martedì 21 gennaio 2014

Sono connesso ma non connetto

Chi volesse informarsi sul significato del termine bovarismo e lo cercasse su Google, troverebbe come prima voce quella di Wikipedia, che suona così: “Il bovarismo è una corrente di pensiero sviluppatasi durante la seconda metà dell’ottocento, che definisce la tendenza di alcuni artisti a sfuggire alla monotonia della vita di provincia: la metropoli, in questa visione, diventa un sogno ambito che, insieme alla lettura, proietta la mente in una sorta di paradiso terreno. La lettura quindi come mezzo di svincolo dalla realtà, intesa quasi come una sorta di droga”.
Difficile immaginare che chi ha steso una voce simile abbia mai sia pur solo sfogliato il romanzo di Flaubert. E misteriosa rimane l’origine di questa immagine vitellonesca di artisti stanchi della provincia che sognano Parigi. Ma il culmine lo si trova nell’immaginosa proiezione della lettura intesa come droga per allontanarsi dalla realtà. Vero che Emma Bovary si esaltava leggendo libri sentimentali, e che la suocera le aveva tolto la tessera della biblioteca per evitare che avesse troppe fantasie, appunto, bovaristiche. Ma che Flaubert abbia disegnato la lettura come droga è una mistificazione sublime.

Per fortuna la seconda voce è quella, corretta, del dizionario Treccani. Ma guai se ci si ferma a Wikipedia: il disastro è in agguato.