sabato 16 agosto 2014

AIUTO, ARRIVA LA REPUBBLICA PLATONICA

Sono in ritardo, terribilmente in ritardo. Non mi ero accorto che, mentre tutti si baloccavano nel maldestro tentativo di riformare il parlamento, c’era chi aveva trovato la chiave per far funzionare, finalmente, le istituzioni, realizzando la Repubblica platonica e il governo dei filosofi.

  Forse avrei dovuto stare più attento, perché qualche segnale c’era già stato. Ma la dimostrazione che i tempi erano maturi per arrivare alla kallipolis, dove l’aurea classe dei filosofi potrebbe governarci con naturale saggezza e razionalità, mi è venuta dall’articolo pubblicato dalla senatrice a vita Elena Cattaneo su Repubblica, il 7 agosto scorso, dal titolo “Senato, occasione persa. Si poteva volare più alto”. Il nodo sta nell’ultima parte dell’articolo, nel quale la studiosa – per la cui competenza scientifica ho la massima stima – lamenta la “distanza” con la quale è stata accolta la proposta di “rafforzare nel nuovo Senato le competenze culturali, accademiche o di eccellenze internazionalmente riconosciute”.  E’ chiaro che la senatrice non ritiene sufficienti le dieci personalità che – secondo il progetto governativo - nominerà il Presidente della Repubblica, che saranno pur sempre un decimo dell’assemblea. Devo immaginare che abbia immaginato che potessero essere il 20, il 30 per cento, o addirittura di più. Vediamo come ci si sarebbe potuti arrivare e cosa ne sarebbe derivato.
Innanzitutto, come si fa ad individuare le “personalità abituate a disegnare le frontiere del mondo”, come auspicato nell’articolo? Se dovesse essere il Presidente della Repubblica, a farlo, ne verrebbe fuori una sorta di “Parlamento del Presidente”, e non oso immaginare la pioggia di critiche e contestazioni che produrrebbe. Le “personalità” dovrebbero essere allora elette direttamente dai cittadini, o dagli amministratori che nomineranno il senato “politico”? E perché mai i cittadini e gli amministratori dovrebbero sapere chi sa disegnare le frontiere del mondo, e perché questi dovrebbero essere meglio dei politici che saranno nominati? O dovremmo avere una lista bloccata di “disegnatori di frontiere”, garantita da qualche entità scientifica? Peggio mi sento. Ve lo immaginate un ramo del Parlamento nominato dai rettori, dai docenti universitari, dai ricercatori? Gli stessi che da anni non riescono a varare un solo concorso che non sia contestato per clientelismo, che hanno trasformato le maggiori università in emblemi del nepotismo, che sono responsabili di una selezione alla rovescia, che ha portato in cattedra amici e parenti, mentre i cervelli migliori dovevano emigrare? Per non parlare di quelli che portano a far lezione Gheddafi o Schettino. E certo che ci sono docenti degnissimi, di grandi capacità e di grande dirittura morale, Ma c’è il modo di selezionare solo i migliori, gli onesti, i veri “disegnatori di frontiere”? Io non lo vedo. E non vedo quindi nessuna possibilità di realizzare la Repubblica platonica. Si chiama utopia, quel nobile progetto, perché è irrealizzabile. E credo che sia bene che utopia rimanga.
Personalmente non ho nessun particolare entusiasmo per la riforma costituzionale così com’è disegnata; avrei preferito, per esempio, l’eliminazione completa del senato. Ma nessuno si illude che la politica faccia quel che piace a lui (e se lo fa, dimostra di essere assai immaturo). Credo invece che valga la pena dare un’occhiata alle altre obiezioni che la senatrice oppone alla riforma, visto che sono condivise da molti commentatori e anche da alcuni eminenti studiosi. Dice Elena Cattaneo che: 1) Si è dato scarso ascolto a chi aveva altre idee. Sarà vero, ma a me è parso che le altre idee, ampiamente discusse, fossero fondamentalmente opposte a quelle di chi ha disegnato il nuovo senato. Farle convivere era semplicemente impossibile, per cui, come succede in democrazia, si è andati a votare e ha vinto la maggioranza. 2) Il voto è stato condizionato da pressioni esterne ed è andato a buon fine per la disciplina di partito. E che novità sarebbe? A meno che in parlamento sieda una maggioranza coesa e autoritaria, la decisioni importanti devono essere prese tenendo conto dell’opinione del maggior numero di votanti, come anche del maggior numero di cittadini. E i rappresentanti dei partiti, di solito, si mettono d’accordo per votare insieme; salvo contestatori che, infatti, ci sono stati. Così funziona un parlamento, ed è giusto che i parlamenti siano condizionati dall’opinione pubblica. 