sabato 20 ottobre 2018


LA RETE E’ NATA PER EVITARE IL RIPETERSI DELLE
TRAGEDIE DEL ‘900 E NON ME N’ERO ACCORTO

Che il Web sia la più importante rivoluzione del nostro tempo è indiscutibile. Quali siano le ricadute che ha prodotto sulla nostra vita non è facile né descriverlo né capirlo fino infondo. E’ quindi utile il lavoro che Alessandro Baricco ha fatto con il suo The Game, uscito da Einaudi: descrive la lenta invasione del digitale, dipinge un dettagliato quadro dell’esistente e cerca di ragionare sugli effetti prodotti fin qui.
Passando dal primo gioco elettronico (i ”marzianini”) al Commodore 64 per arrivare alle macchine più moderne, Baricco individua alcuni temi significativi: la rivoluzione digitale ha significato innanzitutto il tramonto delle mediazioni, ha creato una sorta di oltremondo, un universo parallelo nel quale viviamo una vita diversa da quella che avevamo senza connessioni. La colonizzazione digitale ha esaltato la superficialità contro la profondità, la velocità contro la lentezza, il semplice contro il complesso, la post-esperienza (quella fatta nell’ambiente digitale) contro l’esperienza tradizionale.
A patto di non sentirsi respinti da un periodare prolisso e ammiccante (Voilà, una bella fava di niente, credo che andrò ad aprirmi una birra, sono egoriferito: e allora?, che palle, non fate quella faccia, fidatevi ecc.)  e dall’uso disinvolto di terminologia inglese, come se non avessimo termini italiani altrettanto utili, a cominciare dal titolo (tool, skill, device, storytelling ecc.), il libro è una ricognizione utile e competente.
Meritano una riflessione alcune intuizioni, per così dire, teoriche. Baricco parla della rivoluzione digitale con un entusiasmo che non lascia spazio a dubbi: è la dimensione nella quale ci sono, potenzialmente, più libertà, informazione, autonomia individuale  e conoscenza di quanta l’uomo non abbia mai avuto. E’ verissimo. Per Baricco questo ha prodotto la consapevolezza che “il parere di milioni di incompetenti è più affidabile di quello di un esperto”, con la conseguenza che “si è fatta largo la convinzione  che si possa fare a meno delle mediazioni, degli esperti, dei sacerdoti”. Ne è nato “un pianeta a trazione diretta, dove l’intenzione e l’intelligenza collettive diventano azione senza dover passare da autorità intermedie”. E questo ha visto nascere un’umanità aumentata. Interessante, anche se la nascita di intelligenze collettive presuppone una capacità di analisi e di riflessione che la rete – e in particolare la superficialità che Baricco giustamente ne considera un portato fondamentale - difficilmente sollecita. Certo invece che, al termine di questo processo, accade quel che lo stesso Baricco osserva: “L’uomo esperimenta una vita in cui è riuscito a fare a meno dei sacerdoti. (…) La trova bella. Ne trae  una rinvigorita concezione di sé”. Questo è un punto nevralgico, che però è difficile far passare per intelligenza collettiva e umanità aumentata. E’ il fenomeno per cui, eliminati i “sacerdoti”, con rinvigorita coscienza del sé, si può decidere che i vaccini non servono a niente, che le scie chimiche sono pericolose e che l’uomo non è mai andato sulla luna. Tutte idee in circolazione, non c’era bisogno della rete perché esistessero. E’ la loro diffusione che lascia sgomenti. Più che intelligenza, una tendenza al delirio collettivo, questo sì aumentato, con progressione geometrica, dalla rete.
Nell’ultima parte Baricco individua alcuni problemi: “Il Game si rivela esser un habitat difficile, faticoso e selettivo”, nota, e per questo la rete ha prodotto nuove élite, potenti come quelle di prima. Spesso amplifica zone di irrazionalismo perché la pancia prevale sul cervello. E “Non tutti sono uguali davanti al Game” perché la rete non ha ancora prodotto anticorpi che frenino lo strapotere dei grandi monopoli (Google, FB, You Tube ecc.) e di chi li sa sfruttare.
Analizzando il ruolo avuto dal connubio tra il Movimento 5 stelle e la digitalizzazione ammette che, nell’anomalia dell’alleanza con la Lega, è prevalso, oltre all’odio per le élite, l’inclinazione per un egoismo di massa. Pensando al fatto che la globalizzazione sembrava aver superato barriere e confini: “Può un processo di liberazione disorientare talmente gli umani da spingerli a tornare, volontariamente, nelle gabbie?”, si chiede. Eh già, può, certo che può.
Suggerisce, infine, che la rete abbia bisogno di iniezioni di umanesimo, per continuare a sentirsi umani (e non perdersi nella post-esperienza); e temo sia verissimo, ma chi gliele può fare, queste dolorose iniezioni?  
C’è un tema ricorrente, dall’inizio alla fine del libro, che personalmente mi lascia perplesso. Baricco sostiene che i “padri fondatori” del web erano gente che “stava evadendo da un secolo che era stato tra i più orribili della storia”, che l’orrore di Auschwitz deriva dai valori delle élite e che “c’era una casa in fiamme da abbandonare di corsa”; che volevano uscire da un passato rovinoso e che “si può comprendere il Game solo se si tiene conto del principale scopo per cui è nato: rendere impossibile la ripetizione di una tragedia come quella del ‘900”.
Io qui proprio non lo seguo. Qual è la casa in fiamme? La Comunità europea, nata 70 anni fa proprio perché non si ripetessero gli orrori della storia? E le élite responsabili chi erano, i fascisti e i nazisti? Non li definirei élite, ma capipopolo che facevano leva sui peggiori istinti popolari. Oppure erano le élite intellettuali che li hanno combattuti, dal carcere e dal confino?  E chi sono i “padri fondatori” del Game? Jobs, Zuckerberg, che della guerra mondiale e dei suoi orrori non hanno sentito che echi lontani? A me pare che il fatto che la rete abbia reso inutili le intermediazioni e “messo fuori gioco i sacerdoti“ non sia il presupposto del lavoro dei “padri”, ma la conseguenza. E, soprattutto, siamo certi che i “padri” avessero un progetto ideale? Lo stesso Baricco riconosce che erano imprenditori che volevano innanzitutto fare i soldi.
Ho la sensazione che questa idea che la rete, meravigliosa occasione mancata di democrazia della conoscenza, sia nata per evitare gli orrori del ‘900, serva a darle una vernice nobile, immaginando che sia figlia di grandi ideali invece che di semplice utilizzazione di tecnologie usate a fini speculativi. E che si debba dare credito a quella che Baricco chiama la “seconda resistenza”, la riflessione di chi individua nella rete uno strumento che, invece di allargare la conoscenza, l’ha progressivamente limitata a élite ancora più chiuse, ma senza potere. E che quello di cui dovrebbe liberarci la tecnologia digitale è invece proprio quello che sta producendo: un ritorno al nazionalismo, alla chiusura dei confini, ai muri, all’odio per il diverso, al fanatismo collettivo e a forme di intolleranza per chi non la pensa come la maggioranza. Quello che, in una parola, era la sostanza ideale dei fascismi.
Questo a me pare sia il terribile pericolo che la rivoluzione digitale rischia di produrre. Questo l’elemento principale attorno al quale credo si debba riflettere e ci si debba confrontare. Esserne consci sarebbe un elemento di reale presa di coscienza delle contraddizioni del presente; e dovrebbe  essere alla base di una profonda – non superficiale! - revisione di quello che ci si è illusi essere uno strumento di libertà e sta diventando uno strumento di ottusità collettiva.