IL FUTURO DELLA SINISTRA
E LE ASSIMMETRIE DEL CAMBIAMENTO
“Pensare di
poter difendere i diritti conquistati senza ricomporre e ampliare in modo
chiaro e deciso l’area delle figure che si pretende di rappresentare è
un’utopia con il fiato corto”. Credo questa frase contenga un po’ il succo
dell’ultimo libro di Franco Cassano, Senza
il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento, Laterza 2014.
Perché è la conclusione di una breve ma densa e convincente indagine sulla
condizione attuale della politica degli schieramenti progressisti; innanzitutto
in Italia, ma non solo.
Cassano
ripercorre le fasi dello sviluppo delle politiche progressiste nella seconda
metà del secolo scorso. Ricorda come in quel periodo il progetto della sinistra
ha avuto il suo culmine e ha esercitato
un’estesa egemonia politica e culturale in Italia; ma anche di come, dalla fine
degli anni ’80, dalla caduta del Muro, sia entrato in crisi. Di come i
conflitti di classe, pur presenti, si siano manifestati negli ultimi anni in
modi e con aggregazioni del tutto diverse dal passato, incrociando altri
problemi. Centrale, nella sua analisi, risulta il processo di
finanziarizzazione, che ha reso l’economia “autoreferenziale e fittizia:
l’azzardo più spericolato si è sostituito al rischio d’impresa”, in una nuova
prospettiva, “piena di asimmetrie, conflitti e di insidie”. E nel processo di
perdita di egemonia della sinistra gli agenti del cambiamento, che erano
collettivi, sono diventati individuali. In questa prospettiva, per Cassano, il
radicalismo di chi difende le conquiste del passato per i soli ceti che ancora
(ma per quanto?) ne godono, come l’utopia di estendere universalmente i diritti
della cittadinanza, abbattendo le frontiere nazionali, non possono che
accentuare il declino dei partiti e dei movimenti di sinistra che, fino ad
oggi, si sono riconosciuti in un solo blocco sociale. “Il nazionalismo ‘popolare’
alla Marine Le Pen è l’effetto perverso del giacobinismo”. Intanto, il capitale
ha cumulato privilegi e rendite, ha fatto alleanze, ha isolato e diviso il
vecchio avversario e ha fatto esplodere nuovi conflitti, acutizzando la
contraddizione tra chi delle vecchie conquiste gode e chi ne è escluso. Dentro
e fuori i confini delle singole nazioni.
Quali le
prospettive? Per Cassano, “è necessario che la sinistra mantenga un’autonomia
culturale (…) ma dev’essere cosa profondamente diversa dalla semplice difesa
del passato: si è coerenti se si dice sempre la verità, anche e soprattutto
quando questa è cambiata”. Se il quadro può sembrare apocalittico, a me pare
invece sia una lucida analisi di quella che è
una strategia insieme possibile e indispensabile per ridare senso a un
progetto che si riconosca ancora nella ricerca di maggiore giustizia sociale e
uguali opportunità.
Riconosciute le
conquiste che l’egemonia della sinistra ha comportato in Italia - dalle
migliori condizioni di lavoro al diritto all’istruzione, dal diritto alla
salute a una più equa distribuzione del reddito, dalla tutela delle diversità
al nuovo diritto di famiglia - bisogna
pur accettare che, se negli ultimi anni il tradizionale elettorato della sinistra
ha votato per Berlusconi o per la Lega, questo non è dovuto alla perfidia
dell’elettorato, ma proprio al fatto che la sinistra non aveva più “il vento
della storia” nelle sue vele. Che tutelare assieme il diritto alla casa degli
italiani e degli emigrati non poteva non produrre conflitti, che la crescita
esponenziale di lavori precari e mal retribuiti non poteva non mettere in crisi
i criteri di rappresentanza sindacali, che la tutela dell’ambiente si sarebbe
scontrata con l’auspicio dei cittadini di costruire la propria casa dove più lo
desideravano, che la possibilità di delocalizzare il lavoro in paesi dove i
salari erano più bassi avrebbe fatto tramontare qualsiasi internazionalismo
sociale, e via dicendo. Come dice
Cassano, se non si ammette che le cose sono cambiate, il declino è inevitabile.
Insieme, se non si immagina una platea più ampia di interessi che si coagulano
intorno a un progetto politico compatibile, si rimane una minoranza pura ma
impotente. E se si continua a pensare che il rispetto per le legittime
aspirazioni personali di ognuno sia bieco individualismo, non si capisce
nemmeno a cosa siano servite, le conquiste fatte finora. Non dovevano, appunto,
liberare ognuno di noi, farci più autonomi? Certo, la solidarietà è necessaria.
Ma la libertà dell’individuo era un obiettivo, non qualcosa da demonizzare.
Credo che una
profonda revisione dei valori e delle strategie della sinistra sia in corso, e
sia un processo sano e utile. E che non accettare che le prospettive sono
cambiate, anche perché, a suo tempo, tante battaglie sono state vinte, sia un
rischio terribile, che può portare solo all’isolamento e alla sconfitta.
Dall’”Immaginazione”, dicembre 2014