Le piccole lapidi degli anni facili:
un libro di Giovanni Pacchiano
Nella Linea d’ombra, Conrad parla del periodo in cui ci si accorge di
dover “lasciare alle spalle la regione della prima gioventù”, e descrive un
drammatico passaggio al tempo della responsabilità e della durezza dell’età
matura. Gli anni facili, di Giovanni
Pacchiano, Bompiani, sono invece proprio quelli della prima gioventù, vissuti
prima di affacciarsi alla linea d’ombra, che stanno tra l’adolescenza e la
maturità e che però, anche se non sono ancora pervasi dai problemi, dai
conflitti e delle ansie della vita lavorativa, non sono solo il periodo
incantato di cui parla Conrad. Anzi.
I protagonisti del romanzo di
Pacchiano sono gli studenti universitari milanesi degli anni Sessanta, vivono
gli anni relativamente tranquilli che precedono il Sessantotto, hanno le prime
esperienze sessuali, i conflitti tra ragione e sentimento, scoprono le
contraddizioni delle differenze di
classe, incontrano i primi drammi, si scontrano con i genitori e fanno per la
prima volta i conti con personaggi violenti e infidi. Sullo sfondo,
un’università che non è ancora animata dalla contestazione, ma in qualche modo
ne ha il presentimento; la guerra fredda e la crisi di Cuba; la minaccia della guerra nucleare; le prime
minigonne; il jazz e il rock; e l’aprirsi di un nuovo orizzonte culturale, con
le letture che accompagnano gli anni dello studio, e il confronto con
professori ed esami.
Se il tessuto della narrazione è
costituito soprattutto dell’intrecciarsi di piccole e grandi faccende
sentimentali, in realtà tutto porta alla scoperta delle tensioni ultime della
vita alla quale si affacciano i personaggi. Una relazione con una ragazza che
si desidera ma non si ama, il complicato sentimento per una donna matura, la
delusione nei rapporti di amicizia sono momenti di un affresco che comprende la
musica, i suoni, i film, i libri di un’epoca di passaggio. Qui l’accumularsi
degli elementi di formazione di quel periodo è illuminante: Feliditade, Orfeo negro, Henry James, Rimbaud, Accattone, Giuseppe Berto, Venere
in visone, Frankie Lane, Alba de Cespedes. E’ un patrimonio culturale che mescola alto e basso, e segna il maturare della
prima generazione che, in Italia, non ha conosciuto né il fascismo né la
guerra. Un’Italia che si affaccia al benessere nella quale, magari con qualche
sacrificio, si studia, si viaggia e si pratica lo sport, come per le
generazioni precedenti hanno potuto fare solo i privilegiati.
Come deve accadere, la nuova libertà
della generazione del dopoguerra comporta nuove responsabilità, malinconie e delusioni.
Pacchiano riesce a trovare la chiave per descrivere la tipica propensione
all’autoanalisi e alle riflessioni che quel’età
porta a fare sulle ipocrisie che comportano i rapporti umani. La
scoperta che “ognuno di noi ha un segreto da nascondere. Invisibile nella vita
quotidiana anche per quelli con i quali viviamo”. Colpiscono le descrizioni
della natura, in montagna, l’idea che i laghetti nascosti siano metafore dei
misteri della vita, le mestizia dei giorni di pioggia incessante, che in città
ci lascerebbero indifferenti ma lassù diventano una situazione asfittica di
chiusura e di noia, la libertà del camminare e del sentire la vitalità del
proprio corpo. E insieme capire che lo sconfinare nel romanticismo è
un’illusione, “anche se aiuta a esistere”.
E’ vero, ha ragione Conrad, c’è
stato, per chiunque li abbia vissuti, quegli anni, una sorta di febbre, di
bisogno di consumare tutto quello che ci trovavamo davanti, la sensazione di
essere in “un giardino incantato dove anche le ombre splendono di promesse”. Ma
c’è stato anche l’apparire di un limite a tutto questo, la consapevolezza della
dimensione effimera di quelle estati senza impegni, finiti gli esami, che
sembravano eterne, la città vuota. E quell’immergersi in discorsi senza fine con
amici e ragazze che immaginavamo fossero rapporti imprescindibili e che poi si
sono smarriti nell’ordinata vita adulta. Non è una stagione tutta vivida
vitalità, corporea saturazione dei desideri. E’ un tempo che fa presagire la
linea d’ombra, e comporta malinconie e piccole disperazioni, lacerazioni e
svelamenti. E’ vero che sono anni facili, fatti di “giorni veloci come le nuvole in
cielo nella giornate di grande vento”. Pacchiano le descrive con la
consapevolezza del fatto che sono quelli che ci hanno formato, che hanno
lasciato un segno indelebile, e insieme che non ci hanno lasciato che un
ricordo struggente, del quale, forse, alle volte, preferiremmo fare a meno.
A ripensarli, ci danno la stessa
sensazione che proviamo ritrovando le fotografia delle classi della scuola,
dice Giacomo, il protagonista degli Anni
facili: un elenco di nomi – l’appello! -dei quali non sappiamo più niente.
“Piccole lapidi del passato”. Cimeli del momento in cui abbiamo scoperto che la
vita, lei, non è facile per niente.