mercoledì 22 luglio 2015

Sono in ritardo, terribilmente in ritardo.
Credevo che fosse tempo di superare il bicameralismo,
e non mi ero accorto invece che è il senato
che ci ha salvati finora dall’avvento di una dittatura.


Poiché se ne parla da anni, mi ero illuso che ci fosse una convergenza di opinioni sull’opportunità di superare il bicameralismo, in Italia. C’è stata invece una levata di scudi di fronte al progetto di riforma costituzionale che prevede un senato di soli 100 membri, non elettivo, con un ruolo limitato e soprattutto senza il potere di dare o togliere la fiducia al governo. Certo, a me era parsa una riforma timida: mi sarebbe parso molto più sensato eliminarlo definitivamente, il senato, limitandosi a chiamare qualche rappresentante di comuni e regioni ad eleggere il Capo dello stato e le altre cariche di rilevanza nazionale.
Invece vari commentatori, e soprattutto Eugenio Scalfari, mi hanno fatto capire che sarebbe un errore. In particolare il 19 luglio, nella sua “omelia” domenicale su Repubblica, Scalfari ci ha ricordato che il senato ha un essenziale ruolo di garanzia e di contrappeso alle altre istituzioni dello stato, e soprattutto che, nel novembre del 2011, se non ci fosse stato il voto contrario del senato, non saremmo mai riusciti a liberarci di Berlusconi.     
Il giorno dopo Scalfari ha dovuto rettificare, ricordando che non è stato il senato, ma la camera a sfiduciare nel 2011 Berlusconi. Niente di male: una piccola svista, onestamente e tempestivamente corretta dal Nostro. Si potrebbe persino argomentare che l’importante non è quale sia stato, dei due rami del parlamento, a sfiduciare il governo, ma che i due rami abbiano ruoli, meccanismi elettivi ed età eleggibile diversi, e quindi svolgano l’uno il ruolo del controllore di ciò che fa l’altro. Il fatto è che Berlusconi era altrettanto forte nelle due camere, ed è stato il venir meno dei voti della Lega, e non il ruolo di contropotere del senato a farlo cadere.
Se questo è vero, tutta l’argomentazione perde senso. Anche se, per il lettore che non ricordasse il meccanismo argomentativo, la precisazione del giorno dopo non modificherebbe quanto letto il giorno prima, a me sembra che Scalfari avrebbe dovuto ricordare che questo dettaglio cambiava qualcosa. Anzi, cambiava tutto, poiché l’argomentazione sull’essenziale ruolo del senato nella difesa della democrazia in Italia sembrava reggersi proprio sull’occasione nella quale aveva sollevato il paese dal pesante giogo berlusconiano. Il che non è.
A me pare che l’occasione meriti una riflessione. Perché da più (ed eterogenee) parti si sostiene che l’eliminazione del senato metterebbe in pericolo la sopravvivenza della democrazia? Forse che il bicameralismo ci ha salvato, negli ultimi vent’anni, dall’esistenza di un drammatico conflitto di interessi, dall’abnorme concentrazione di potere editoriale nelle mani del presidente del consiglio (tutte le televisioni generaliste e alcune importanti testate nazionali sono state sotto il controllo di Berlusconi per due decenni, e in buona parte lo sono ancora), dal varo di una legge elettorale che gli stessi estensori definivano “una porcata”, per non citare che le più clamorose violazioni delle più elementari norme della vita democratica del paese. Cosa faceva l’indispensabile senato, mentre il paese andava a picco e ci rendevamo ridicoli davanti al mondo intero? Niente, perché era una fotocopia della camera dei deputati, e lo sarebbe di nuovo se passassero le obiezioni di Scalfari, della sinistra Dem, di variegate parti della destra e di altri partitini assortiti.
C’è qualcosa invece che non sarebbe accaduto, se nella storia repubblicana non fosse esistito il senato. Per esempio, il palleggio tra le due camere di ogni legge che ledesse qualche interesse personale o di categoria che un sia pur piccolo spicchio parlamentare rappresentava. O l’infinito rimpinzarsi, nel loro andirivieni, delle leggi finanziarie (o come si vogliano chiamare) di emendamenti, aggiunte, rifiniture destinate a premiare più o meno significativi interessi locali, di parte, di corporazioni, di correnti di partito, di singoli parlamentari. Non sarebbe accaduto, forse, che semplici interventi legislativi restassero lettera morta, senza decreti attuativi, perché incontravano l’opposizione di minime parti di una delle camere. O che il pletorico numero di parlamentari, i loro uffici, i loro portaborse, l’enorme apparato burocratico che le due istituzioni si sono date, il tutto condito con stipendi fuori misura, benefit strepitosi, Tfr precoci, e pensioni e vitalizi di entità ingiustificate producessero una giustificata ondata di rifiuto della politica, dei partiti e delle istituzioni, e l’insorgere di movimenti di protesta che rendono difficile l’amministrazione stessa della nazione.
Vogliamo aggiungere che l’esistenza di quasi mille parlamentari – senza distinzione di schieramento, purtroppo – rappresenta uno stimolo allo sviluppo della propensione italiana al clientelismo, alla raccomandazione, al nepotismo, alla tendenza di trovare il modo di farla franca malgrado accertate responsabilità e quindi, per dirla tutta, un sostegno per la tendenza all’illegalità di massa che rende così difficile organizzare l’Italia come un paese moderno.   
Un’ultima cosa: si dice che un senato non eletto direttamente dai cittadini ma nominato dagli enti locali sarebbe vittima della corruzione e dell’inefficienza che caratterizza comuni e regioni. Curioso ragionamento. Forse che, quando votiamo per il parlamento, siamo onesti e oculati, mentre quando votiamo per la regione siamo corrotti e clientelari? Io temo che noi italiani votiamo sempre allo stesso modo. E il fatto – se accade - che nelle nostre scelte politiche prevalgano interessi personali invece che senso dello stato rispecchia purtroppo una cultura (o incultura) diffusa, che caratterizza non solo il ceto politico, ma l’intera società civile.
Ritornando alla domanda posta prima: perché allora un così vasto schieramento cerca di bloccare l’eliminazione del senato, visto che, così com’è, produce più guai che vantaggi? Temo – ma forse sono troppo pessimista - che nei partiti ci siano forti spinte a mantenere alto il numero dei parlamentari perché sono posti di lavoro, tra gli eletti e il largo indotto, che aiutano la loro stessa sopravvivenza. Temo anche che la nuova legge elettorale, assieme alla revisione costituzionale, faccia sì che alcuni, nelle forze sopravvissute alla prima e alla seconda repubblica, rimpiangano il meccanismo di alleanze e di consociazioni che permetteva anche alle forze minori e all’opposizione di avere un certo potere nel processo decisionale del parlamento. Temo infine che, magari in buona fede, ci sia una vasta parte di opinione pubblica che ha nostalgia di un ordine ormai tramontato e di un parlamento dove il dibattito era sempre ampio, aperto e democratico, ma dove nessuna forza politica aveva la forza di imporre nessun vero cambiamento, senza sottostare a piccoli e grandi ricatti delle altre.

Per concludere, può darsi che qualche rischio, ad eliminare il senato, lo si corra, non lo nego. Anche se ad ogni riforma sbagliata si può porre rimedio. Ma a me pare che il rischio più grave, in Italia, sia quello di continuare a non cambiare niente, e di farsi fermare dai distinguo e dagli allarmismi di una classe politica che non è riuscita a eliminare una sola delle storture che affliggono il paese. E non c’è niente di peggio di chi viaggia sempre con la testa rivolta all’indietro. 

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