domenica 2 marzo 2014

Aere perennius

Sono in ritardo, terribilmente in ritardo.
Mentre io mi attardavo a promuovere la lettura
c’era chi aveva capito che i libri non servono più.

Forse i conigli non dovrebbero avere la presunzione di interloquire con Wittgenstein. Ma  lì (tale il titolo del blog di Luca Sofri) fin dall’8 gennaio campeggia un post che decreta, testuale: ”La fine dei libri”. Sono certo in ritardo, sono d’accordo su alcune osservazioni, ma su altre vorrei sommessamente dissentire.
Dice Luca Sofri che la rete ci ha disabituato alla “lettura lunga” e che il tempo che una volta era usato per leggere libri ora è preso da altri strumenti: videogiochi, social networks, video online ecc. Forse in parte è vero, e ce ne dogliamo. Ma soprattutto che il libro “non è più l’elemento centrale della costruzione della cultura”, e che è “diventato marginale come mezzo di diffusione della cultura contemporanea”, che trova invece spazio su internet in formati più brevi, “che non sono più superficiali, anzi spesso sono molto più densi e ricchi di certi saggi di 300 pagine allungati intorno a una sola idea”. Sofri aggiunge che non è vero che i libri “restino” più a lungo, e che oggi “resta” più un post su un blog. Un monumento incorruttibile nello scorrere della storia. E  conclude che ci saranno sempre degli “appassionati ‘romantici’ dei libri”, ma che saranno sempre meno, come quelli del teatro: due “nicchie laterali della cultura contemporanea”.
Ora, nessuno mette in dubbio la crisi dell’editoria, anche se a mio avviso è più figlia della crisi economica generale che di una disaffezione per il libro. Né che i nuovi media stiano occupando uno spazio crescente del nostro tempo sia libero che di lavoro, né che abbiano grandi capacità di sintesi e di penetrazione nell’opinione pubblica. Una cosa che onestamente non riesco a condividere, invece, è che la cultura  si possa costruire senza libri: quella non è cultura, è abilità, capacità di organizzarsi, di avere informazioni. Ma la cultura nasce dalla comprensione profonda di fatti, concetti, progetti. Dalla metabolizzazione di ragionamenti complessi.
E non credo che tutti i libri siano solo lungaggini stiracchiate intorno a una sola idea. Lo saranno quelli scritti dagli universitari a meri fini concorsuali. Lo saranno probabilmente la maggioranza di quelli che vengono pubblicati, come è sempre accaduto. Ma che ogni tanto un libro – saggio o romanzo che sia – riesca a sondare spazi inesplorati, dandoci risposte a grandi questioni, o aggiungendo dubbi a quelli che abbiamo già, riesca a raccontare le vicende umane con intuizioni così profonde da farci ripensare a tutto quello che abbiamo fatto nella nostra vita, o a farci scoprire un tipo di persona o di comportamento che non eravamo riusciti ad inquadrare con i nostri mezzi, questo non lo può negare nessuno. Il libro, sì, può essere un monumento aere perennius.
Se poi è vero che, purtroppo, il numero dei lettori, in Italia, non solo non cresce, ma diminuisce perfino, questa è soltanto la dimostrazione non che siamo un paese all’avanguardia, ma che siamo un paese arretrato e condannato al declino culturale, politico ed economico. Eppure, a guardarle bene, le cifre della crisi riguardano soprattutto i lettori deboli, quelli che leggono un libro l’anno, magari di ricette, di diete o di freddure. Perché i lettori forti sono rimasti più o meno gli stessi.
Luca Sofri dice che è assodato che “la specie umana sta diventando inadatta alla lettura lunga”, e cioè incapace di leggere testi di molte pagine. Ma non so se è vero. Perché i “lettori lunghi”, in Italia, sono sempre stati pochi. Il problema è che non sono cresciuti proporzionalmente alla scolarizzazione del paese. Può, l’uso della rete, sostituirsi a questa mancata crescita? Io penso proprio di no.
Sempre che ai conigli sia concesso confrontarsi con Wittgenstein, vorrei dire che mi spaventa l’idea – ahimé diffusa - che in futuro apprenderemo molto velocemente dalla rete quello per cui prima perdevamo tempo sui libri. Io penso invece che, rinunciando alla lettura (su carta o su e-reader non conta), saremo sempre meno capaci di pensieri complessi, di ragionamenti in profondità, di assimilare le lezioni del passato, di progettare il nostro futuro con cognizione di causa, di svolgere il nostro lavoro - tutti i lavori, dal più semplice al più complesso – con competenza. Soprattutto ho paura che chi viene affascinato dalla prospettiva della trasmissione informatica della conoscenza non si renda conto che la mancanza di profondità, di “lettura lunga”, impedisce la maturazione di cittadini consapevoli, e quindi di una democrazia degna di questo nome. Perché in un paese dove non si leggono libri, non si sa nemmeno perché e per chi si va a votare. E che in Italia la scarsa percentuale di lettori abbia già dato segnali preoccupanti in questa direzione, mi pare non ci sia bisogno di ripeterlo. E la frequentazione della rete difficilmente produrrà maggiore senso dello stato, solidarietà sociale, coscienza civica. Né capacità di sviluppo, intellettuale come economico, perché vanno di pari passo.

Lasciamo ai nuovi media tutto il merito di darci informazioni infinite in tempi brevissimi; di metterci in contatto con il mondo senza barriere; e facciamo in modo che tutti vi abbiano accesso, perché sono strumenti indispensabili. Ma credo che non dovremmo perdere occasione per sostenere la lettura, fare in modo che la famiglia, la scuola, la radio e la televisione e, perché no, i nuovi media lancino una grande campagna per stimolare la lettura e familiarizzare gli italiani col libro. Anche con i grossi libroni con un’idea sola: meglio averne letto uno in più che uno in meno. Non è tempo perduto. E’ tempo guadagnato nella costruzione di menti critiche e  aperte. Perché è dimostrato che nei paesi in cui il numero di lettori di libri è più alto, il prodotto interno lordo cresce di più. Pensare che leggendo twitter gli italiani acquisiscano gli strumenti per competere a livello mondiale con i paesi più avanzati è un’illusione pericolosa. Senza pensiero, senza ragionamento, senza “lettura lunga” si resta superficiali, ignoranti, e poveri. E magari, pur illudendosi che un blog sia eterno, si finisce per usare una lingua sciatta, povera e disordinata, che trasmette idee approssimative e confuse.www.wittgenstein.it

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