiguità poco limpide. E soprattutto non può esserci un
“più importante scrittore del momento” ogni mese. Sarebbe bello, ma è
semplicemente falso, e temo possa indurre giudizi conformistici nei lettori.
Nello stesso tempo i giudizi stratificati nel tempo si possono rivedere. Non
credo ci si debba vergognare di scoprire che qualche autore molto riverito è in
realtà sopravvalutato. Anche perché poi non possiamo lamentarci se gli studenti
ai quali vengono consigliati “classici” invecchiati precocemente non si
appassionano alla lettura. Rischiare di allontanare una generazione che ha fin
troppi stimoli diversi dai libri non è un peccato veniale.<o:p></o:p></span></div>
(DA "l'IMMAGINAZIONE, DICEMBRE 2018)piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-53945578168352318192018-10-20T09:58:00.003-07:002018-10-20T09:58:56.323-07:00<br />
<div style="border-bottom: solid windowtext 1.0pt; border: none; margin-left: 1.0cm; margin-right: 56.65pt; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-element: para-border-div; padding: 0cm 0cm 1.0pt 0cm;">
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">LA RETE E’ NATA PER EVITARE IL RIPETERSI
DELLE <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">TRAGEDIE DEL ‘900 E NON ME N’ERO ACCORTO<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Che il Web sia la più importante
rivoluzione del nostro tempo è indiscutibile. Quali siano le ricadute che ha
prodotto sulla nostra vita non è facile né descriverlo né capirlo fino infondo.
E’ quindi utile il lavoro che Alessandro Baricco ha fatto con il suo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Game</i>, uscito da Einaudi: descrive la
lenta invasione del digitale, dipinge un dettagliato quadro dell’esistente e
cerca di ragionare sugli effetti prodotti fin qui.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Passando dal primo gioco
elettronico (i ”marzianini”) al Commodore 64 per arrivare alle macchine più
moderne, Baricco individua alcuni temi significativi: la rivoluzione digitale
ha significato innanzitutto il tramonto delle mediazioni, ha creato una sorta
di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">oltremondo</i>, un universo parallelo
nel quale viviamo una vita diversa da quella che avevamo senza connessioni. La
colonizzazione digitale ha esaltato la superficialità contro la profondità, la
velocità contro la lentezza, il semplice contro il complesso, la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">post-esperienza</i> (quella fatta
nell’ambiente digitale) contro l’esperienza tradizionale. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">A patto di non sentirsi respinti da
un periodare prolisso e ammiccante (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Voilà</i>,
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">una bella fava di niente</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">credo che andrò ad aprirmi una birra, sono
egoriferito: e allora?</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">che palle</i>,
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">non fate quella faccia, fidatevi</i>
ecc.) <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e dall’uso disinvolto di
terminologia inglese, come se non avessimo termini italiani altrettanto utili,
a cominciare dal titolo (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">tool</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">skill</i>, <i>d</i><i style="mso-bidi-font-style: normal;">evice</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">storytelling</i> ecc.),
il libro è una ricognizione utile e competente. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Meritano una riflessione alcune
intuizioni, per così dire, teoriche. Baricco parla della rivoluzione digitale
con un entusiasmo che non lascia spazio a dubbi: è la dimensione nella quale ci
sono, potenzialmente, più libertà, informazione, autonomia individuale<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e conoscenza di quanta l’uomo non abbia mai
avuto. E’ verissimo. Per Baricco questo ha prodotto la consapevolezza che “il
parere di milioni di incompetenti è più affidabile di quello di un esperto”, con
la conseguenza che “si è fatta largo la convinzione<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che si possa fare a meno delle mediazioni,
degli esperti, dei sacerdoti”. Ne è nato “un pianeta a trazione diretta, dove l’intenzione
e l’intelligenza collettive diventano azione senza dover passare da autorità
intermedie”. E questo ha visto nascere <i style="mso-bidi-font-style: normal;">un’umanità
aumentata</i>. Interessante, anche se la
nascita di intelligenze collettive presuppone una capacità di analisi e di
riflessione che la rete – e in particolare la superficialità che Baricco
giustamente ne considera un portato fondamentale - difficilmente sollecita.
Certo invece che, al termine di questo processo, accade quel che lo stesso Baricco
osserva: “L’uomo esperimenta una vita in cui è riuscito a fare a meno dei
sacerdoti. (…) La trova bella. Ne trae <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una rinvigorita concezione di sé”. Questo
è un punto nevralgico, che però è difficile far passare per intelligenza collettiva
e umanità aumentata. E’ il fenomeno per cui, eliminati i “sacerdoti”, con
rinvigorita coscienza del sé, si può decidere che i vaccini non servono a
niente, che le scie chimiche sono pericolose e che l’uomo non è mai andato
sulla luna. Tutte idee in circolazione, non c’era bisogno della rete perché esistessero.
