sabato 23 novembre 2019


PAROLE PESANTI E OPINIONI LEGGERE

“Le parole sono importanti”, protestava Nanni Moretti di fronte alla vaghezza espressiva di giovani della penultima generazione. Lo sono ancora.  E’ successo, poco tempo fa, che un capo politico, in una dichiarazione pubblica, si sia espresso così: “dirò ai miei deputati e ai miei senatori di fare…”. Quell’uomo non stava parlando dei suoi compagni di partito. Voleva affermare esattamente quello che ha detto, e cioè di esser il proprietario di uno schieramento parlamentare, che per lui evidentemente non era fatto di esseri pensanti ma di suoi famigli, suoi scherani. Un capo, che dà ordini a un esercito uso a obbedir tacendo.
Al di là del partito politico in oggetto, del fatto che affermazioni del genere non suscitano nessuna reazione, né di stupore né di indignazione, e questo già preoccupa, credo che quella espressione, per isolata che sia (ma non lo è), abbia un significato che va al di là della brutalità ormai consueta del gergo politico attuale. Mi pare tocchi un paio di problemi, culturali, che sono stati, sì, oggetto di dibattito, ma in modo, a me pare, confuso e un po’ superficiale.
Uno è quello sull’opportunità di definire o meno chi fa politica oggi fascista. Seri studiosi si sono impegnati a ricordarci che per fascismo si intende un modo di gestire la cosa pubblica, con la deriva sociale, economica e culturale che, a suo tempo, ne è conseguita. E naturalmente, vista l’obiettività di questa osservazione, dobbiamo ammettere che nessun movimento politico, oggi, potrebbe essere definito fascista. Però ci si è fatti beffe anche di uno scritto sul fascismo di Umberto Eco dove, come spesso faceva, parlava con lieve divertimento di cose serissime, e dove sosteneva esservi una matrice fascista che si può riscontrare nei comportamenti umani, che stava alla base dei valori del fascismo mussoliniano. Dunque, c’è anche qui un problema di uso del linguaggio. Se diamo del fascista a chi, essendo un conservatore un po’ arrogante , bellicoso e poco incline a riconoscere il valore del parlamentarismo democratico, esageriamo? Per non essere imprecisi dovremmo – come suggerisce qualcuno – parlare di postfascismo, o neofascismo? Oppure bisogna ricordare che è da quel tipo di valori che il fascismo ha avuto origine?
A me pare che, in questo caso, non ci si debba perdere nel nominalismo. E’ bene definire fascista chi aborrisce le istituzioni democratiche e tradisce una vocazione autoritaria. Se non lo si fa, si finisce per accettare che la sua cultura politica abbia un valore accettabile per tutti. Se no, rischiamo di dimenticarci che i parlamentari non sono proprietà di un capo, ma rappresentano, ognuno per sua responsabilità personale, i propri  elettori e quindi la nazione.
C’è un altro termine che, negli ultimi anni, è diventato oggetto continuo di polemica e di aggregazione ideologica: è il rifiuto nei confronti delle élites. Anche qui l’uso della parole è discutibile, ma soprattutto impreciso. Con chi se la prendono i movimenti e i loro capi che ricordano in continuazione che le élites hanno rovinato il paese? Molto difficile capirlo, tanto che sembra trattarsi fondamentalmente di puro strumento di propaganda: si inventa un nemico, ancorché inesistente, gli si dà un nome che suona plausibile e si va all’attacco. Penso che sia importante riflettere su questo, che è ancora una volta un problema culturale, perché tutti i movimenti autoritari hanno costruito la loro fortuna inventando nemici immaginari, dando loro la parvenza di un’entità segreta e pericolosa che lavora nell’ombra contro gli interessi di un popolo. Dai tempi dei Protocolli dei savi di Sion, il meccanismo è stato usato ripetutamente, e con efficacia. Tempo fa un leader politico continuava a chiamare i suo i elettori a combattere il pericolo comunista, mentre i comunisti erano spariti dalla scena politica italiana ed europea da un pezzo. Oggi il pericolo sono le élites. Ma quali? Le élites economiche, finanziarie, quelle politiche (cioè gli stessi che ne stigmatizzano l’esistenza ), le élites intellettuali (ormai senza potere), i giornalisti (mentre i lettori dei giornali stanno sparendo) o quelle degli apparati della comunicazione digitale? 
Penso che dietro questa fantasiosa costruzione propagandistica ci sia qualcosa di pericoloso, e cioè l’idea di mettere in guardia gli elettori nei confronti di chi, avendo competenze, può imporre loro qualcosa di spiacevole. Un economista che spiega che, se non si pagano le tasse, non si hanno più servizi; un medico che dice che, senza vaccini, c’è il pericolo di epidemie; un intellettuale che dice che, se la collettività non studia, non legge, non si informa non è consapevole.
Ecco, qui il vero problema culturale. Un’onda emotiva che dice che chi più sa più ti danneggia. Ecco perché le élites fanno paura. C’è il rischio che dicano la verità.

 (Da l'Immaginazione)

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