sabato 23 maggio 2020


SCRIVERE UN APOLOGO E' UNA SFIDA TEMERARIA

L’ultimo Rushdie, Mondadori,  450 pagine, si intitola Quichotte (Chisciotte alla francese, mah), e vuole essere un calco moderno e spregiudicato del classico di Cervantes. Parla di un mediocre scrittore di libri di spionaggio che inventa il Chisciotte moderno sotto forma di emigrato indiano (dall’India) negli USA, commesso viaggiatore di oppioidi illegali. La sua Dulcinea è un conduttrice televisiva di successo, tossica, indiana anche lei. In viaggio verso l’incontro con la bella, Q. è accompagnato da un figlio immaginario, Sancho, che deruberà la sorella di Q., detta Molla Umana, e fuggirà, alla ricerca di un’identità reale, in dialogo con il grillo parlante e una fata turchina sovrappeso. Sullo sfondo, tra l’apparizione di uomini-mammut, agenti segreti nippo-americani e colloqui con la statua di Andersen, le vicende dello scrittore; anche lui munito di un figlio agente della CIA e di una sorella malata. In conclusione, la classica fuga in macchina attraverso gli Stati Uniti, mentre Q. dialoga con la sua pistola e la bella lo accompagna verso un sogno di fantasmatici viaggi interplanetari.
Rushdie sa scrivere, il ribollire di invenzioni riempie il libro e produce la curiosità che porta ad aspettarsi una conclusione fantasmagorica. Ci riesce. Il rischio di scrivere un romanzo picaresco, però, ambientato negli USA di oggi, è quello di mettere insieme pezzi del Mago di Oz, di Lolita e di Philip Dick. E il risultato è sì una satira di un mondo in crisi, ma chiusa in un ritratto un po’ confuso degli USA e dell’immigrazione indiana.
Anche Lo scarafaggio di Ian McEwan, Einaudi, meno di 100 pagine, si presenta come un apologo della Gran Bretagna della brexit e un’allegoria del declino delle democrazie occidentali. Lo scarafaggio protagonista si insinua al n. 10 di Downing street e si sveglia nel corpo umano del primo ministro. Sostenuto da un governo di uomini-scarafaggio come lui, imposta un grande progetto: l’inversionismo, un capovolgimento delle regole del mercato. Si paga per lavorare, si viene pagati per consumare. L’inversione trova qualche resistenza, che viene però superata. L’unico ministro non di origine scarafaggesca si deve dimettere a causa di un finto scandalo che lo mette fuori gioco; e la ritrosia del parlamento viene superata quando il presidente degli USA (scarafaggio anche lui) si schiera a favore dell’inversione. Lasciamo al lettore il divertimento di arrivare alla tragicomica conclusione.
In una postfazione, Mc Ewan dichiara apertamente di essersi ispirato alla Modesta proposta di Swift, e di voler parlare in allegoria della brexit. “Il più insulso, masochistico e inconcepibile proposito della storia di queste isole” al quale, con l’eccezione di Putin e Trump, il mondo guarda con sgomento. Una scelta per la quale ha votato solo il 37% dell’elettorato. Per descrivere “qualcosa di orrendo” che si è insinuato nella politica britannica, a Mc Ewan  è sembrato naturale ricorrere a un’immagine ripugnante come quella dello scarafaggio.
Un ragionamento, per me, assolutamente condivisibile, come ogni riflessione su quanto questo fenomeno sia figlio di tendenze sovraniste e di una propaganda fatta di falsità e di discutibili insinuazioni. E non posso che concordare sul fatto che le tensioni antieuropee nascondano tendenze autoritarie e  antidemocratiche.
I libri di Ian Mc Ewan e di Salman Rushdie, però, mi sembrano fallire il loro intento sul piano letterario. C’è da chiedersi perché, visto che si tratta di due scrittori di talento. Credo che accada perché la dimensione allegorica è di per sé difficile da maneggiare, al di là della statura di chi scrive. Diventa facilmente parodia del racconto romanzesco, non lo sostituisce, e finisce per annoiare perché la trasparente funzione satirica si esaurisce presto, mentre la narrazione stenta a coinvolgere perché usa una trama tutta cerebrale, senza emozioni né sentimento.
Un’ultima annotazione. Due libri che si riferiscono, fin dal titolo, a due grandi classici, sono di per sé una sfida temeraria. Don Chisciotte e il suo doppio Sancho hanno certo ispirato altre narrazioni, ma l’uso che Rushdie fa del personaggio è tutto in burla, e così perde la sua drammaticità. L’uso che Mc Ewan fa dello scarafaggio non ha a che fare con il disagio dell’uomo moderno, come in Kafka, ma con il declino della politica, e anche qui l’emblema si stempera in una visione grottesca che non raggiunge il lato profondamente umano della metamorfosi di Gregor Samsa.
A questi due scrittori, che hanno voluto parlarci della crisi del nostro mondo, sembra essere mancato lo slancio epico necessario per dire le grandi contraddizioni dell’uomo. Senza quella dimensione, ogni riscrittura, ogni rifacimento, rischia di diventare un divertissement, che lascia un po’ il tempo che trova.

Da "L'immaginazione", n. 318