venerdì 4 luglio 2014

SONO CONNESSO MA NON CONNETTO

La critica letteraria serve ancora a qualcosa? E le recensioni degli utenti, in rete, la possono sostituire? La questione non è sprovvista di una sua sensatezza, se sono in molti ad affermare che le terze pagine dei giornali hanno perso autorevolezza e che, al contrario, la sincerità e la mancanza di vincoli che caratterizzano i liberi interventi in rete aprono la strada a una nuova e più limpida analisi dei testi, lontana dalle ipocrisie e dalle piccole e grandi mafie della società letteraria.
Non c’è bisogno di verifiche particolari per dire che una buona parte delle pagine culturali dei quotidiani sono dedicate all’inesausta produzione di “marchette” letterarie: noi giornalisti culturali recensiamo entusiasticamente i libri dei direttori, dei caporedattori e dei colleghi della nostra testata, e anche di quelle concorrenti. Non si sa mai, la volta dopo potremmo trarne merce di scambio.
Ma in rete, nella limpida, democratica rete, fuori da ogni condizionamento, da ogni do ut des, da ogni servaggio professionale? Una riflessione mi è stata sollecitata da una recente ricognizione. Ho fatto, per un lavoro che mi era stato chiesto, una ricerca su Cuore di tenebra, di Conrad. Sfogliati alcuni testi classici di critica, ho cominciato a frugare tra blog e commenti in rete, per farmi un’idea di cosa ne pensava il grande pubblico. Ho trovato qualche sincero commento positivo; ma anche prose di questo genere:

(su IBS.it) Andrea (voto: 2/5); Conrad ha mancato della capacità di irretire il lettore e quindi la lettura delle pagine scorre lenta e noiosa cosa che, pur trattando di temi complessi, non si riscontra ad esempio in Orwell (che scrive anche lui romanzi). Poi se gli elogi sono fatti in massa perché viene ritenuto da sempre un capolavoro della letteratura e le persone non vogliono fare la figura degli “intellettuali timidi” perché criticano un “capolavoro” è un po’ come darsi dell’imbecille agli occhi degli altri.
(ancora IBS) Nicola Mosti (voto: 3/5): Per cominciare, intenderei demolire la tiritera in base alla quale ai lettori non è consentito esprimere critiche a un testo di narrativa se non lo si contestualizza, se non si sposta il piano di lettura, se non si trasfigurano i contenuti e altre amenità (…) Premessa necessaria per sgomberare il campo dai preconcetti che ammorbano la mente dei critici di professione, secondo i quali i mostri sacri della letteratura non posso mai essere messi in discussione dai semplici lettori. Quegli stessi personaggi che, dallo scranno del loro dottissimo studio, distruggono inappellabilmente scrittori contemporanei (…).
 (su Qlibri) Martillo8: Lo stile è quello che si addice all’800, basato su termini di linguaggio elevato e quasi aulico, scritti in un inglese antico e ormai in disuso.
(Sempre Qlibri) Artemisia: Il mio “disappunto” si rivolge principalmente alla “scorrevolezza” dell’opera che nonostante la tematica “umanistica” non riesce, a mio parere, a interessare il lettore e a “travolgerlo” come invece vi riesce il film “Apocalypse now”.
(su Letterati.it) Giuseppe Salsano: Il mare e gli oceani sono, come in Melville, il simbolo di ogni sfida, ma la mole smisurata della loro forza e delle loro dimensioni sono inconcepibili, quindi sublimi, ad ogni ragione umana…

Be’, sarebbe troppo facile fare dell’ironia su un linguaggio povero o inappropriato, su paragoni fuori luogo con autori distanti nel tempo e nelle tematiche, sull’uso spropositato delle virgolettatura e così via.  Quello che colpisce è l’astio nei confronti della critica ufficiale, colpevole di dare giudizi (ma cos’altro dovrebbe fare) e di non apprezzare gli scrittori contemporanei (qui sospetto una stroncatura non digerita), ma soprattutto di negare il diritto di dire la loro ai lettori qualunque. Naturalmente è in parte vero: lo sto facendo anch’io, in questo momento. Ma è anche vero che tendo a non considerare autorevole una recensione scritta in un italiano zoppicante, e gravida di risentimento verso la cultura ufficiale. Che si merita il massimo disprezzo, sarà vero, ma per ridimensionare la quale è necessaria un’autorevolezza che questi scritti non hanno.
Se una conclusione posso trarre, da questa come da altre ricognizioni fatte in rete, debbo dire che i giudizi dei lettori sono spesso superficiali, frutto di letture mal digerite e di piccoli risentimenti personali. Qualcuno dirà che non è un problema, che opinioni del genere sono sempre esistite. Ma una volta non si trovavano in rete, e non avevano altro ruolo che quello di una chiacchiera da bar. Oggi i pareri su Conrad che ho riportato hanno, per certi versi, la stessa dignità  di una introduzione di un grande anglista o della recensione di uno specialista di letteratura marinara. Ecco, questo secondo me è un problema. Perché se tutti i pareri hanno diritto allo stesso rispetto, alla fine nessun parere avrà diritto a rispetto alcuno. Se lo studioso vale come il lettore comune, non ci sarà più nessuno che rappresenterà un momento di mediazione tra chi ha competenza e chi non ne ha. Se non ci sono più gerarchie della conoscenza, non ci sono nemmeno gerarchie dei ruoli.
Immagino che qualcuno penserà che questa è la democrazia, che quello che accade per le recensioni dovrebbe accadere per tutto e che in questo modo saremmo tutti più uguali e più felici. Non sono d’accordo. Neanche un po’. Saremmo tutti più ignoranti, più arroganti e più confusi. La democrazia è anche rispetto per le competenze. Senza quel rispetto, è logico che i genitori vadano a minacciare il professore che dà cattivi voti al ragazzo che non studia, che i cittadini disonesti protestino il giudice che li condanna e gli evasori fiscali chi vuol far pagare loro le tasse. L’uguaglianza è necessaria in partenza, per dare a tutti le stesse opportunità. Dopo, chi più sa deve avere più responsabilità, ne deve portare il peso, risponderne e esserne degno. Questo sì. E chi non ha l’autorevolezza necessaria per svolgere il ruolo che ha conquistato, ne paghi le conseguenze. Ma non tutti possono fare tutto. E la rete, che per la sua capacità di dare infinite informazioni a tutti, è uno strumento di grande democrazia, non lo è se ci riduce tutti allo stesso ruolo.
Ricordiamo il percorso della rivoluzione della Fattoria degli animali. Non siamo, e non vogliamo diventare tutti uguali. Anche perché, dietro l’angolo, c’è sempre un maiale che sostiene di essere più uguale degli altri.

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