martedì 12 agosto 2014

GIAN ARTURO FERRARI
E IL ROUSSOIANESIMO DIGITALE

“I fortissimi lettori non sono sempre pozzi di scienza, ma molto spesso anziane casalinghe che leggono uno dietro l’altro romanzi rosa tutti uguali”. Il sarcasmo di Gian Arturo Ferrari non è ingiustificato, perché ogni tanto è bene ricordare che il libro (e il lettore), anche se godono da sempre di un’aura di superiorità intellettuale, se non spirituale, non vanno sacralizzati. Né deve scandalizzare il taglio spregiudicato col quale Ferrari parla del mercato editoriale nel suo eponimo Libro (Bollati Boringhieri, 2014),  ricordandoci che il libro serve tanto Dio che Mammona, e che se il libro è diventato un business bisogna tener presente che si tratta di un processo iniziato quattro secoli fa.
La parte in cui Ferrari descrive – con precisione e senza falsi pudori - la situazione dell’editoria oggi, non interesserà tanto gli addetti ai lavori, che già ci vivono dentro, quanto chi quel mondo lo vede dal di fuori. Si stampano troppi libri, e pochi buoni, c’è un profluvio di non-libri, nel lungo periodo sopravvivono solo i migliori (mah, mica sempre vero), la preoccupazione principale degli editori è di trovare di che alimentare le proprie macchine, e in definitiva è stata solo l’editoria industriale, con bassi prezzi e contenuti semplificati, a garantire l’auspicio illuminista di una diffusione capillare della conoscenza. 
La parte più originale e benissimo documentata è la prima, quella che riguarda la storia del libro dalle origini ad oggi, con informazioni precise sulla nascita e lo sviluppo della scrittura, sul modo in cui si è sviluppata la forma del libro e sul modo in cui i cambiamenti della forma hanno modificato progressivamente la sostanza di quello che i libri contengono. Ed è il torchio a caratteri mobili, la nascita del libro a stampa, che produce i principali mutamenti. Ferrari giustamente sottolinea che solo allora, con l’apparire della data dell’edizione, ogni libro acquista una sua identità anagrafica precisa, e sviluppa una caratteristica che fino allora la scrittura non poteva avere, e cioè il pregio della novità. Perché, nel ‘500 come oggi, il pubblico compra ciò che è nuovo: buono o cattivo che sia, purché sia una novità. E la possibilità di stampare molte copie è l’altro strumento che completa l’essenza del libro a stampa. E’ lì che nasce una forma nuova di diffusione della conoscenza, non più elitaria e quasi esoterica, come accadeva per il codice copiato a mano, ma alla portata di (quasi) tutti.
Di lì all’e-book il passo non è breve, ma Ferrari ci arriva con idee non banali. Quella digitale, riflette, è il primo caso di una tecnologia che incorpora direttamente un’ideologia; “talmente forte da non nascondere la propria natura di supporto di giganteschi interessi monopolistici”. E l’e-book ha la caratteristica di non essere una tecnologia che lentamente soppianta la precedente (come il CD ha soppiantato il vinile), ma di convivere in un confronto diretto con la tecnologia precedente. Ora, l’ideologia digitale applicata al libro ha come caratteristica principale quella di “aprire le porte al regno del tutto”, in un’idea di totalità che suggerisce uno spazio di libertà assoluta. Al sentimento di limitazione che accompagna da sempre il libro stampato, che non può raggiungere tutti e che non tutti possono raggiungere, l’ideologia dell’e-book sostituisce una sfacciata pretesa di totalità, di libera espressione alla portata di tutti.
Non c’è mai stata, ricorda Ferrari, e mai ci sarà una biblioteca come quella di Borges, che contiene tutti i libri; e a cosa servirebbe, in definitiva, la totalità dei libri, cosa ce ne faremmo? Ed è vero che ogni libreria ha un assortimento diverso da tutte le altre.  Questo ne costituisce il limite, ma anche il fascino e il pregio, dico io. Nell’idea di totalità, invece, c’è un po’ tutta l’ideologia digitale, presentata come se fosse una magica porta che apre la strada verso il sapere universale. Con una brillante intuizione, Ferrari la definisce una sorta di roussoianesimo digitale, l’idealizzazione di uno spazio senza divieti né balzelli, libero e gratuito, senza controlli e interessi occulti, dove tutto si regola da solo e dove la genuina espressione della natura umana tende naturalmente al bene e al bello.
Mi sembra una suggestione perfetta. Un’illusione ingenua e pericolosa, anche se probabilmente inarrestabile, tipica di chi pensa che la rete, da sola, metta a disposizione tutta la conoscenza umana senza chiedere niente in cambio. Un’illusione anarchica e sentimentale come quella, opposta, del sentimentalismo liberale: che il libero mercato, incontrollato, non possa che produrre benessere e felicità.
Inutile fare previsioni sul futuro. Ferrari ricorda che la lettura è un’attività complessa e faticosa, e che i libri si vendono anche perché c’è un libraio esperto che ce li suggerisce, perché li incontriamo, fisicamente, in una libreria, perché hanno una fisicità, una copertina, e un dorso visibile anche quando, già letti, prendono posto negli scaffali della nostra biblioteca personale. Può l’e-book sostituirli? Più probabile che diventi un prodotto multimediale, un ibrido che poco ha a che fare col libro. “Non si vede, infatti, quale beneficio multimediale potrebbero mai ricevere i racconti di Alice Munro o di Philip Roth”. Appunto.

Ma allora forse bisogna fare attenzione, forse bisogna immaginare una forma di difesa del vecchio e buon libro cartaceo; perché se questo è ciò che prevarrà, la nuova forma del libro – come è accaduto con Gutenberg – ne cambierà anche la sostanza, il contenuto, la forza. Forse aprirà la strada a nuovi lettori, che finora erano spaventati dall’impegno che la lettura tradizionale comporta. Forse sarà anche ulteriore una forma di democratizzazione della conoscenza. Ma anche di mutamento di paradigma. Una lettura fatta per immagini, sostenuta da rimandi a dettagli sulla vita dell’autore, magari con appositi video, qualche pettegolezzo, non sarà più il complesso esercizio di astrazione che il libro tradizionale ci impone, facendoci allenare un muscolo essenziale per produrre il pensiero. Ecco, forse, assieme ai vantaggi di una più ampia distribuzione del sapere, di una immediata, economica e capillare distribuzione del nuovo prodotto, rischiamo di restringere la capacità di lettura e un’élite di studiosi, affezionati al loro esercizio di interpretazione simbolica di quei piccoli, neri segni convenzionali che hanno composto fino ad oggi le parole, le frasi, i capitoli, i volumi nei quali si è addensata la conoscenza dell’uomo negli ultimi tre millenni. Perderemo qualcosa? Ho paura di sì. Senza quell’esercizio, addio lettura, addio sogni illuministici, e addio libro, almeno per come li abbiamo intesi fino ad oggi. 

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