DESTRA E SINISTRA, 20 ANNI DOPO
Quello che colpisce ancora oggi, del
famosissimo libro di Norberto Bobbio, è la dimensione quasi puntigliosa dell’analisi
di quella che resta la principale
dicotomia politica della modernità; un’analisi svolta con una precisione che
sarei tentato di definire ossessiva, tanto è dettagliata ed esaustiva. E che
parte dall’esame delle argomentazioni di chi – allora come oggi - contesta la persistenza di significati profondi e divaricatori nei termini di
questa diade. L’editore Donzelli ha giustamente ristampato Destra e sinistra con un’ampia appendice; ma non è soltanto un riconoscimento
all’alta qualità del lavoro dello studioso perché, nella rilettura, emergono prepotentemente
i motivi della attualità del testo. Per individuarli, val la pena ripercorrere
le tappe dell’indagine, per cui andiamo
con ordine.
Bobbio inizia analizzando le
posizioni di chi contesta che, nelle democrazie avanzate, ci siano ancora vere
antitesi nei diversi progetti politici, sostenendo che ormai permangono
soltanto differenti soluzioni tecniche ai problemi interni a sistemi dati.
Sensato ma non decisivo, dice Bobbio. Ed è vero che possano esistere forti
punti di contatto anche tra schieramenti politici contrapposti, che gli
schieramenti trovino conforto in autori che sono stati considerati maestri
dallo schieramento opposto, che uno dei due fronti possa entrare in un’eclisse
che lo esclude dalla competizione, come è vero che esistono zone intermedie, centrismi, che sfumano le differenze, e
che possono oscurare le zone di contrapposizione. Vero, come è accaduto che la
sinistra abbia riconosciuto il valore di Nietzsche e la destra quello di
Gramsci. Ma non elimina la contrapposizione, come naturalmente non è che il
bianco e il nero non esistono solo perché esiste il grigio.
Non ci si può limitare a contrapporre
schieramenti moderati a quelli estremistici, dice Bobbio, perché può accadere che ce ne siano a destra come a sinistra. Né si può sostituire la diade destra-sinistra
con quella progressisti-conservatori, perché le due caratteristiche possono
essere declinate, con varie sfumature, per tutte e due gli schieramenti. E non vale
nemmeno il riferimento a un credo religioso, anche questo identificabile in
ogni schieramento.
Ci sono contrapposizioni che, invece
di basarsi su forti caratterizzazioni ideali, sono dovute all’uso di valori
strumentali (benessere/vs/austerità, o individualismo/vs/anti-individualismo),
ad atteggiamenti conoscitivi (romantico o realista, critico o sentimentale),
che però non coincidono con la diade destra-sinistra. Ci sono infatti romantici,
individualisti e austeri in ogni schieramento. Per Marco Revelli destra e
sinistra non sono concetti assoluti, cambiano nel tempo, e non si possono
fissare contenutisticamente. Un’attribuzione alla destra di forte radicamento
su suolo, natura e storia, difesa del passato e delle tradizioni, contrapposta
all’ideale della liberazione dell’uomo da poteri ingiusti e oppressivi
rappresenta, per Cofrancesco, una permanente divaricazione tra i due
schieramenti, che si può sintetizzare nella diade tradizione/vs/emancipazione. Distinzioni interessanti, ma non dirimenti. Per Laponce la diade classica rimanda a
“gerarchia” ed “eguaglianza”; e siamo già in una zona più promettente, anche se il
concetto di eguaglianza è relativo: può riguardare i soggetti, i beni, e i
concetti con cui sono ripartiti. E c’è chi sostiene che le diseguaglianze sono
naturali, mentre c’è chi ritiene che alcune abbiano origine sociale. Esemplari,
in questo senso, le posizioni di Rousseau e di Nietzsche: per l’uno gli uomini
nascono uguali e sono resi diversi dalla società, per l’altro nascono diversi e
sono resi artificialmente simili dalla società.
E bisogna distinguere, dice Bobbio, tra
“egualitario” ed “egualitarista”, poiché il primo si propone di ridurre le
disuguaglianze, mentre il secondo le nega e vuole, utopisticamente,
l’uguaglianza di tutti in tutto. Fatte queste distinzioni, però, ecco finalmente
farsi strada un terreno più solido su cui lavorare alla ricerca di una
definizione della diade iniziale. L’elemento che meglio caratterizza i
movimenti di sinistra è la tendenza
a una maggiore eguaglianza, e la propensione a sostenere le politiche che
mirano a limitare le diseguaglianze, mentre è caratteristico della destra difendere le politiche e le
tradizioni che garantiscono il permanere delle diseguaglianze.
Ecco che la distinzione fondamentale,
non storicamente determinata, non ondivaga, come qualcuno vorrebbe, si è
finalmente delineata con forza. La rigorosa ricerca analitica di Bobbio ci dà
un risultato difficilmente contestabile. La distinzione tra destra e sinistra
sta lì: nell’essere più o meno propensi
al superamento delle diseguaglianze.
Nell’appendice della edizione del
ventennale troviamo due interventi di attualizzazione. Uno, di Daniel
Cohn-Bendit, un po’ confuso, in cui si contesta a Bobbio di aver parlato di
partiti (mentre Bobbio non li cita nemmeno), e si introduce un impreciso
concetto di “autonomia democratica”, di cui onestamente non ho capito bene il
senso: sarà un mio limite. L’altro intervento è di Matteo Renzi che, pur accettando l’idea che
l’eguaglianza debba restare la frontiera dei democratici, si propone di andare
oltre i risultati della ricerca di Bobbio.
