martedì 17 luglio 2018


ISOLE E FORMICAI
La letteratura è nata su un’isola. Da Itaca parte Ulisse per Troia, e a Itaca ritorna, alla conclusione del nostos, fuggendo da Ogigia, l’ultima isola che lo ha avuto prigioniero. L’Iliade, e soprattutto l’Odissea, sono popolate di isole. Di isole si nutre la narrazione antica, di isole è popolato il dramma classico come il romanzo, di isole ancora oggi parla con costanza la letteratura. Se la dimensione insulare è così connaturata a ogni forma di narrazione, quasi necessaria per raccontare vicende, è perché il modello di terra circondata dal mare, chiusa in una società con caratteristiche di autonomia, scelte o imposte poco importa, rappresenta una sorta di luogo geometrico delle interazioni umane, delle contraddizioni della vita associata, degli archetipi del comportamento degli individui.
Solo su un’isola può accadere che si concentrino caratteristiche altrimenti uniche: come quelle dei ciclopi, violenti e stolidi, come i Lestrigoni. Su un’isola può vivere Eolo, con il suo otre contenente tutti i venti . Ma soprattutto solo in una comunità chiusa si può rappresentare nella sua ipotetica realizzazione un’utopia. La prima la troviamo appunto nell’Odissea: l’isola dei Feaci racchiude una società pacifica, che rinnega la violenza e aspira alla kalos k’agathìa,  alla bellezza e alla bontà. E sono isole quelle che, nel tempo, ospiteranno comunità utopistiche come l’Utopia di Tommaso Moro, la Città del sole di Campanella. la Nuova Atlantide di Bacone. Lì, in una’enclave non contaminata da società bellicose e intolleranti, può nascere e prosperare l’utopia, costruendo non solo un modello organizzativo perfetto, ma anche l’uomo nuovo che lo vive e ne rappresenta il prodotto ultimo. Un po’ come l’ideale bolscevico del socialismo in un solo paese, le isole delle utopie letterarie confermano, con la loro stessa insularità, di essere un modello irrealizzabile se non in un luogo separato dai conflitti del mondo.
In fondo, ancora oggi è solo su un’isola che possiamo trovare una società legata a valori comunitari, fortemente coesa e orgogliosa della propria autonomia sociale e intellettuale, pronta a difenderla con l’orgoglio di conosce la propria originalità. Lì, tra paesaggi che  non escludono mai l’immensità marina, vita e sogno si confondono, ed è come se il suono incessante del mare che si frange sulle sponde insulari producesse un incantamento perpetuo.
Ma l’isola è anche il luogo chiuso, dove esplodono le contraddizioni che su un continente ampio e aperto si possono diluire in spazi sconfinati. Ed è su un isola che Prospero e Calibano vivono il conflitto della Tempesta scespiriana; è sull’Isola misteriosa che i naufraghi di Verne ritroveranno il capitano Nemo; è l’isola delle Api industriose quella dove Pinocchio ritrova la Fata e mette (o meglio, dovrebbe mettere) la testa a posto; è un’isola quella dove i ragazzi isolati del Signore delle mosche costruiscono una società di infantile violenza e intolleranza; è un’isola quella dove Napoleone sogna la rivalsa del 100 giorni; è un’isola quella dove viene scritto il manifesto di Ventotene; isola è Alcatraz, luogo di sofferenza e di evasioni;  isola è quella del castello di If, da dove parte il progetto di rivalsa e vendetta del Conte di Montecristo, ed è un’isola quella che custodisce il tesoro che ne permette la realizzazione. L’Alcina ariostesca vive in un’isola al di là delle colonne d’Ercole, geograficamente vicina all’isola del Purgatorio dantesco; isole sono quelle dove si organizza il dinosaurico Jurassic Park e dove si conclude la ricerca della latitudine dell’Isola del giorno prima di Umberto Eco; isola è quella dove i 10 piccoli indiani muoiono in una tipica vendetta a chiave di Agata Christie.

Se le isole sono un luogo privilegiato di ogni narrazione, questo è dovuto al fatto che rappresentano una contraddizione formidabile. Difese dal mare, sono una sorta di fortezza naturale, che dà sicurezza e autonomia a chi ci nasce o ci si rifugia, perché difficili da conquistare e da dominare. Ma insieme sono i luoghi dell’endogamia, dell’isolamento culturale e quindi del rischio di arretratezza; sono terre che non possono chiedere solidarietà ai territori vicini, perché vicini non sono. L’isola, grande o piccola non conta, è un continente a sé che sembra esprimere in modo accentuato tutti i nodi dell’organizzazione sociale. L’isola è insieme un meraviglioso mondo, che può essere più puro e più genuino delle terre attraversate da migrazioni e da invasioni, ma insieme una sorta di laboratorio sociale dove le contraddizioni si acuiscono e i conflitti si radicano.
Accade perché per descrivere un mondo particolare, in cui si verificano fatti che meritano di diventare racconto, si aprono prospettive originali e rotture degli schemi che sollecitano la descrizione romanzesca, bisogna che ci sia una specie di laboratorio, come quelli che usano i mirmecologi per studiare la vita delle formiche. Insomma, la letteratura ha usato le isole come formicai, le ha trasformate in strumenti di indagine, ci ha messo dentro gli esseri umani e li ha costretti a vivere in condizioni a volte estreme, spesso violente, altre ireniche, sempre diverse da quella che si potrebbero trovare nella sterminata distesa di un continente. Nelle isole ha creato utopie, come quella degli Houyhnhnms, i cavalli sapienti di Gulliver, dalle mente così limpida da non conoscere nemmeno le parole della falsità e della negazione; e distopie, come la società di infantile violenza e intolleranza del Signore delle mosche; dalle isole ha fatto nascere miti, come quello del piccolo regno di Ulisse, e originali percorsi formativi, come quello dell'Isola di Arturo. Sulle isole ha indagato su cosa possono diventare gli uomini in condizioni altrimenti inimmaginabili, lì ha fatto sopravvivere per anni naufraghi isolati e sperduti, lì ha fatto crescere creature fantastiche e mostruose, lì ha sperimentato ogni possibile esasperazione dei rapporti sociali.
E lì ha prosperato.

Anticipazione dell’intervento per il festival
“Passavamo sulla terra leggeri”
Siliqua, 20/7/18