E’ la loro diffusione che lascia sgomenti. Più che intelligenza, una tendenza
al delirio collettivo, questo sì aumentato, con progressione geometrica, dalla
rete. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Nell’ultima parte Baricco individua
alcuni problemi: “Il Game si rivela esser un habitat difficile, faticoso e
selettivo”, nota, e per questo la rete
ha prodotto nuove élite, potenti come quelle di prima. Spesso amplifica zone di
irrazionalismo perché la pancia prevale sul cervello. E “Non tutti sono uguali
davanti al Game” perché la rete non ha ancora prodotto anticorpi che frenino lo
strapotere dei grandi monopoli (Google, FB, You Tube ecc.) e di chi li sa
sfruttare.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Analizzando il ruolo avuto dal
connubio tra il Movimento 5 stelle e la digitalizzazione ammette che,
nell’anomalia dell’alleanza con la Lega, è prevalso, oltre all’odio per le
élite, l’inclinazione per un egoismo di massa. Pensando al fatto che la
globalizzazione sembrava aver superato barriere e confini: “Può un processo di
liberazione disorientare talmente gli umani da spingerli a tornare, volontariamente,
nelle gabbie?”, si chiede. Eh già, può, certo che può. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Suggerisce, infine, che la rete
abbia bisogno di iniezioni di umanesimo, per continuare a sentirsi umani (e non
perdersi nella post-esperienza); e temo sia verissimo, ma chi gliele può fare,
queste dolorose iniezioni? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">C’è un tema ricorrente, dall’inizio
alla fine del libro, che personalmente mi lascia perplesso. Baricco sostiene
che i “padri fondatori” del web erano gente che “stava evadendo da un secolo
che era stato tra i più orribili della storia”, che l’orrore di Auschwitz
deriva dai valori delle élite e che “c’era una casa in fiamme da abbandonare di
corsa”; che volevano uscire da un passato rovinoso e che “si può comprendere il
Game solo se si tiene conto del principale scopo per cui è nato: rendere impossibile
la ripetizione di una tragedia come quella del ‘900”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Io qui proprio non lo seguo. Qual è
la casa in fiamme? La Comunità europea, nata 70 anni fa proprio perché non si
ripetessero gli orrori della storia? E le élite responsabili chi erano,
i fascisti e i nazisti? Non li definirei élite, ma capipopolo che facevano leva
sui peggiori istinti popolari. Oppure erano le élite intellettuali che li hanno
combattuti, dal carcere e dal confino?<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>E
chi sono i “padri fondatori” del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Game</i>?
Jobs, Zuckerberg, che della guerra mondiale e dei suoi orrori non hanno sentito
che echi lontani? A me pare che il fatto che la rete abbia reso inutili le
intermediazioni e “messo fuori gioco i sacerdoti“ non sia il presupposto del
lavoro dei “padri”, ma la conseguenza. E, soprattutto, siamo certi che i “padri”
avessero un progetto ideale? Lo stesso Baricco riconosce che erano imprenditori
che volevano innanzitutto fare i soldi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ho la sensazione che questa idea
che la rete, meravigliosa occasione mancata di democrazia della conoscenza, sia
nata per evitare gli orrori del ‘900, serva a darle una vernice nobile,
immaginando che sia figlia di grandi ideali invece che di semplice
utilizzazione di tecnologie usate a fini speculativi. E che si debba dare
credito a quella che Baricco chiama la “seconda resistenza”, la riflessione di chi
individua nella rete uno strumento che, invece di allargare la conoscenza, l’ha
progressivamente limitata a élite ancora più chiuse, ma senza potere. E che
quello di cui dovrebbe liberarci la tecnologia digitale è invece proprio quello
che sta producendo: un ritorno al nazionalismo, alla chiusura dei confini, ai
muri, all’odio per il diverso, al fanatismo collettivo e a forme di
intolleranza per chi non la pensa come la maggioranza. Quello che, in una
parola, era la sostanza ideale dei fascismi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="border: none; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; mso-border-bottom-alt: solid windowtext .5pt; mso-padding-alt: 0cm 0cm 1.0pt 0cm; padding: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Questo a me pare sia il terribile
pericolo che la rivoluzione digitale rischia di produrre. Questo l’elemento principale
attorno al quale credo si debba riflettere e ci si debba confrontare. Esserne
consci sarebbe un elemento di reale presa di coscienza delle contraddizioni del
presente; e dovrebbe<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>essere alla base di
una profonda – non superficiale! - revisione di quello che ci si è illusi
essere uno strumento di libertà e sta diventando uno strumento di ottusità collettiva.</span><span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
</div>
<br />piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-38377147034014556452018-07-17T01:13:00.000-07:002018-07-17T01:39:46.897-07:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">ISOLE E FORMICAI<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La letteratura è nata
su un’isola. Da Itaca parte Ulisse per Troia, e a Itaca ritorna, alla
conclusione del<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> nostos</i>, fuggendo da
Ogigia, l’ultima isola che lo ha avuto prigioniero. L’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Iliade</i>, e soprattutto l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Odissea</i>,
sono popolate di isole. Di isole si nutre la narrazione antica, di isole è
popolato il dramma classico come il romanzo, di isole ancora oggi parla con
costanza la letteratura. Se la dimensione insulare è così connaturata a ogni
forma di narrazione, quasi necessaria per raccontare vicende, è perché il
modello di terra circondata dal mare, chiusa in una società con caratteristiche
di autonomia, scelte o imposte poco importa, rappresenta una sorta di luogo
geometrico delle interazioni umane, delle contraddizioni della vita associata,
degli archetipi del comportamento degli individui.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Solo
su un’isola può accadere che si concentrino caratteristiche altrimenti uniche:
come quelle dei ciclopi, violenti e stolidi, come i Lestrigoni. Su un’isola può
