LA LINGUA BATTE DOVE LA VIRGOLETTA DUOLE
Dopo l’appello dei
professori che hanno denunciato il fatto che gli italiani non sanno più
scrivere, tutti i media si sono lanciati in un coro di lamentazioni e di
inchieste sul perché di questa decadenza della nostra lingua nazionale. Mi ha
colpito, in particolare, quanto ho letto su Robinson,
il supplemento culturale della Repubblica,
il 26 febbraio scorso. Come annunciato in copertina, il fascicolo centrale del
giornale era dedicato all’argomento. Grafica originale, firme in un carattere
corsivo che faceva pensare alla buona scuola di una volta, disegnini e riquadri
esplicativi. Al centro un lieve ma preoccupato Bartezzaghi, che descrive la
scarsa capacità degli studenti universitari addirittura di decifrare le
modalità di esame; a lato un Venturi che descrive l’utilità di dare lezioni di
punteggiatura. Tutte le pagine dedicate al problema della lingua avevano nella
fascia alta delle regole per parlar bene l’italiano, condite da divertenti e
contraddittori esempi, stilate da
Umberto Eco. Tra queste, una che raccomandava di usare meno virgolette
possibili e una che ricordava: “che la parentesi (anche quando pare
indispensabile) interrompe il filo del discorso”. Invitava anche a evitare
troppe citazioni, e io ho subito trasgredito, come si vede. Ma sono in buona
compagnia.
Quel che ho trovato
affascinante, impaginato proprio sotto
le regole di Eco, è un ampio pezzo, su quattro colonne, a firma di Francesco
Sabatini, eminente linguista, e presidente ad honorem dell’Accademia della
Crusca. In circa novemila battute, a occhio e croce, ho contato 16 frasi tra
parentesi e 10 termini virgolettati. Sulle parentesi, non posso aggiungere
nulla a quanto detto da Eco; ma non
posso non notare che ho trovato poco utile che ci fossero espressioni come docenti di “italiano”, disciplina
“facoltativa”, “insegnare italiano”,
“fare da sé”, “indicazioni” ministeriali e via virgolettando.
Cosa è successo? Io ero
convinto che le virgolette, quando non contengono una citazione, avessero la
funzione di attirare la nostra attenzione sulla parola virgolettata per dirci
che è, sì, nel suo significato originario, ma può voler dire anche
qualcos’altro, può essere usata in modo metaforico o analogico. Per esempio, se
dico: lei parla un italiano “di lusso”, sto facendo dell’ironia su chi sta parlando.
Se dico che uno è capace di “pattinare sui problemi”, non intendo dire che usa
degli aggeggi a rotelle, ma che scivola con disinvoltura sulle difficoltà.
Ma di quale ironia, di
quale secondo significato può trattarsi se si parla di docenti di italiano e di
indicazioni ministeriali? Mistero. Del resto, il pezzo di Sabatini, uno dei
nostri migliori studiosi, era pieno di informazioni utili e di osservazioni
intelligenti, e noi gliene siamo grati.
Forse, in conclusione,
il profluvio di interventi sulla scarsa dimestichezza che abbiamo con l’italiano
è servito a questo: ci ha fatto capire che, se è vero che gli italiani non
conoscono bene la loro lingua, è vero anche che non è tutta colpa loro. Che
anche chi insegna, ai più alti livelli, spesso non usa una lingua semplice, fluida,
comprensibile a tutti, e quindi non è un buon esempio per chi deve imparare.
Che forse la lingua di chi è più colto spesso non esce dalla dimensione del
linguaggio accademico, faticoso e idiolettico. E che anche i linguisti più
esperti, come tutti noi, possono cadere nelle trappole da cui ci metteva
saggiamente in guardia Umbero Eco.