giovedì 23 giugno 2016

INDAGARE E' CONOSCERE

C’è chi insiste a dire che in Italia si scrivono troppi gialli, che non rappresentano la realtà italiana, che non sono veri romanzi, che la letteratura è tutt’altra cosa. Mi chiedo: ma dove vive, cosa legge, questo cenacolo di uomini eletti, che ama solo la letteratura alta e colta. E, soprattutto, dove la trovano, la letteratura alta e colta? Certo non tra i romanzi “duri”, tutti citazioni erudite, autoanalisi, flusso di coscienza, realistica rappresentazione dei popoli dell’abisso e del deteriorarsi delle classi dirigenti. Lì, a mio avviso, da molti anni a questa parte, si trovano solo sterili esercizi di autofiction, descrizioni di descrizioni. Né alte né colte.
Se è vero, poi, che in vetta alle classifiche troviamo spesso dei noir, dei gialloni muniti di robusta trama sanguinolenta e di un congruo numero di cadaveri, ma scritti in modo sciatto, con la scrittura compiaciuta e quegli artifici linguistici che sono i tipici prodotti delle scuole di scrittura creativa, è bene ricordare che c’è anche altro, e di meglio. Libri che magari non arrivano in vetta alle classifiche; se i critici leggessero, invece di guardare le classifiche, se ne accorgerebbero.
Un giallo di raffinata scrittura, che racconta con efficacia una vicenda anni Cinquanta, ambientata in Liguria, è I garbati maneggi delle signorine Devoto. Ovvero, un intrigo a Sestri Ponente, di Renzo Bistolfi, pubblicato da Tea. Non solo i personaggi, ma la lingua, i dettagli, l’ambientazione sociale, sono una perfetta fotografia di quel tempo. Tre sorelle, zitelle, una cieca, figlie di una famiglia borghese decaduta, vivono una vita di decorosi risparmi nella casa di famiglia, a Sestri. Ma qualcuno cerca di cacciare loro e i tradizionali abitanti della piccola comunità di palazzine e villini della periferia bene. Ci sono amministratori ambigui e spregiudicati, giovanotti che esibiscono il primo benessere del dopoguerra, fanciulle che cascano nella trappola delle apparenze, e soprattutto una vecchietta che rischia, oltre che il suo benessere, addirittura la pelle. Le signorine Devoto, indagano e arrivano a una conclusione imprevista e clamorosa. La trama è tesa e piena di sorprese, la costruzione un meccanismo perfetto; ma è il clima, i profumi di vecchi merletti e di brodini di magro, le conversazioni in parrocchia e i tè con amiche e conoscenti che costituiscono il nerbo del racconto. Difficile essere più acuti nel cogliere il delinearsi di un ceto affamato e moralmente disinvolto che vuole la sua parte del benessere che cresce nel paese, agli albori del boom economico, e la occhiuta e rigorosa vigilanza delle terribili vecchiette, tanto piene di tradizione, superstizioni e pregiudizi, quanto capaci di cogliere i segni del degrado incipiente.   
Non troppo dissimile, per l’ambientazione provinciale e per la capacità dell’autore di descrivere un clima e un ceto abitualmente invisibile, è La copia infedele, di Stefano Trinchero, 66thAnd2ND. Qui l’ambientazione è contemporanea, il luogo è Torino, ma originale è chi indaga: Riberto, un giornalista sportivo, specializzato nel seguire la terza squadra di calcio torinese (dopo Juve e Toro, non può che essere una formazione molto marginale). Un cronista un po’ indisciplinato, piuttosto alcolico, capace di aggressività, molto autonomo nella sue scelte professionali e sempre in attrito con il direttore.
Il caso da cui parte la vicenda è un incidente automobilistico, in seguito al quale un calciatore rimane in coma. Riberto è costretto a indagare. Non è il suo mestiere, ma l’uomo è cocciuto, e inizia a seguire un pista che risulta esatta  e pericolosa. Mentre alcuni balordi tentano di farlo fuori, la trama ci porta nelle zone oscure dei periti e dei liquidatori delle assicurazioni. Non anticipo altro. Quel che conta però è la scrittura, pulita e ricca di dettagli; il disegno dei personaggi, uno più curioso dell’altro, un piccolo universo di sfigati, di impiegati infedeli e di funzionari bigotti e testardi. E lo sfondo di una Torino che non è più né la capitale sabauda né la città-Fiat, ma una metropoli postmoderna, senza personalità, piena di piccoli trafficanti che si arrangiano al margine della legge (e oltre), di artisti falliti, di paesaggi urbani devastati e sconsolanti. Forse qualcosa che avrebbe potuto far intravvedere gli ultimi risultai elettorali. Perfetta, infine, la descrizione della vita di redazione di un giornale. Terribile, come oggi accade.

C’è, in questi due libri, come in tanti altri usciti negli ultimi anni, una vivacità letteraria, uno sguardo analitico, una visione critica del presente che i più raffinati intellettuali che descrivono senza  ironia il proprio mediocre e limitato mondo non riescono nemmeno a sfiorare. Lì, secondo me, nell’indagine, nel peregrinare dei detective più o meno improvvisati, c’è lo sguardo più lucido sulla contemporaneità che abbiamo avuto in questi anni.

                                                   Da'"l'Immaginazione", Maggio-giugno 2016