vivere Eolo, con il suo otre contenente tutti i venti . Ma soprattutto solo
in una comunità chiusa si può rappresentare nella sua ipotetica realizzazione
un’utopia. La prima la troviamo appunto nell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Odissea</i>: l’isola dei Feaci racchiude una società pacifica, che
rinnega la violenza e aspira alla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">kalos k’agathìa</i>,
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alla bellezza e alla bontà. E sono isole
quelle che, nel tempo, ospiteranno comunità utopistiche come l’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Utopia</i> di Tommaso Moro, la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Città del sole</i> di Campanella. la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Nuova Atlantide</i> di Bacone. Lì, in
una’enclave non contaminata da società bellicose e intolleranti, può nascere e
prosperare l’utopia, costruendo non solo un modello organizzativo perfetto, ma
anche l’uomo nuovo che lo vive e ne rappresenta il prodotto ultimo. Un po’ come
l’ideale bolscevico del socialismo in un solo paese, le isole delle utopie
letterarie confermano, con la loro stessa insularità, di essere un modello
irrealizzabile se non in un luogo separato dai conflitti del mondo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">In
fondo, ancora oggi è solo su un’isola che possiamo trovare una società legata a
valori comunitari, fortemente coesa e orgogliosa della propria autonomia
sociale e intellettuale, pronta a difenderla con l’orgoglio di conosce la
propria originalità. Lì, tra paesaggi che<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>non escludono mai l’immensità marina, vita e sogno si confondono, ed è
come se il suono incessante del mare che si frange sulle sponde insulari
producesse un incantamento perpetuo.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ma
l’isola è anche il luogo chiuso, dove esplodono le contraddizioni che su un
continente ampio e aperto si possono diluire in spazi sconfinati. Ed è su un
isola che Prospero e Calibano vivono il conflitto della<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Tempesta</i> scespiriana; è sull’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Isola
misteriosa</i> che i naufraghi di Verne ritroveranno il capitano Nemo; è
l’isola delle Api industriose quella dove Pinocchio ritrova la Fata e mette (o
meglio, dovrebbe mettere) la testa a posto; è un’isola quella dove i ragazzi
isolati del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Signore delle mosche</i>
costruiscono una società di infantile violenza e intolleranza; è un’isola
quella dove Napoleone sogna la rivalsa del 100 giorni; è un’isola quella dove
viene scritto il manifesto di Ventotene; isola è Alcatraz, luogo di sofferenza
e di evasioni;<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>isola è quella del
castello di If, da dove parte il progetto di rivalsa e vendetta del <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Conte di Montecristo</i>, ed è un’isola
quella che custodisce il tesoro che ne permette la realizzazione. L’Alcina
ariostesca vive in un’isola al di là delle colonne d’Ercole, geograficamente
vicina all’isola del Purgatorio dantesco; isole sono quelle dove si organizza
il dinosaurico <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Jurassic Park</i> e dove
si conclude la ricerca della latitudine dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Isola del giorno prima </i>di Umberto Eco; isola è quella dove i <i style="mso-bidi-font-style: normal;">10 piccoli indiani</i> muoiono in una tipica
vendetta a chiave di Agata Christie. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Se
le isole sono un luogo privilegiato di ogni narrazione, questo è dovuto al
fatto che rappresentano una contraddizione formidabile. Difese dal mare, sono
una sorta di fortezza naturale, che dà sicurezza e autonomia a chi ci nasce o
ci si rifugia, perché difficili da conquistare e da dominare. Ma insieme sono i
luoghi dell’endogamia, dell’isolamento culturale e quindi del rischio di
arretratezza; sono terre che non possono chiedere solidarietà ai territori vicini,
perché vicini non sono. L’isola, grande o piccola non conta, è un continente a
sé che sembra esprimere in modo accentuato tutti i nodi dell’organizzazione
sociale. L’isola è insieme un meraviglioso mondo, che può essere più puro e più
genuino delle terre attraversate da migrazioni e da invasioni, ma insieme una
sorta di laboratorio sociale dove le contraddizioni si acuiscono e i conflitti
si radicano. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Accade
perché per descrivere un mondo particolare, in cui si verificano fatti che
meritano di diventare racconto, si aprono prospettive originali e rotture degli
schemi che sollecitano la descrizione romanzesca, bisogna che ci sia una specie
di laboratorio, come quelli che usano i mirmecologi per studiare la vita delle
formiche. Insomma, la letteratura ha usato le isole come formicai, le ha
trasformate in strumenti di indagine, ci ha messo dentro gli esseri umani e li
ha costretti a vivere in condizioni a volte estreme, spesso violente, altre
ireniche, sempre diverse da quella che si potrebbero trovare nella sterminata
distesa di un continente. Nelle isole ha creato utopie, come quella degli Houyhnhnms, i cavalli sapienti di <i>Gulliver</i>, dalle mente così limpida da non conoscere nemmeno le parole della falsità e della negazione; e distopie, come la società di infantile violenza e intolleranza del <i>Signore delle mosche</i>; dalle isole ha fatto nascere miti, come quello del piccolo regno di Ulisse, e originali percorsi formativi, come quello dell<i>'Isola di Arturo</i>. Sulle isole ha indagato su cosa possono diventare gli uomini
in condizioni altrimenti inimmaginabili, lì ha fatto sopravvivere per anni naufraghi
isolati e sperduti, lì ha fatto crescere creature fantastiche e mostruose, lì
ha sperimentato ogni possibile esasperazione dei rapporti sociali. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">E
lì ha prosperato.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-indent: 35.45pt;">
<br /></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-align: right; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">Anticipazione dell’intervento per il
