venerdì 21 febbraio 2014

Street poetry

Visto in vico Tofa, Napoli

                                                                           Foto di Anna Assumma

Il silenzio è d'oro

Un annetto fa, Trenitalia ci ha informato di aver trasformato una carrozza delle Frecce Rosse in una “zona silenzio”. Tutto contento, alla prima occasione ho subito prenotato un posto silenzioso; certo, la zona silenzio c’era solo in prima, ma mi sono accontentato. Quel primo viaggio è stato una delizia: la porta del vagone riportava in caratteri visibili la scritta “zona silenzio”, e ad ogni finestrino un adesivo ricordava: “Si prega di evitare conversazioni ad alta voce, telefonate, suonerie e musica”, e ringraziamenti per aver rispettato l’invito. Che era, in effetti, rispettato. Una meraviglia. Niente energumeni che urlano ordini alla segretaria, broker che ordinano acquisti e vendite, confidenze sentimentali fatte a voce altissima nell’indifferenza generale, niente suonerie rock a tutto volume.
Naturalmente è durato poco. Già al secondo viaggio hanno cominciato a sentirsi i primi telefonatori urlanti, al terzo c’era chi sentiva concerti a tutto volume sul computer, chi guardava un film senza le cuffie, bambini che giocavano con assordanti beep sul gameboy, magnati russi che ululavano improperi incomprensibili. Inutile protestare. Mi è stato spiegato che, quando erano finiti i posti nelle carrozze normali, si piazzavano lì anche i clienti rumorosi, e non si poteva imporre a chi non aveva chiesto quella collocazione di fare silenzio. Il controllore faceva timide raccomandazioni, e io venivo guardato con odio dai presenti che rumoreggiavano felici.
Nessuno stupore che, recentemente, Trenitalia abbia eliminato la carrozza-silenzio; la zona silenzio si è ridotta a un pezzetto di vagone, sedici posti in tutto, quasi sempre pieni. E’ vero, lì domina un silenzio perfetto. Ed era assurdo pensare di poterlo imporre alla maggioranza dei viaggiatori che, non portandosi dietro non dico un  libro, ma nemmeno le parole crociate, può solo conversare e telefonare rumorosamente.

Ma però: perché la zona silenzio, per striminzita che sia, ci deve essere solo in prima? Forse perché, come si sa, il silenzio è d’oro, e non tutti se lo possono permettere.

giovedì 20 febbraio 2014

La rete è la prosecuzione della tv con altri mezzi


Sono in ritardo, terribilmente in ritardo. Non avevo capito che la rete, lungi dall'uccidere un vecchio medium come la televisione, è invece quello che lo può salvare.

Cosa sta succedendo nell'universo della comunicazione digitale è difficile dire. Ma è soprattutto difficile fare previsioni.  A chi immaginava che il web, i social networks avrebbero progressivamente divorato lo spazio che occupa la televisione nel nostro tempo libero, risponde un saggio di Lella Mazzoli, Cross-News, L’informazione dai talk show ai social media, Codice edizioni, che analizza i mutamenti in atto nella comunicazione di massa. Si tratta di un libro complesso, che contiene un saggio analitico, una serie di interviste ad alcuni dei più noti conduttori di programmi di informazione televisiva e un’indagine su come si informano gli italiani. Un insieme che, anche se non pretende di prevedere come si evolverà il sistema, ci permette almeno di mettere a fuoco quello che sta modificandosi nell'intrico tra vecchi e nuovi media. 
Centrale, nella riflessione di Lella Mazzoli, è l’idea che i social networks possano essere lo strumento col quale la televisione può superare l'attuale crisi di crescita. Se, infatti, la tv generalista perde ascolti e autorevolezza, è vero anche che chi segue i programmi, oggi, ha una possibilità di commentare quanto va in onda e persino di interagire con conduttori e redattori attraverso facebook e twitter. Invece di uccidere la tv, insomma, la rete rischia di rivitalizzarla, dandole una seconda vita, diventando un “secondo schermo” e permettendole di superare la frattura generazionale che ha visto progressivamente i più giovani abbandonare i mezzi tradizionali. E’ la social tv, qualcosa che va al di là dei progetti di conduttori e dirigenti, e apre un nuovo canale di interazione a un mezzo che finora aveva una funzione monodirezionale e adesso sperimenta una vera forma di interattività. E che deve fare i conti con un bisogno crescente di partecipazione e di interazione.
Anche se la rete presenta spesso una partecipazione venata di narcisismo, inconsapevolezza, rapporti fittizi e di identità virtuali, è pure vero che sta aprendo un processo di ibridazione dei processi comunicativi che può avere conseguenze importanti: forse sta attraversando una fase di maturazione che permetterà lo sviluppo di un modello meno passivo nell’assunzione di informazioni. Lo confermano alcuni dati dell’Osservatorio News Italia raccolti nel volume, che indicano un cambiamento significativo: gli italiani che si procurano informazioni con la tv, negli ultimi tre anni, calano dal 91 all’88%, quelli che lo fanno con radio e quotidiani a stampa crollano a meno della metà, mentre quelli che usano internet passano dal 51 al 62%. Una crescita veloce e irruenta, che in pochi anni sta cambiando il panorama delle fonti di formazione dell’opinione pubblica del paese.
Cambierà, tutto questo, anche la consapevolezza collettiva, quella degli addetti ai lavori, e le scelte politiche dei “nativi digitali”? Difficile dirlo, anche perché i luoghi comuni e le leggende metropolitane sono molto diffusi nella rete e sembrano informare anche una parte del nuovo ceto politico. Ma certo sta nascendo un nuovo modo di guardare la tv, di informarsi e di partecipare. Non può non avere degli effetti. Cambia, certamente, il modo di essere degli ospiti delle trasmissioni informative che, nelle pause, “controllano compulsivamente gli smartphone per capire come il web sta reagendo a quello che dicono” e “per mettersi in sintonia con il mood della rete”. Una sorta di sondaggio in diretta sulle posizioni che è meglio prendere. Meglio non fare commenti sul fatto che, invece di diffondere le loro idee, i leader politici si affannino a rincorrere quelle del modesto campione di italiani che ne commenta le uscite in rete. 
E i conduttori, sono consapevoli del cambiamento che li riguarda? Qualcuno sì, altri neanche un po’. A leggere le interviste fatte da Lella Mazzoli pare che quello che interessa di più sia la tempestività delle informazioni, la possibilità di avere accesso, anche in diretta, alle testimonianze dirette e a strumenti alternativi alle agenzie. Ma ci sono anche giovani e bravi conduttori che non sembrano convinti che il cambiamento in atto abbia un qualche rilievo. Non è facile capire, del resto, se questo sviluppo rigeneratore avvenga per processi spontanei, non governati dalle aziende di comunicazione, e se l'alta dirigenza di Rai e Mediaset abbia colto la novità e stia investendo sull'incrocio tra i media; a giudicare dai loro siti in rete non si direbbe. Intanto gli ascolti calano, l’autorevolezza si assottiglia, il pubblico invecchia e la pubblicità scema. Ma forse, per ora, sarà la rete a salvare la tv.