martedì 3 aprile 2018


TRA I MANICOMIETTI E IL NEOSCIAMANESIMO TASTIERISTA

Trovo sempre irritante che si neghi l’oggettivo progredire dell’uomo nella storia. E’ vero che non si tratta di un cammino uniforme, che l’affermarsi dei diritti e dei valori della convivenza conosce anche lunghi momenti di regresso. Ma abbiamo considerato naturale, per millenni, l’esistenza della schiavitù, e oggi (con qualche falla) non la tolleriamo più. Abbiamo diligentemente bruciato streghe ed eretici fino a non molto tempo fa, ma non lo facciamo più. E pian piano abbiamo chiuso i manicomi, esteso l’assistenza sanitaria non solo a chi se la poteva permettere e limitato i fattori di privilegio ereditari. Se c’è un settore nel quale, invece, stenta ad affermarsi una sensibilità per un problema che dovrebbe essere considerato di interesse collettivo, è quello dell’assistenza a chi soffre, a vario titolo, di disabilità.
Gianluca Nicoletti, per la sua esperienza di padre di un figlio autistico, si occupa da anni di questo tema. Il suo ultimo libro, Io, figlio di mio figlio, Mondadori, ripropone il problema della loro assistenza quotidiana e della difficoltà che incontra l’accettazione delle loro problematiche. Affrontare l’autismo è difficile anche perché è una sindrome che si presenta con uno spettro molto ampio, che va da casi ad “alto funzionamento” (la definizione è inquietante, ancorché scientifica) a quelli a più “basso funzionamento”, che necessitano di assistenza continua. Questi ragazzi nascono già orfani, dice Nicoletti, e paradossalmente hanno solo i genitori su cui contare. Il  giustificato timore (ma è già successo) è che, venuta meno la capacità dei genitori di occuparsene, in barba alla 180, vengano ricoverati in una sorta di manicomietto, in mano ad operatori non competenti e alle volte anche violenti, che non avranno altri strumenti che una sedazione continua per evitarne le crisi e le reazioni incontrollate.    
La speranza è che “si possa costruire quel modello di società dove la neurodiversità possa sviluppare i propri talenti attraverso i suoi rappresentanti con più alto funzionamento”, perché in realtà anche gli autistici che non si esprimono disinvoltamente e hanno una maturità apparentemente infantile, hanno sentimenti, sensibilità e intuitività alle volte molto elevate. Anzi, “poiché l’arte è l’unico territorio in cui essere folli non è considerato un limite”, possiamo considerare gli autistici  persone che vivono in un mondo parallelo, dove dovrebbero esser liberi di esercitare, come artisti, le loro caratteristiche di diversità. “Difendiamo il fatto che ai nostri figli sia riconosciuto il diritto di essere come sono”, dice Nicoletti.
Un capitolo a parte merita il problema dei genitori che non accettano che i loro figli siano nati con i geni dell’autismo, e ne attribuiscono la responsabilità alle vaccinazioni. L’insensato movimento “no vax”,  una volta marginale, ha assunto una portata una volta impensabile con il veicolo della rete. Nicoletti, che pure è stato uno dei primi a considerare la rete una straordinaria occasione per la libera espressione del pensiero, parla oggi di “neosciamanesimo tastierista” e riconosce che la sfiducia per le competenze e le istituzioni ha origine da “flussi emotivi e da parole chiave che diventano acceleratori d’indignazione attraverso i social network”.
Vero elemento di novità, nel libro, è che Nicoletti, proprio perché convinto che i vaccini non c’entrino nulla e che l’autismo sia in parte una caratteristica ereditaria, si è voluto sottoporre a un esame clinico dal quale è emerso essere autistico anche lui, un tipico caso di sindrome di Asperger: ad “alto funzionamento”, con le caratteristiche classiche di questa sintomatologia, che pure permette di convivere con il resto del mondo. Devo dire che, anche se può sembrare un tentativo di autoassoluzione per le proprie idiosincrasie, la descrizione delle caratteristiche qui descritte mi ha subito fatto pensare che anch’io dovrei far parte del gruppo in esame. Ma quel che conta è che il libro, con questa verità sottotraccia, diventa un’autobiografia alla ricerca della propria diversità, poiché è giusto che ognuno riconosca la propria, se ce l’ha, e ne ricavi un manifesto per il diritto a un pensiero “altro” e a considerare gabbie insopportabili le strutture sociali che non lo tollerano.
Tornando all’idea della freccia del progresso, concludiamo con Nicoletti che è incredibile come, in una società che prova ripugnanza per l‘addestramento degli animali da circo e si batte per i diritti degli animali domestici, non ci si ribelli al maltrattamento degli esseri umani più indifesi. Che le famiglie continuino a considerare un figlio autistico una vergogna da nascondere, e che si trincerino dietro ipotesi fantasiose pur di non ammettere che con la nostra diversità, e la disabilità, dobbiamo conviverci e non vergognarcene.


                                                                                        Da "L'Immaginazione", Aprile 2018