festival <o:p></o:p></span></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-align: right; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">“Passavamo sulla terra leggeri”<o:p></o:p></span></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 63.7pt; margin-top: 0cm; text-align: right; text-indent: 35.45pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Calibri; mso-bidi-theme-font: minor-latin;">Siliqua, 20/7/18<o:p></o:p></span></div>
<br />piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-87168618954847160272018-05-27T09:47:00.000-07:002018-05-27T09:47:03.321-07:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">Le piccole lapidi degli anni facili:</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-size: large;">un libro di Giovanni Pacchiano</span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Nella <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Linea d’ombra,</i> Conrad parla del periodo in cui ci si accorge di
dover “lasciare alle spalle la regione della prima gioventù”, e descrive un
drammatico passaggio al tempo della responsabilità e della durezza dell’età
matura. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Gli anni facili</i>, di Giovanni
Pacchiano, Bompiani, sono invece proprio quelli della prima gioventù, vissuti
prima di affacciarsi alla linea d’ombra, che stanno tra l’adolescenza e la
maturità e che però, anche se non sono ancora pervasi dai problemi, dai
conflitti e delle ansie della vita lavorativa, non sono solo il periodo
incantato di cui parla Conrad. Anzi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">I protagonisti del romanzo di
Pacchiano sono gli studenti universitari milanesi degli anni Sessanta, vivono
gli anni relativamente tranquilli che precedono il Sessantotto, hanno le prime
esperienze sessuali, i conflitti tra ragione e sentimento, scoprono le
contraddizioni<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>delle differenze di
classe, incontrano i primi drammi, si scontrano con i genitori e fanno per la
prima volta i conti con personaggi violenti e infidi. Sullo sfondo,
un’università che non è ancora animata dalla contestazione, ma in qualche modo
ne ha il presentimento; la guerra fredda e la crisi di Cuba;<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la minaccia della guerra nucleare; le prime
minigonne; il jazz e il rock; e l’aprirsi di un nuovo orizzonte culturale, con
le letture che accompagnano gli anni dello studio, e il confronto con
professori ed esami. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Se il tessuto della narrazione è
costituito soprattutto dell’intrecciarsi di piccole e grandi faccende
sentimentali, in realtà tutto porta alla scoperta delle tensioni ultime della
vita alla quale si affacciano i personaggi. Una relazione con una ragazza che
si desidera ma non si ama, il complicato sentimento per una donna matura, la
delusione nei rapporti di amicizia sono momenti di un affresco che comprende la
musica, i suoni, i film, i libri di un’epoca di passaggio. Qui l’accumularsi
degli elementi di formazione di quel periodo è illuminante: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Feliditade</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Orfeo negro</i>, Henry James, Rimbaud, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Accattone</i>, Giuseppe Berto, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Venere
in visone</i>, Frankie Lane, Alba de Cespedes. E’ un patrimonio culturale <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che mescola alto e basso, e segna il maturare della
prima generazione che, in Italia, non ha conosciuto né il fascismo né la
guerra. Un’Italia che si affaccia al benessere nella quale, magari con qualche
sacrificio, si studia, si viaggia e si pratica lo sport, come per le
generazioni precedenti hanno potuto fare solo i privilegiati.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Come deve accadere, la nuova libertà
della generazione del dopoguerra comporta nuove responsabilità, malinconie e delusioni.
Pacchiano riesce a trovare la chiave per descrivere la tipica propensione
all’autoanalisi e alle riflessioni che quel’età<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>porta a fare sulle ipocrisie che comportano i rapporti umani. La
scoperta che “ognuno di noi ha un segreto da nascondere. Invisibile nella vita
quotidiana anche per quelli con i quali viviamo”. Colpiscono le descrizioni
della natura, in montagna, l’idea che i laghetti nascosti siano metafore dei
misteri della vita, le mestizia dei giorni di pioggia incessante, che in città
ci lascerebbero indifferenti ma lassù diventano una situazione asfittica di
chiusura e di noia, la libertà del camminare e del sentire la vitalità del
proprio corpo. E insieme capire che lo sconfinare nel romanticismo è
un’illusione, “anche se aiuta a esistere”.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">E’ vero, ha ragione Conrad, c’è
stato, per chiunque li abbia vissuti, quegli anni, una sorta di febbre, di
bisogno di consumare tutto quello che ci trovavamo davanti, la sensazione di
essere in “un giardino incantato dove anche le ombre splendono di promesse”. Ma
c’è stato anche l’apparire di un limite a tutto questo, la consapevolezza della
dimensione effimera di quelle estati senza impegni, finiti gli esami, che
sembravano eterne, la città vuota. E quell’immergersi in discorsi senza fine con
amici e ragazze che immaginavamo fossero rapporti imprescindibili e che poi si
sono smarriti nell’ordinata vita adulta. Non è una stagione tutta vivida
vitalità, corporea saturazione dei desideri. E’ un tempo che fa presagire la
linea d’ombra, e comporta malinconie e piccole disperazioni, lacerazioni e
svelamenti. E’ vero che sono <i style="mso-bidi-font-style: normal;">anni facili</i>,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fatti di “giorni veloci come le nuvole in
cielo nella giornate di grande vento”. Pacchiano le descrive con la
consapevolezza del fatto che sono quelli che ci hanno formato, che hanno
lasciato un segno indelebile, e insieme che non ci hanno lasciato che un
ricordo struggente, del quale, forse, alle volte, preferiremmo fare a meno.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">A ripensarli, ci danno la stessa
sensazione che proviamo ritrovando le fotografia delle classi della scuola,
dice Giacomo, il protagonista degli <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Anni
facili</i>: un elenco di nomi – l’appello! -dei quali non sappiamo più niente.
