LA RETE E’ NATA PER EVITARE IL RIPETERSI
DELLE
TRAGEDIE DEL ‘900 E NON ME N’ERO ACCORTO
Che il Web sia la più importante
rivoluzione del nostro tempo è indiscutibile. Quali siano le ricadute che ha
prodotto sulla nostra vita non è facile né descriverlo né capirlo fino infondo.
E’ quindi utile il lavoro che Alessandro Baricco ha fatto con il suo The Game, uscito da Einaudi: descrive la
lenta invasione del digitale, dipinge un dettagliato quadro dell’esistente e
cerca di ragionare sugli effetti prodotti fin qui.
Passando dal primo gioco
elettronico (i ”marzianini”) al Commodore 64 per arrivare alle macchine più
moderne, Baricco individua alcuni temi significativi: la rivoluzione digitale
ha significato innanzitutto il tramonto delle mediazioni, ha creato una sorta
di oltremondo, un universo parallelo
nel quale viviamo una vita diversa da quella che avevamo senza connessioni. La
colonizzazione digitale ha esaltato la superficialità contro la profondità, la
velocità contro la lentezza, il semplice contro il complesso, la post-esperienza (quella fatta
nell’ambiente digitale) contro l’esperienza tradizionale.
A patto di non sentirsi respinti da
un periodare prolisso e ammiccante (Voilà,
una bella fava di niente, credo che andrò ad aprirmi una birra, sono
egoriferito: e allora?, che palle,
non fate quella faccia, fidatevi
ecc.) e dall’uso disinvolto di
terminologia inglese, come se non avessimo termini italiani altrettanto utili,
a cominciare dal titolo (tool, skill, device, storytelling ecc.),
il libro è una ricognizione utile e competente.
Meritano una riflessione alcune
intuizioni, per così dire, teoriche. Baricco parla della rivoluzione digitale
con un entusiasmo che non lascia spazio a dubbi: è la dimensione nella quale ci
sono, potenzialmente, più libertà, informazione, autonomia individuale e conoscenza di quanta l’uomo non abbia mai
avuto. E’ verissimo. Per Baricco questo ha prodotto la consapevolezza che “il
parere di milioni di incompetenti è più affidabile di quello di un esperto”, con
la conseguenza che “si è fatta largo la convinzione che si possa fare a meno delle mediazioni,
degli esperti, dei sacerdoti”. Ne è nato “un pianeta a trazione diretta, dove l’intenzione
e l’intelligenza collettive diventano azione senza dover passare da autorità
intermedie”. E questo ha visto nascere un’umanità
aumentata. Interessante, anche se la
nascita di intelligenze collettive presuppone una capacità di analisi e di
riflessione che la rete – e in particolare la superficialità che Baricco
giustamente ne considera un portato fondamentale - difficilmente sollecita.
Certo invece che, al termine di questo processo, accade quel che lo stesso Baricco
osserva: “L’uomo esperimenta una vita in cui è riuscito a fare a meno dei
sacerdoti. (…) La trova bella. Ne trae una rinvigorita concezione di sé”. Questo
è un punto nevralgico, che però è difficile far passare per intelligenza collettiva
e umanità aumentata. E’ il fenomeno per cui, eliminati i “sacerdoti”, con
rinvigorita coscienza del sé, si può decidere che i vaccini non servono a
niente, che le scie chimiche sono pericolose e che l’uomo non è mai andato
sulla luna. Tutte idee in circolazione, non c’era bisogno della rete perché esistessero.
E’ la loro diffusione che lascia sgomenti. Più che intelligenza, una tendenza
al delirio collettivo, questo sì aumentato, con progressione geometrica, dalla
rete.
Nell’ultima parte Baricco individua
alcuni problemi: “Il Game si rivela esser un habitat difficile, faticoso e
selettivo”, nota, e per questo la rete
ha prodotto nuove élite, potenti come quelle di prima. Spesso amplifica zone di
irrazionalismo perché la pancia prevale sul cervello. E “Non tutti sono uguali
davanti al Game” perché la rete non ha ancora prodotto anticorpi che frenino lo
strapotere dei grandi monopoli (Google, FB, You Tube ecc.) e di chi li sa
sfruttare.