Scrive Renzi che oggi i problemi
sociali si sono internazionalizzati, ed è vero; che il continuo cambiamento
della modernità non deve essere considerato un intralcio ma una benedizione, e
che la sinistra, invece, ne ha paura, e purtroppo è così, e si è visto con
l’inconsistenza delle ultime campagne elettorali; che se le cose sono cambiate
e oggi c’è più giustizia sociale è perché la sinistra ha vinto importanti
battaglie, e dovrebbe esserne orgogliosa e guardare in avanti, invece di
arroccarsi su battaglie di retroguardia, e ancora una volta non si può non
essere d’accordo; e dice che si deve anche tener conto di come ci si pone nei
confronti del tempo, e che esiste anche la contrapposizione tra passato e
avvenire, e tra movimento e stagnazione. E ha di nuovo ragione, ed è perché si
è impantanata in una cristallizzazione delle sue parole d’ordine che la
sinistra ha avuto un’eclisse di consensi.
Ma Renzi sostiene anche che oggi i
movimenti politici agiscono “in un magma che non si può ricondurre soltanto al
binomio destra/sinistra”, ma piuttosto alla contrapposizione
conservazione/innovazione. Aggiunge che il welfare ha cancellato le
diseguaglianze per quanto riguarda i bisogni primari, e che i blocchi sociali
di una volta non esistono più.
Qui credo che Renzi sbagli, perché è
vero che abbiamo fatto grandi conquiste in termini di giustizia sociale e di
pari opportunità. Ma siamo molto lontani da un mondo in cui tutti hanno la possibilità
di studiare, lavorare, e avere accesso alla salute, all’educazione,
all’informazione allo stesso modo. E vorrei aggiungere che l’innovazione non è
sempre un progresso verso l’eguaglianza, perché ci sono innovazioni che
producono nuove emarginazioni e nuove forme di povertà, che richiedono nuove
sensibilità e nuovi impegni, come dimostra la permanenza del divario
nell’accesso alle piattaforme digitali.
Insomma, tutto sta a dimostrare che non
è vero che non esistono più i blocchi sociali, che non è vero che il welfare ha
risolto tutti i problemi, e che non è vero che non c’è bisogno di importanti
interventi per aumentare (o reintrodurre) il contributo solidale di chi ha di più per chi ha di meno. A me sembra che resti indiscutibile, dunque, che la
caratteristica e il ruolo della sinistra siano ancora quelli di combattere per ridurre
le diseguaglianze, e quelli della destra siano la difesa dei privilegi e la conservazione
delle diseguaglianze che li perpetuano.
Bobbio ha ancora ragione.
Nell’ampio apparato critico del
volume del ventennale, viene riportato tra l’altro uno scritto critico di Perry
Anderson, che contestava a Bobbio una contraddizione: quella di aver detto prima
che il progresso verso l’eguaglianza è irresistibile,
ma poi solo possibile e non necessario. E in effetti nel libro
Bobbio si esprime così. Io credo però che, più che contraddirsi, abbia voluto
consapevolmente ricordarci che il progresso non è una linea retta, ma
piuttosto, come la storia ha spesso dimostrato, una sinusoide, con alti e bassi, anche
nelle conquiste sociali. E ritengo che sia una posizione corretta, perché il
fideismo progressista si può sempre scontrare con forme di reazionarismo che rischiano
di portarci indietro di secoli, e non ci si deve cullare nella fede di un
futuro radioso, perché le battaglie per l’eguaglianza non sono finite.
Ma c’è qualcosa di più, perché in quel passo, a mio avviso, c'è un ragionamento che dà al volume una formidabile efficacia: “Mai come nella nostra epoca –
dice Bobbio - sono state messe in discussione le tre forme principali di
diseguaglianza: la classe, la razza, il sesso. La graduale parificazione delle
donne agli uomini, prima nella piccola società famigliare, poi nella più grande
società civile e politica, è uno sei segni più certi dell’inarrestabile cammino
del genere umano verso l’eguaglianza”. Certo, come lo sono state il superamento
della schiavitù, dei privilegi di casta, del voto limitato per censo e per
genere, dell’istruzione obbligatoria, della pari dignità nel diritto di
famiglia, nel superamento dell’orrore degli ospedali psichiatrici, del diritto
all’assistenza sanitaria gratuita per tutti e via combattendo per la riduzione
delle diseguaglianze.
Ma ricordiamo che anche solo pochi
decenni fa poteva ancora sembrare normale che il dissenso venisse punito col carcere, che si dichiarassero guerre per insensate ambizioni territoriali, che non esistesse mobilità sociale, che le donne non
votassero e fossero escluse da importanti carriere pubbliche, che si
discriminasse e perseguitasse chi era di una religione diversa da quella della
maggioranza. Ecco perché oggi la sinistra, lo schieramento che vuole rimuovere
le diseguaglianze, ha ancora tante mura da abbattere, tanti obiettivi da
conquistare, anche perché per alcuni non abbiamo ancora la capacità analitica
necessaria, non li vediamo nemmeno. Le diseguaglianze non sono finite, nel
tempo si svilupperanno nuove e più alte sensibilità, e dobbiamo immaginare che,
se non aguzzeremo la vista, se non combatteremo per eliminarle, i nostri figli
potranno dire, come noi possiamo dire delle generazioni che ci hanno preceduto:
“perché non vi siete battuti, perché avete permesso che si compissero spaventose
brutalità, perché avete accettato che si perpetuassero terribili ingiustizie?”.