“Piccole lapidi del passato”. Cimeli del momento in cui abbiamo scoperto che la
vita, lei, non è facile per niente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 42.55pt; margin-right: 56.65pt; margin-top: 0cm; text-indent: 1.0cm;">
<br /></div>
Da "L'Immaginazione, giugno 2018piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-15706329908853846802018-04-03T10:47:00.005-07:002018-04-03T10:47:56.561-07:00<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
TRA I
MANICOMIETTI E IL NEOSCIAMANESIMO TASTIERISTA</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Trovo sempre
irritante che si neghi l’oggettivo progredire dell’uomo nella storia. E’ vero
che non si tratta di un cammino uniforme, che l’affermarsi dei diritti e dei
valori della convivenza conosce anche lunghi momenti di regresso. Ma abbiamo
considerato naturale, per millenni, l’esistenza della schiavitù, e oggi (con
qualche falla) non la tolleriamo più. Abbiamo diligentemente bruciato streghe
ed eretici fino a non molto tempo fa, ma non lo facciamo più. E pian piano
abbiamo chiuso i manicomi, esteso l’assistenza sanitaria non solo a chi se la
poteva permettere e limitato i fattori di privilegio ereditari. Se c’è un
settore nel quale, invece, stenta ad affermarsi una sensibilità per un problema
che dovrebbe essere considerato di interesse collettivo, è quello
dell’assistenza a chi soffre, a vario titolo, di disabilità.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Gianluca
Nicoletti, per la sua esperienza di padre di un figlio autistico, si occupa da
anni di questo tema. Il suo ultimo libro, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Io,
figlio di mio figlio</i>, Mondadori, ripropone il problema della loro assistenza
quotidiana e della difficoltà che incontra l’accettazione delle loro
problematiche. Affrontare l’autismo è difficile anche perché è una sindrome che
si presenta con uno spettro molto ampio, che va da casi ad “alto funzionamento”
(la definizione è inquietante, ancorché scientifica) a quelli a più “basso
funzionamento”, che necessitano di assistenza continua. Questi ragazzi nascono
già orfani, dice Nicoletti, e paradossalmente hanno solo i genitori su cui
contare. Il <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>giustificato timore (ma è
già successo) è che, venuta meno la capacità dei genitori di occuparsene, in
barba alla 180, vengano ricoverati in una sorta di manicomietto, in mano ad
operatori non competenti e alle volte anche violenti, che non avranno altri
strumenti che una sedazione continua per evitarne le crisi e le reazioni
incontrollate. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
La speranza è
che “si possa costruire quel modello di società dove la neurodiversità possa
sviluppare i propri talenti attraverso i suoi rappresentanti con più alto
funzionamento”, perché in realtà anche gli autistici che non si esprimono
disinvoltamente e hanno una maturità apparentemente infantile, hanno
sentimenti, sensibilità e intuitività alle volte molto elevate. Anzi, “poiché
l’arte è l’unico territorio in cui essere folli non è considerato un limite”,
possiamo considerare gli autistici <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>persone
che vivono in un mondo parallelo, dove dovrebbero esser liberi di esercitare,
come artisti, le loro caratteristiche di diversità. “Difendiamo il fatto che ai
nostri figli sia riconosciuto il diritto di essere come sono”, dice Nicoletti.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Un capitolo a
parte merita il problema dei genitori che non accettano che i loro figli siano
nati con i geni dell’autismo, e ne attribuiscono la responsabilità alle
vaccinazioni. L’insensato movimento “no vax”,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>una volta marginale, ha assunto una portata una volta impensabile con il
veicolo della rete. Nicoletti, che pure è stato uno dei primi a considerare la
rete una straordinaria occasione per la libera espressione del pensiero, parla
oggi di “neosciamanesimo tastierista” e riconosce che la sfiducia per le
competenze e le istituzioni ha origine da “flussi emotivi e da parole chiave
che diventano acceleratori d’indignazione attraverso i social network”.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Vero elemento
di novità, nel libro, è che Nicoletti, proprio perché convinto che i vaccini
non c’entrino nulla e che l’autismo sia in parte una caratteristica ereditaria,
si è voluto sottoporre a un esame clinico dal quale è emerso essere autistico
anche lui, un tipico caso di sindrome di Asperger: ad “alto funzionamento”, con
le caratteristiche classiche di questa sintomatologia, che pure permette di convivere
con il resto del mondo. Devo dire che, anche se può sembrare un tentativo di
autoassoluzione per le proprie idiosincrasie, la descrizione delle
caratteristiche qui descritte mi ha subito fatto pensare che anch’io dovrei far
parte del gruppo in esame. Ma quel che conta è che il libro, con questa verità
sottotraccia, diventa un’autobiografia alla ricerca della propria diversità,
poiché è giusto che ognuno riconosca la propria, se ce l’ha, e ne ricavi un
manifesto per il diritto a un pensiero “altro” e a considerare gabbie
insopportabili le strutture sociali che non lo tollerano.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Tornando
all’idea della freccia del progresso, concludiamo con Nicoletti che è
incredibile come, in una società che prova ripugnanza per l‘addestramento degli
animali da circo e si batte per i diritti degli animali domestici, non ci si
ribelli al maltrattamento degli esseri umani più indifesi. Che le famiglie
continuino a considerare un figlio autistico una vergogna da nascondere, e che
si trincerino dietro ipotesi fantasiose pur di non ammettere che con la nostra diversità,
e la disabilità, dobbiamo conviverci e non vergognarcene. </div>
<br /><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small;"> Da "L'Immaginazione", Aprile 2018</span>piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-13096924653710690922018-02-07T15:06:00.001-08:002018-02-07T15:06:19.790-08:00<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
COME FAR SCAPPARE </div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
I BRAVI DIRETTORI DI MUSEI </div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
E VIVERE FELICI</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Ma possibile che, con tutto quello
che ci succede intorno, con i problemi che affliggono il futuro del paese di
fronte a una tornata elettorale che lascerà il parlamento nell’incertezza, ci
si debba occupare di Tomaso Montanari? Ebbene sì, ci tocca anche questa. Cos’è
successo? Che il Consiglio di Stato, supremo organo di giustizia
amministrativa, ha messo in mora le nomine di direttori di museo che non hanno
la cittadinanza italiana. Non possono difendere istituzioni di rilevante
interesse nazionale, dicono i magistrati; e si prendono un po’ di tempo per
decidere, anche perché le opinioni, all’interno dello stesso Consiglio, sono
divergenti. E Montanari, come è logico,
ha gioito. In un ispirato articolo su Repubblica ci spiega che la legge è
scritta male, che Franceschini non sa fare il suo mestiere, o ha collaboratori
inadeguati. E che la riforma aveva nominato direttori senza risorse, non
provenienti da grandi musei ma anzi, ”figure di secondo o più spesso di terzo
piano”.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Poco sotto, come se questo
dimostrasse l’assunto, ci informava che il direttore degli Uffizi ha
annunciato, a metà mandato, che andrà a dirigere il Kunsthistorisches Museum di
Vienna. Segno, a suo parere, che la riforma non funziona.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Ora qui Montanari deve mettersi
d’accordo con se stesso. Se il direttore degli Uffizi, già dirigente di
importanti musei in Germania e negli Usa, ha deciso di andarsene a dirigere a
Vienna uno dei più importanti musei d’Europa, vuol dire che proprio di secondo
piano non era. Né lui, né altri colleghi stranieri chiamati in importanti
musei, che tra l’altro vantano un notevole aumento di visitatori e di introiti.
