martedì 14 luglio 2020


Le ziette: l’altra parte della famiglia
“Vado a casa delle mie zie, perché io una casa non ce l’ho”. Chi parla è Tino Faussone, il protagonista della Chiave a stella, di Primo Levi. Grande e grosso, capace di montare con le sue manone ponti, tralicci e piattaforme petrolifere, non ha casa e quando, tra un viaggio di lavoro e l’altro, torna a Torino, va dalle zie. “Sono due zie di chiesa, mi ricevono nel salotto buono e mi danno i cioccolatini”, spiega a Levi Faussone; e qui c’è un particolare che fa riflettere. Faussone non dice “due donne di chiesa”, dice “due zie di chiesa”, e con questo ha aggiunto all’indicazione di genere una caratteristica che rende uniche queste parenti. Prima che donne, zie.
“Cosa faremo di questo ragazzo?”, si chiede Betsey, l’energica la zia di David Copperfield, tipico personaggio dickensiano, interrogandosi sul suo futuro. “Io gli farei un bagno”, risponde imperturbabile il signor Dick. La zia Betsey è un tipo che paga regolarmente l’ex marito perché non si faccia vedere e ha un affittuario, il signor Dick (nome allusivo? Chissà) che, anche se non viene esplicitato, sembra vivere more uxorio con la zia. Siamo nella puritana Inghilterra vittoriana, dove già il fatto che la zia abbia cacciato il marito è del tutto al di fuori dai canoni sociali borghesi, e che in sovrappiù  conviva con un uomo addirittura scandaloso. Ma le zie sono così, e per questo rappresentano un originale soggetto letterario.
Compaiono carsicamente, nell’universo letterario, ma sono stelle di prima grandezza. Il loro compito è obliquo, ma spesso centrale. La Sanseverina, zia vedova di Fabrizio del Dongo, presa da tumultuosi rapporti sentimentali, sotterraneamente innamorata del nipote, è un personaggio chiave della Certosa. Una zia di carattere, anticonformista al limite dell’incoscienza, volitiva e incurante di norme e convenienze. Tutt’altra cosa le Sorelle Materassi, emblematiche di un mondo di zie tutte casa e parrocchia, che però perdono la testa per il nipote sciagurato e per amor suo si fanno derubare di tutto.
Ci sono, è vero, importanti zii letterari maschi, dal principe di Salina ai paperi di Disney. Ma non arrivano mai ad avere la peculiarità delle zie. Perché la loro ironia corrosiva, la volontà di dare ai nipoti strumenti per maturare fuori dalle convenzioni e per conquistare una visione del mondo capace di rinnovamento, in conflitto con le tradizioni, rappresenta un formidabile strumento di progresso etico e sociale. Così per Zia Mame, così con In viaggio con la zia di Graham Green, così con la formidabile Zia Julia di Vargas Llosa. Per non parlare delle terribili zie di Jane Austen: quella di Darcy, in Orgoglio e pregiudizio e quella di Fanny Price, in Mansfield Park, tutte e due usate dall’autrice per dimostrare che anche le più tenaci e ostinate opposizioni al cambiamento sociale della modernità non possono che essere sconfitte.
C’è un modello di zia che lascia una traccia indelebile nella letteratura moderna e che giustifica l’idea che il ruolo delle zie, nel romanzo, vada al di  là della semplice parentela. Perché le zie sono spesso un surrogato dei genitori, ma con caratteristiche completamente diverse. Tenere e ingenue, alle volte autoritarie e crudeli, ma anche coraggiose al limite della temerarietà. Hanno un’autonomia, sociale e affettiva, che una madre non può avere. E insieme un ruolo di protettrici se non educatrici che possono esercitare con la libertà che nessun genitore ha. Non hanno gli stessi patemi delle madri, ma possono esprimere un affetto anche più caldo e disinvolto. Non devono essere severe, perché non è da loro che ci si aspetta un’educazione rigorosa, ma possono esercitare una sorta di dominio sotterraneo che le porta a insinuare nei nipoti il tarlo dell’anticonformismo e della ribellione.
Le zie della letteratura sono uno strumento per la comprensione dei modelli di formazione dell’uomo moderno. Un archetipo letterario che lascia il segno: quando in un racconto compare una zia, tutti solleviamo le sopracciglia, allunghiamo le orecchie. Sta per succedere qualcosa. Le zie sono grimaldelli per entrare nelle dinamiche famigliari da una porta laterale, per aprire prospettive inusuali nei problemi della consanguineità, per guardare con un prisma che cambia l’ottica dell’osservazione quello che nascondono le parentele. Le muse di un’umanità in via di sviluppo.
Personaggi formidabili per costruirci intorno un racconto. Tant’è vero che se n’è accorto anche il cinema, in più di un’occasione, com’è accaduto con le terrificanti ziette di Arsenico e vecchi merletti, che seppelliscono i loro pigionanti in cantina. Grazie, zia!