TRA I
MANICOMIETTI E IL NEOSCIAMANESIMO TASTIERISTA
Trovo sempre
irritante che si neghi l’oggettivo progredire dell’uomo nella storia. E’ vero
che non si tratta di un cammino uniforme, che l’affermarsi dei diritti e dei
valori della convivenza conosce anche lunghi momenti di regresso. Ma abbiamo
considerato naturale, per millenni, l’esistenza della schiavitù, e oggi (con
qualche falla) non la tolleriamo più. Abbiamo diligentemente bruciato streghe
ed eretici fino a non molto tempo fa, ma non lo facciamo più. E pian piano
abbiamo chiuso i manicomi, esteso l’assistenza sanitaria non solo a chi se la
poteva permettere e limitato i fattori di privilegio ereditari. Se c’è un
settore nel quale, invece, stenta ad affermarsi una sensibilità per un problema
che dovrebbe essere considerato di interesse collettivo, è quello
dell’assistenza a chi soffre, a vario titolo, di disabilità.
Gianluca
Nicoletti, per la sua esperienza di padre di un figlio autistico, si occupa da
anni di questo tema. Il suo ultimo libro, Io,
figlio di mio figlio, Mondadori, ripropone il problema della loro assistenza
quotidiana e della difficoltà che incontra l’accettazione delle loro
problematiche. Affrontare l’autismo è difficile anche perché è una sindrome che
si presenta con uno spettro molto ampio, che va da casi ad “alto funzionamento”
(la definizione è inquietante, ancorché scientifica) a quelli a più “basso
funzionamento”, che necessitano di assistenza continua. Questi ragazzi nascono
già orfani, dice Nicoletti, e paradossalmente hanno solo i genitori su cui
contare. Il giustificato timore (ma è
già successo) è che, venuta meno la capacità dei genitori di occuparsene, in
barba alla 180, vengano ricoverati in una sorta di manicomietto, in mano ad
operatori non competenti e alle volte anche violenti, che non avranno altri
strumenti che una sedazione continua per evitarne le crisi e le reazioni
incontrollate.
La speranza è
che “si possa costruire quel modello di società dove la neurodiversità possa
sviluppare i propri talenti attraverso i suoi rappresentanti con più alto
funzionamento”, perché in realtà anche gli autistici che non si esprimono
disinvoltamente e hanno una maturità apparentemente infantile, hanno
sentimenti, sensibilità e intuitività alle volte molto elevate. Anzi, “poiché
l’arte è l’unico territorio in cui essere folli non è considerato un limite”,
possiamo considerare gli autistici persone
che vivono in un mondo parallelo, dove dovrebbero esser liberi di esercitare,
come artisti, le loro caratteristiche di diversità. “Difendiamo il fatto che ai
nostri figli sia riconosciuto il diritto di essere come sono”, dice Nicoletti.
Un capitolo a
parte merita il problema dei genitori che non accettano che i loro figli siano
nati con i geni dell’autismo, e ne attribuiscono la responsabilità alle
vaccinazioni. L’insensato movimento “no vax”,
una volta marginale, ha assunto una portata una volta impensabile con il
veicolo della rete. Nicoletti, che pure è stato uno dei primi a considerare la
rete una straordinaria occasione per la libera espressione del pensiero, parla
oggi di “neosciamanesimo tastierista” e riconosce che la sfiducia per le
competenze e le istituzioni ha origine da “flussi emotivi e da parole chiave
che diventano acceleratori d’indignazione attraverso i social network”.
Vero elemento
di novità, nel libro, è che Nicoletti, proprio perché convinto che i vaccini
non c’entrino nulla e che l’autismo sia in parte una caratteristica ereditaria,
si è voluto sottoporre a un esame clinico dal quale è emerso essere autistico
anche lui, un tipico caso di sindrome di Asperger: ad “alto funzionamento”, con
le caratteristiche classiche di questa sintomatologia, che pure permette di convivere
con il resto del mondo. Devo dire che, anche se può sembrare un tentativo di
autoassoluzione per le proprie idiosincrasie, la descrizione delle
caratteristiche qui descritte mi ha subito fatto pensare che anch’io dovrei far
parte del gruppo in esame. Ma quel che conta è che il libro, con questa verità
sottotraccia, diventa un’autobiografia alla ricerca della propria diversità,
poiché è giusto che ognuno riconosca la propria, se ce l’ha, e ne ricavi un
manifesto per il diritto a un pensiero “altro” e a considerare gabbie
insopportabili le strutture sociali che non lo tollerano.
Tornando
all’idea della freccia del progresso, concludiamo con Nicoletti che è
incredibile come, in una società che prova ripugnanza per l‘addestramento degli
animali da circo e si batte per i diritti degli animali domestici, non ci si
ribelli al maltrattamento degli esseri umani più indifesi. Che le famiglie
continuino a considerare un figlio autistico una vergogna da nascondere, e che
si trincerino dietro ipotesi fantasiose pur di non ammettere che con la nostra diversità,
e la disabilità, dobbiamo conviverci e non vergognarcene.
Da "L'Immaginazione", Aprile 2018