Vuol dire, forse, che ha capito che il Consiglio di Stato potrebbe mandar via
anche lui, e ha cercato una sistemazione prima che accada.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Ma Montanari dovrebbe anche
spiegare perché, se chi non è cittadino italiano non può tutelare le
istituzioni nazionali in Italia, questo può succedere altrove. Infatti l’ormai
ex direttore degli Uffizi ha diretto l’importante museo di Baltimora e ora va a
Vienna, pur essendo cittadino tedesco. Cosa accade? All’estero sono così
stupidi da lasciare che gli stranieri gestiscano le loro istituzioni e solo noi
italiani siamo così accorti da evitare che pericolosi stranieri si impadroniscano
dei nostri musei? Non è, per caso, che la nazionalità non c’entra niente e che
quello che vale, in questo caso, è la competenza e la capacità manageriale? A
Montanari non va giù che, poiché la Costituzione indica che chi ricopre cariche
pubbliche debba “adempiere con disciplina e onore, prestando giuramento nei
casi stabiliti dalla legge”, questo compito venga affidato a, chessò, un
tedesco. Per non parlare della parola “manageriale”, che a Montanari fa venire
la pelle d’oca, perché pensa che i musei siano dei centri di ricerca scientifica e che il
numero di visitatori non conti nulla. Buffa opinione, per chi si dichiara di
sinistra: pensare che i musei siano fatti per un’élite di studiosi e non per le
masse. Che stiano a casa, a guardare la tv, quegli ignoranti.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Ecco, la situazione del paese non
è allegra, ma questo caso non è estraneo al declino di autorevolezza e
competitività che affligge l’Italia. Se non abbiamo capito che siamo in Europa,
e non in un paese isolato, che può accadere che un tedesco abbia più
disciplina, onore, e magari anche doti intellettuali e manageriali di qualche
funzionario italiano, come speriamo di affrontare le sfide della
globalizzazione? E se il nostro provincialismo ci porta a pensare che è sempre
meglio difendere i burocrati nostrani e non metterli in competizione con le
intelligenze che popolano il continente, quando riusciremo a superare l’inerzia
e l’inefficienza cronica della nostra pubblica amministrazione? Infine, se a
ogni innovazione quelli che si qualificano “progressisti” reagiscono con il
rifiuto di ogni novità e la difesa a oltranza dello status quo, che cambiamento
potremo mai aspettarci, e da chi? Dai conservatori? </div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 10.0pt; margin-left: 1.0cm; margin-right: 70.8pt; margin-top: 0cm; text-indent: 14.2pt;">
Montanari è un ottimo storico
dell’arte. Ma se questa dovesse essere la classe dirigente che aspetta di
prendere il posto di chi ha – forse mediocremente, ma dignitosamente - gestito
il paese negli ultimi anni, siamo fritti. Dei talebani della cultura, dei
fondamentalisti del sindacalismo statalista, dei nazionalisti di estrema
sinistra non abbiamo proprio bisogno. Che facciano il loro mestiere, ma evitino di bloccare ogni tentativo di modernizzazione dello stato, per piacere. Ne abbiamo avuti già troppi, di personaggi
bizzarri, in posti chiave del paese. Ora vorremmo persone sensate. </div>
piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-2303659272962590232018-01-31T10:03:00.001-08:002018-01-31T10:11:41.463-08:00<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 18.6667px;">ASCOLTARE E' UN MESTIERE DIFFICILE</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Nel momento in cui quotidiani e
televisione pagano un pesante tributo allo sviluppo della comunicazione in
rete, qual è lo stato di salute della radio? Se lo chiede Giorgio Zanchini nel
suo nuovo libro, <i>La radio nella rete</i>,
Donzelli, e la risposta è: la radio se la cava meglio degli altri. Anzi: “in
una rete dove gli scambi e i cosiddetti ‘prestiti mediali’ sono continui, può
persino prosperare”. Questo, soprattutto perché si è adattata tanto alla
tecnica che alla tempistica dei nuovi media. Invece di esserne fagocitata, li
ha integrati, ne ha sfruttato le potenzialità a proprio vantaggio, e ha usato
l’allargamento della platea dei <i>prosumers</i>,
i produttori-consumatori, per essere ancora più rapida e “leggera” nel rapporto
con l’attualità.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Per capire come si è verificata la
sopravvivenza del più vecchio dei <i>media</i>
senza fili, bisogna considerare più elementi. Zanchini da un lato ripercorre le
osservazioni dei grandi che hanno riflettuto sulle caratteristiche del mezzo,
da Arnheim a Brecht, da McLuhan a Eco, e dall’altro ricorda il modo in cui, nel
tempo, la radio si è evoluta, e ne trae una serie di conclusioni semplici ma
illuminanti. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Contrariamente ai mezzi “pesanti”,
giornali e tv, la radio è stata la prima ad aprirsi al contributo del pubblico,
anche in diretta, offrendo strumenti di condivisione – forse illusori, dice
Zanchini, ma comunque coinvolgenti – che sono gli stessi dei mezzi digitali. Se
la rete è essenzialmente un mezzo di comunicazione senza mediatori, però, la
radio mantiene forme di intermediazione, e quindi di autorevolezza, anche se è
sempre più aperta al contributo degli ascoltatori, e ha quindi un profilo più
orizzontale degli altri mezzi tradizionali. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Tecnicamente, la radio è il più
duttile dei media, perché può essere ascoltata con strumenti diversi e in tempi
e luoghi diversi. Ogni programma può essere ascoltato in diretta, in streaming,
registrato, recuperato in podcast e
selezionato senza limiti nell’offerta di un numero enorme di stazioni. “La
trasmissione oltre ad avere un <i>durante </i>(…)
ha ormai un prima e un dopo”. Insomma, per certi versi si tratta del mezzo più