Analizzando il ruolo avuto dal
connubio tra il Movimento 5 stelle e la digitalizzazione ammette che,
nell’anomalia dell’alleanza con la Lega, è prevalso, oltre all’odio per le
élite, l’inclinazione per un egoismo di massa. Pensando al fatto che la
globalizzazione sembrava aver superato barriere e confini: “Può un processo di
liberazione disorientare talmente gli umani da spingerli a tornare, volontariamente,
nelle gabbie?”, si chiede. Eh già, può, certo che può.
Suggerisce, infine, che la rete
abbia bisogno di iniezioni di umanesimo, per continuare a sentirsi umani (e non
perdersi nella post-esperienza); e temo sia verissimo, ma chi gliele può fare,
queste dolorose iniezioni?
C’è un tema ricorrente, dall’inizio
alla fine del libro, che personalmente mi lascia perplesso. Baricco sostiene
che i “padri fondatori” del web erano gente che “stava evadendo da un secolo
che era stato tra i più orribili della storia”, che l’orrore di Auschwitz
deriva dai valori delle élite e che “c’era una casa in fiamme da abbandonare di
corsa”; che volevano uscire da un passato rovinoso e che “si può comprendere il
Game solo se si tiene conto del principale scopo per cui è nato: rendere impossibile
la ripetizione di una tragedia come quella del ‘900”.
Io qui proprio non lo seguo. Qual è
la casa in fiamme? La Comunità europea, nata 70 anni fa proprio perché non si
ripetessero gli orrori della storia? E le élite responsabili chi erano,
i fascisti e i nazisti? Non li definirei élite, ma capipopolo che facevano leva
sui peggiori istinti popolari. Oppure erano le élite intellettuali che li hanno
combattuti, dal carcere e dal confino? E
chi sono i “padri fondatori” del Game?
Jobs, Zuckerberg, che della guerra mondiale e dei suoi orrori non hanno sentito
che echi lontani? A me pare che il fatto che la rete abbia reso inutili le
intermediazioni e “messo fuori gioco i sacerdoti“ non sia il presupposto del
lavoro dei “padri”, ma la conseguenza. E, soprattutto, siamo certi che i “padri”
avessero un progetto ideale? Lo stesso Baricco riconosce che erano imprenditori
che volevano innanzitutto fare i soldi.
Ho la sensazione che questa idea
che la rete, meravigliosa occasione mancata di democrazia della conoscenza, sia
nata per evitare gli orrori del ‘900, serva a darle una vernice nobile,
immaginando che sia figlia di grandi ideali invece che di semplice
utilizzazione di tecnologie usate a fini speculativi. E che si debba dare
credito a quella che Baricco chiama la “seconda resistenza”, la riflessione di chi
individua nella rete uno strumento che, invece di allargare la conoscenza, l’ha
progressivamente limitata a élite ancora più chiuse, ma senza potere. E che
quello di cui dovrebbe liberarci la tecnologia digitale è invece proprio quello
che sta producendo: un ritorno al nazionalismo, alla chiusura dei confini, ai
muri, all’odio per il diverso, al fanatismo collettivo e a forme di
intolleranza per chi non la pensa come la maggioranza. Quello che, in una
parola, era la sostanza ideale dei fascismi.
Questo a me pare sia il terribile
pericolo che la rivoluzione digitale rischia di produrre. Questo l’elemento principale
attorno al quale credo si debba riflettere e ci si debba confrontare. Esserne
consci sarebbe un elemento di reale presa di coscienza delle contraddizioni del
presente; e dovrebbe essere alla base di
una profonda – non superficiale! - revisione di quello che ci si è illusi
essere uno strumento di libertà e sta diventando uno strumento di ottusità collettiva.