domenica 31 luglio 2016


                                             Tra tecno entusiasti e tardoumanisti

Ma cos’è la disintermediazione? “L’eliminazione di intermediari dalla catena distributiva di beni o servizi”, recita il dizionario. Dunque un fenomeno di eliminazione di passaggi intermedi tra chi produce e chi consuma. Il fatto che oggi si usi spesso il termine a proposito dei nuovi media, però, non ha a che fare solo con merci, musica, video e giochi, ma anche con informazioni, idee e giudizi. Con la conoscenza, il sapere, in parole povere. E che, con l’uso del web, si possa comprare proficuamente tutto senza mediatori è vero; ma se parliamo di conoscenza? Della disintermediazione negli scambi culturali si discute e si sa poco; ed è quindi particolarmente prezioso l’ultimo libro di Giorgio Zanchini, Leggere, cosa e come, sottotitolo: Il giornalismo e l’informazione culturale nell’era della rete, Donzelli editore, che a questo problema è dedicato.
Anticipiamo che, dopo una accurata descrizione, ricchissima di dati, di come avvengono oggi gli scambi culturali, Zanchini conclude che non abbiamo né il tempo né la preparazione per leggere tutto quanto la rete ci propone, e che quindi di mediazione c’è ancora bisogno. E che “i nostri saperi sono troppo incerti per affrontare da soli (…) l’oceano di impulsi, informazioni, opinioni che la rete ci squaderna davanti”. Aggiunge però che i meccanismi stessi della rete hanno messo in discussione i mediatori tradizionali: giornalisti, intellettuali, critici. E che nuove forme di intermediazione si sovrappongono a quelle tradizionali, per le quali gli onnivori, i consumatori indefessi del web, hanno sospetto se non vero e proprio rifiuto. La crisi di credibilità dei mediatori culturali tradizionali è certo in parte giustificata. La società letteraria che domina i supplementi culturali della carta stampata è un mondo spesso elitario, autoriferito, viziato da condizionamenti interni, che parla a una platea ristretta. In rete, invece, proliferano blog di critica letteraria, di gruppi di lettura, di giudizi spontanei. Quello che una volta passava attraverso il passaparola verbale oggi passa attraverso i luoghi deputati in rete, i “media partecipativi”. E questo ha anche ridotto il principio di autorità, rivoluzionato i criteri del giudizio, erodendo la separazione tra alto e basso, cancellando i confini tra impegno ed evasione.
Chi sono, dunque, i nuovi mediatori? Il pubblico,la collettività, i consumatori, dirà chi è convinto delle caratteristiche di indiscussa democraticità della rete. Sono Google, Amazon, Facebook e Microsoft, ma soprattutto il mercato, dirà invece chi, come Asor Rosa, è convinto che questo sia il tramonto della modernità. E il rifiuto della mediazione produrrà una cultura più libera e più diffusa, una nuova intelligenza collettiva, o favorirà la nascita di una generazione di semianalfabeti, sempre connessi ma titolari di un sapere sconnesso, che non sanno leggere un libro ma, poiché passano ore davanti ai dispositivi elettronici, sono convinti di essere bene informati sul mondo in cui vivono?
Cinquantadue anni fa Umberto Eco, affrontando il dibattito aperto dallo sviluppo della cultura di massa, ha coniato la definizione di apocalittici e integrati per identificare chi di quella rivoluzione era un sostenitore acritico e chi la riteneva un fattore di drammatico declino. E sosteneva che solo chi studia con serietà i fenomeni  della comunicazione può descriverne la qualità, perché ogni novità comporta cambiamenti, anche negativi, ma non può essere né rifiutata né arrestata. Zanchini riparametra a oggi quella divisione e parla di “tecnoentusiasti” e “tardoumanisti”, due categorie altrettanto estremizzanti e poco utili a definire il cambiamento in atto, che finiscono per accentuare la separazione storica tra consumatori e professionisti della cultura.
Sarebbe bello e auspicabile che quei due mondi si integrassero, ma la sensazione è che, invece, si guardino “con sospetto, contrapposta altezzosità o disinteresse”.
Innegabile, in definitiva, che la rete sia anche uno spazio di riappropriazione dei contenuti da parte dei fruitori, un’occasione per recuperare autonomia di giudizio e capacità di analisi. Ma vero anche che bisogna essere in grado di verificare le fonti, distinguere le semplici opinioni dalle analisi ragionate. E che, se i lettori oggi non sono più soltanto passivi, la conoscenza, la competenza, lo studio, la passione di chi sui testi ha lavorato non per questo sono diventati inutili, né la funzione critica può essere considerata soltanto l’elitaria pretesa di imporre un sapere oligarchico. “Il mediatore resta a mio avviso una figura decisiva per un’appropriazione controllata delle forme culturali altrui”, conclude Zanchini, ricordando che “C’è un briciolo di umiltà nell’affidarsi ai mediatori”. E, aggiungo io, un briciolo di arroganza nel rifiutarli in blocco.




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