aperto a ogni forma di fruizione, nel tempo e nello spazio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Se la radio ha mantenuto tanta
vitalità, è perché è un mezzo di parola, perché si basa su un elemento
fondamentale dei rapporti umani: la conversazione. Un elemento che richiama
ideali illuministi, anche se non sempre conduttori e ascoltatori sono
all’altezza della sfida di portare profondità e riflessione sui grandi temi del
presente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Il libro è ricco di informazioni sul
panorama delle emittenti in Italia e all’estero, sui modelli di programmazione,
di flusso o di palinsesto, sulle caratteristiche del pubblico e sui modelli di
conduzione. Particolarmente interessanti alcuni “decaloghi”, da quello di Gadda
a quello di Sinibaldi, e le osservazioni
sulla lingua e sulla sintassi della radio. Oltre ad essere una miniera di informazioni,
però, il libro è strumento di
riflessione, non soltanto sullo specifico radiofonico ma anche, in generale, sui processi comunicativi nell’era digitale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Una domanda centrale è quella su che
spazio resti per l’ascolto attento, “nell’era della disattenzione, della
connessione perenne”. E se ci siano dei rischi, in questo processo di
ibridazione che ha trasformato la radio nel più multimediale dei mezzi di
comunicazione. “Ho l’impressione che possa esserci una perdita in termini di
profondità e di chiarezza”, dice Zanchini; che la soglia dell’attenzione rischi
di calare, che ci sia un’inevitabile perdita di concentrazione. Contro i
cantori del <i>multitasking</i>, bisogna
ammettere che “il cervello fatica a gestire in modo logico ed efficiente tutte
le attività che gli chiediamo in simultanea”. Qui il rischio maggiore: “Alcune conseguenze
della rivoluzione digitale, in particolare frammentazione, disattenzione,
connessione perenne, possono impoverire uno degli spazi in cui la comunità
riflette assieme”. Ecco, questo mi pare il vero nodo del rapporto tra radio e
rete, e forse della trasmissione di informazione e conoscenza nel tempo della
rivoluzione digitale. Il continuo flusso di informazioni non è pericoloso
perché contiene troppa sostanza. E’ pericoloso che noi si perda la capacità di
discernere non – come vuole la moda – tra notizie vere e <i>fake news</i>, ma tra quello che ci serve e quello che è superfluo. In
questa prospettiva, la radio non sfugge al destino di tutti i mezzi
nell’entropia informativa della contemporaneità. Se non avremo gli strumenti
per selezionare ed analizzare i contenuti del flusso informativo, saremo
connessi, ma non saremo in grado di connettere tra loro gli elementi che
servono ad avere coscienza critica del presente; avremo sempre più
informazioni, ma meno conoscenze, e meno capacità di interpretare la complessa
realtà che ci circonda.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-size: x-small; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: x-small; line-height: 115%;">Da "L'immaginazione", febbraio 2018</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-69363110557040431062018-01-31T10:01:00.002-08:002018-01-31T10:01:23.401-08:00<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
AVERE BRAVI
MAESTRI</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
Si è un po’ sopita
la polemica suscitata da un provvedimento che potrebbe impedire a chi ha
soltanto il titolo di maturità magistrale di insegnare nelle scuole elementari.
Mi par di capire che gli interventi che si sono succeduti, sulla stampa e sugli
altri media, hanno visto prevalere l’opinione di chi ritiene che, per insegnare
ai bambini, sia necessaria una laurea. Le motivazioni sono diverse, ma emerge soprattutto
l’idea che oggi l’insegnamento sia un impegno molto più complesso del passato,
che siano necessari princìpi pedagogici scientifici, che solo una preparazione
universitaria può dare.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
Devo dire che per
certi versi sono d’accordo: più si studia, meglio è. E questo non vale soltanto
per i maestri. Sono convinto che anche per chi si sente portato a mestieri che
non prevedono un impegno intellettuale, un corso di studi universitario può esser
utile. Maturare una cultura approfondita fa bene a tutti, e fa far meglio ogni
mestiere, da quello dell’idraulico a quello dell’insegnante. La preparazione, poi,
per chi deve occuparsi della formazione dei cittadini di domani, non può essere
né affrettata né superficiale. E’ vero.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
I dubbi, invece,
mi vengono dal fatto che quelli ai quali dovrebbe essere interdetto l’accesso
ai ruoli siano maestri che già
insegnano, spesso anche da molto tempo. Credo che, per l’insegnamento
elementare, la pratica sia fondamentale, e una vocazione sia determinante. In
mancanza dell’una e dell’altra, secondo me, un titolo universitario non basta,
a fare un buon insegnante.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
Ma il motivo per
cui sono portato a pensare che il provvedimento sia inopportuno è che la storia
ci ha insegnato che si può essere dei grandi educatori senza aver avuto titoli
di studio elevati. Non penso soltanto al maestro Perboni, o alla maestrina
dalla penna rossa del libro<i> Cuore</i>;
penso ad alcuni grandi, che magari poi hanno conquistato titoli importanti, ma
che dall’istituto magistrale venivano, e hanno lasciato tracce significative
nelle scuole dove hanno insegnato come nella cultura nazionale e internazionale.
Forse il nostro legislatore non lo sa, ma due grandi poeti come Zanzotto e
Bandini venivano dell’istituto magistrale, e hanno insegnato alle elementari. E
uno dei più grandi scrittori del Novecento, Leonardo Sciascia, era un maestro elementare.