3) Il progetto è pasticciato perché manca la riduzione dei numero dei deputati e mancano garanzie di bilanciamento. Sul numero dei deputati non posso che essere d’accordo, ma temo che il parlamento non fosse ancora pronto a un simile sacrificio: sappiamo tutti che chi vi siede spera di essere rieletto, alle prossime elezioni, e difficilmente si troverebbero i numeri per far passare una riforma che prevede che il numero dei parlamentari (retribuiti) scenda ulteriormente. Sugli strumenti di bilanciamento dei poteri, sono stati molti a chiedere che se ne varassero, ma nessuno ha spiegato di quali si tratterebbe, se non di un redivivo senato elettivo. L’obiezione nasce dal fatto che in questo modo il paese sarebbe vittima dello strapotere di un solo partito, e che questo ci porterebbe a una forma di democrazia autoritaria. Ma dove erano, mi chiedo, le forme di bilanciamento dei poteri del passato, quanto passavano le leggi ad personam, lo svuotamento delle casse dello stato per favorire i benestanti a danno dei ceti meno abbienti, e si varavano improvvidi alleggerimenti fiscali che ci hanno portato sull’orlo del baratro e si sono dovuti subito correggere? E, in definitiva, le leggi non possono essere corrette, che ci siano una o più camere, cambiata la maggioranza?
Ci sono altre obiezioni che mi lasciano perplesso, sulla riforma costituzionale e sull’italicum. Perché l’elezione indiretta dovrebbe portare in senato dei farabutti, mentre quella diretta no? Forse che, quando votiamo per i comuni e le regioni siamo corrotti, mentre quando votiamo alle politiche siamo spiriti illuminati? Se così fosse, oltre alle provincie si dovrebbero eliminare anche tutte le altre forme di amministrazione locale. Ma c’è anche l’obiezione che così mancherebbe pluralismo e ci si affiderebbe a un unico partito, con rischi dittatoriali. A me sembra che questo ci porterebbe, piuttosto, verso un bipartitismo meno imperfetto di quello provato finora; forse che in Germania, Regno Unito, Francia, USA non vigono da decenni bipartitismi quasi perfetti? O forse che lì c’è meno democrazia? E ancora, si rimpiangono le preferenze, che però sono state eliminate con un referendum perché erano la peggiori forme di clientelismo e di corruzione, o ce ne siamo dimenticati? Ma sarebbe meglio l’uninominale a doppio turno, alla francese, dice qualcuno; e io – per quel che vale - sarei d’accordo. Ma ci sono i numeri, in parlamento, per farlo passare? Mi pare proprio di no.
In definitiva, ho la sensazione che le obiezioni alle riforme in atto siano in sostanza obiezioni alle riforme tout court, e che nascondano una nostalgia, comprensibile ma inopportuna, per tempi passati. Passati non solo perché non ci sono più i partiti di massa, ma soprattutto perché non ci sono più grandi ideologie contrapposte. Un vuoto che, negli ultimi anni, ha lasciato spazio a un immobilismo colpevole e a un clientelismo devastante. Il nuovo non sarà meraviglioso, ma bisogna almeno prima provarlo; poi ci sarà il tempo (con altre maggioranze, e con tempi ridotti) di cambiare.
Abbia pazienza, senatrice Cattaneo, la politica è l’arte del meno peggio. Chi vuole il meglio, il più delle volte, produce disastri. Ma lei è una novizia dei lavori parlamentari. Ho paura che, dietro le sue argomentazioni, si siano schierate vecchie volpi che pensano solo a se stesse. O, forse, anche chi ha nostalgia di un parlamento in cui a ogni passaggio, da una camera all’altra, si aggiungeva un codicillo che premiava una lobby, un paragrafo che garantiva una corporazione, una spesa in più per tutti che andava a premiare solo alcuni privilegiati. Oppure, addirittura, chi rimpiange le nobili gesta dei Turigliatti, la conquista a suon di donazioni dei deputati (confessi), il repentino voltafaccia degli Scilipoti.

E’ questo è il parlamento che si rimpiange? Questo il ricco fluire di pluralismo? Meglio dimenticarlo: è quello che ha portato al declino politico, economico, morale e culturale del paese. Bisogna cambiare pagina. 

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