NON SIAMO INNOCENTI.
IL DECLINO DEL PAESE
E’ RESPONSABILITA’ DI TUTTI
“La nostra organizzazione sociale ha bisogno di una
generazione di 'lavoratori della mente' (…) desiderosi di sfuggire a una piatta
impiegatizzazione (...) mettendo le proprie competenze a disposizione della
comunità”.
Sante parole.
Nel suo ultimo libro, Senza sapere – il costo dell'ignoranza in Italia,
Laterza, 2014, Giovanni Solimine si schermisce, dicendo che sarebbe
presuntuoso, per lui, indicare la via per uscire dalla situazione di drammatico
declino culturale del nostro paese. Ma in effetti il suo libro, assieme a una
puntuale analisi della crisi in atto, ricca di dati e utili riferimenti alla
letteratura esistente, è un compendio di cosa si dovrebbe e si potrebbe fare
per smuovere le acque stagnanti della palude in cui si è impantanata l'Italia.
Parte, Solimine, dal comparto in cui si è più speso,
per la sua produzione scientifica e il suo impegno civile, e cioè quello della
lettura e del sistema bibliotecario. Disegna un quadro drammatico, che va oltre
la modesta percentuale di lettori che ben conosciamo: se più di metà degli
italiani non legge nemmeno un libro l'anno, appena l'8% dichiara di avere
significativi interessi culturali. E mentre nell'ultimo ventennio la spesa
delle famiglie per la telefonia è aumentata del 360%, quella per i consumi
culturali è calata del 38%. Non vado oltre. Ma quello che conta è che, come
ricorda Solimine, l'accesso alla conoscenza è fonte di benessere, mentre noi,
dopo gli anni Settanta, siamo diventati più ricchi, ma meno colti e quindi
anche meno felici, meno capaci di vivere responsabilmente la modernità e meno
consapevoli.
E siamo diventati ignoranti. Abbiamo svilito scuola e
università, non abbiamo investito nelle biblioteche e nella formazione degli
adulti, non abbiamo riconosciuto il valore della conoscenza. Di chi la
responsabilità di questa deriva? Inutile prendersela con chi ci ha governato.
Non siamo innocenti, è colpa di tutti, anche se in particolare della classe
dirigente: dei politici, che hanno perseguito l'utile personale invece del bene
generale; del ceto imprenditoriale, portato solo agli interessi di bottega;
degli intellettuali, rinchiusi su se stessi e incapaci di proporsi come guida
per l’uscita dalla crisi; ma anche di una società civile cinica e distratta,
che quella classe dirigente ha tollerato e subito.
Non dobbiamo illuderci: Solimine ricorda che abbiamo
già assistito al declino di popoli con alle spalle tradizioni millenarie. Noi
stiamo, appunto, sprecandole. Potremmo salvarci se riconoscessimo che la
conoscenza è un bene comune ineludibile; se riducessimo le disuguaglianze, che
sono un freno alla crescita; se capissimo che la comunicazione culturale e
scientifica è un’infrastruttura essenziale; se potenziassimo le biblioteche
pubbliche e le mettessimo all’altezza della sfida della modernità; se lo stato
e i privati investissero nella ricerca; in definitiva, se decidessimo di
combattere l’ignoranza.
Importante la precisazione sui cosiddetti “beni
comuni”, termine che rischia di diventare “una delle più stucchevoli
parole-chiave del dibattito politico ed economico”, utilizzata spesso a
sproposito. Giustamente, si sottolinea, bene comune non è solo qualcosa di
proprietà collettiva o aperta al pubblico, ma soprattutto qualcosa di cui tutti
si è partecipi, che riporti a valori condivisi. Ed ecco perché in Italia
l’istruzione, la tutela dei beni culturali, la conoscenza in quanto tale e la
lettura non sono riconosciuti come beni comuni. Con il disastro che ne
consegue.
Nel suo percorso, Solimine non può fare a meno di
analizzare il rapporto che la conoscenza ha con lo sviluppo della tecnologia
della rete. Senza chiusure preconcette, è però importante l’indicazione che fa
nel ricordare che bisogna distinguere tra informazione e conoscenza. Che la
sovrabbondanza di informazioni non comporta comprensione, e che – citando Metitieri - “La gran parte degli utilizzatori dei motori
di ricerca (…) tende ad arrestarsi di fronte ai primi risultati, senza che ne
vengano valutate la pertinenza, la rilevanza e l’attendibilità, e quindi senza
che si possa produrre un’appropriazione critica e consapevole dei contenuti”.
Forse non ci sono qui le indicazioni per uscire dalla
crisi del paese; ma mentre c’è chi continua a pensare che ci vogliano subito nuove
leggi contro la corruzione e la criminalità, qui viene almeno ricordato, dati
alla mano, che “i paesi nei quali i livelli di istruzione e di partecipazione
alla vita culturale (…) sono più alti”, quelli “in cui le biblioteche marcano
una presenza più incisiva, sono anche i paesi in cui i livelli di competitività
sono più elevati, la corruzione e la criminalità pesano in misura minore, la
parità tra i sessi è pienamente acquisita”.
E’ lì, dunque, nella battaglia per la cultura, che si
decide se sapremo batterci contro il declino.
(Da “L’Immaginazione”, settembre-ottobre 2014)