Chi non vorrebbe aver avuto un tale maestro, nella scuola, indipendentemente dal
titolo di studio? </div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
Sarebbe opportuno
riflettere su quanto, nella formazione della scuola primaria, dipende dalla
formazione avuta e quanto dalle capacità dei singoli. L’intelligenza, la sensibilità,
l’intuizione necessari a lavorare con i bambini, non sono qualità equamente
distribuite tra gli esser umani. C’è chi ne ha molte, chi niente. Gli studi
fatti c’entrano poco. Ai bambini non bisogna insegnare materie astruse, nozioni
molto complesse, tecniche raffinate. Bisogna insegnare ad apprendere e ad avere
a che fare con i libri, dove c’è tutto quello che serve. Un bravo maestro è uno
che sa far incontrare i bambini con la cultura. Chi, indipendentemente dagli studi
fatti, non lo sa fare, un bravo maestro non lo sarà mai.</div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm; text-indent: 42.55pt;">
<br /></div>
piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7031852341620758488.post-5069021412506734982017-06-27T05:05:00.000-07:002017-06-27T05:05:26.951-07:00<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">CHE DISGRAZIA, SE NON CI FOSSE IL
FANTASTICO<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ho simpatia e stima per Edoardo
Boncinelli per cui, quando ho visto che aveva pubblicato un articolo intitolato
<i>Contro il fantasy</i> (La lettura,
25/6/2017), mi sono compiaciuto perché a me il fantasy, diciamo la verità, mi è
sempre stato sullo stomaco. Ho un pregiudizio di fondo, lo confesso, ma le
saghe di elfi e altri esserini magici, ambientate in società primitive,
pretecnologiche, dominate da angosciose monarchie assolutistiche mi hanno
sempre lasciato freddo e un po’ annoiato. Se anche Boncinelli mi sostiene in
questa mia idiosincrasia, mi son detto, forse riuscirò a convincermi che sono
nel giusto e che il mio non è un pregiudizio, per l’appunto.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Purtroppo non è andata così. Dopo un
inizio brillante, e dopo aver giustamente distinto la fantasy dalla
fantascienza, dove “gli eventi rispettano sempre un filo di coerenza
tecnico-scientifica”, lo scienziato Boncinelli ha preso il sopravvento e si è lanciato
in un’apostrofe che finisce per mescolare fantasy e fantastico in un giudizio
estremamente negativo che, lo dico sommessamente, mi risulta poco convincente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">“Nelle storie fantasy”, argomenta
Boncinelli, “tutto è magia, ovvero il contrario della scienza, in un crescendo
di inverosimiglianza”. E continua dicendo che probabilmente questo rappresenta
il massimo dell’evasione, e arriva a dire che il magico costituisce l’emblema
del disimpegno e della deresponsabilizzazione, le stesse istanze che hanno
portato il romanticismo a disintegrare l’illuminismo. La conclusione ha toni
apocalittici, perché per Boncinelli non è difficile “trovare un nesso tra tutto
questo e il dilagare del ricorso alle medicine alternative (…) e
all’imperversare del complottismo come spiegazione degli eventi più diversi”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Ora, è vero che una potente ventata
di irrazionalismo ha colpito i nostri tempi, dal rifiuto dei vaccini alle scie
chimiche, per passare, appunto, per i complotti più stravaganti e finire col
ritenuto falso allunaggio del ’69. Ma attribuire la colpa di tutto questo alla
letteratura fantastica mi sembra decisamente esagerato: non sarà invece il
portato del sapere “disintermediato” che caratterizza la diffusione
dell’informazione in rete? Perché la letteratura che è “tutto il contrario
della scienza” non è intrattenimento irrazionale, ma un potente strumento per
parlare della realtà con altri mezzi.
Basta pensare a cosa perderemmo se Poe non avesse scritto i suoi racconti
fantastici, che cosa sarebbe il mondo senza Kafka, come potremmo vivere senza i
poco razionali viaggi in ippogrifo di Ariosto, senza la magia del Prospero di
Shakespeare, dei viaggi di Alice; e non
dimentichiamolo, del Pinocchio di Collodi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Il fantastico ha le sue radici nei
miti dell’antichità, si è sviluppato nei grandi poemi epici e ha continuato ad
avere ampio spazio nel racconto e nelle fiabe popolari, per arrivare poi a
maturazione col romanzo gotico e il romanticismo tedesco. E’ dunque quasi
connaturato con la produzione narrativa e non è solo un modello letterario
legittimo, ma vorrei dire quasi necessario.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Senza il fantastico la letteratura
sarebbe soltanto realistica, e questo vorrebbe dire una drammatica rinuncia a
immaginare, a confrontarci con universi diversi dal nostro, a sforzarci di
trovare una logica anche dove apparentemente non c’è. Anche se si trattasse
soltanto di un gioco, ricordo che Calvino sosteneva che il gioco è il grande
motore della cultura; e anche della scienza, aggiungo io, e Boncinelli non
potrà negarlo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Né mi spaventa che i ragazzi delle
ultime generazioni si siano formati sui racconti di Harry Potter. Che male c’è?
Intere generazioni si sono costruite un universo di riferimento tra i pirati
della Malesia (mai esistiti), negli improbabili viaggi del capitano Nemo, tra le
straordinarie avventure raccontate da H.G.Wells; e non sono diventati né
fanatici delle medicine alternative (almeno non tutti) né complottisti irriducibili.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Il fantastico è necessario perché noi
siamo fatti di ragione e di emozione, di coscienza e di inconscio,di cultura e
di pulsioni. E la letteratura fantastica, più o meno bella, racconta da sempre
questa complessità, in modo allo volte allusivo, alle volte simbolico, alle
volte pescando nei nostri sogni più reconditi. Ma serve, serve non a farci
diventare disimpegnati e deresponsabilizzati, ma a sviluppare coscienza di sé.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Quando la bella bambina dai capelli
turchini fa venire al capezzale del burattino tre medici, un barbagianni, un
corvo e un grillo, che diagnosticano che “se il burattino non è morto è segno
che è ancora vivo”, per poi lasciare spazio ai coniglioni con la loro piccola
bara che si porterebbero via Pinocchio se non prendesse la medicina siamo, certo,
nell’irrazionale più profondo. Ma quante cose ci dice, dopo averci intrattenuto
e fatto ridere, quel passo. Che disgrazia, mamma mia, che disgrazia, se non
esistesse la letteratura fantastica. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> (Da "L'IMMAGINAZIONE, n. 301)</span></span></div>
piero dorfleshttp://www.blogger.com/profile/05749486406239373942noreply@blogger.com0