INDAGARE E' CONOSCERE
C’è chi
insiste a dire che in Italia si scrivono troppi gialli, che non rappresentano
la realtà italiana, che non sono veri romanzi, che la letteratura è tutt’altra
cosa. Mi chiedo: ma dove vive, cosa legge, questo cenacolo di uomini eletti,
che ama solo la letteratura alta e colta. E, soprattutto, dove la trovano, la
letteratura alta e colta? Certo non tra i romanzi “duri”, tutti citazioni
erudite, autoanalisi, flusso di coscienza, realistica rappresentazione dei
popoli dell’abisso e del deteriorarsi delle classi dirigenti. Lì, a mio avviso,
da molti anni a questa parte, si trovano solo sterili esercizi di autofiction, descrizioni di descrizioni.
Né alte né colte.
Se è vero,
poi, che in vetta alle classifiche troviamo spesso dei noir, dei gialloni muniti di robusta trama sanguinolenta e di un
congruo numero di cadaveri, ma scritti in modo sciatto, con la scrittura
compiaciuta e quegli artifici linguistici che sono i tipici prodotti delle
scuole di scrittura creativa, è bene ricordare che c’è anche altro, e di
meglio. Libri che magari non arrivano in vetta alle classifiche; se i critici
leggessero, invece di guardare le classifiche, se ne accorgerebbero.
Un giallo di
raffinata scrittura, che racconta con efficacia una vicenda anni Cinquanta,
ambientata in Liguria, è I garbati
maneggi delle signorine Devoto. Ovvero, un intrigo a Sestri Ponente, di
Renzo Bistolfi, pubblicato da Tea. Non solo i personaggi, ma la lingua, i
dettagli, l’ambientazione sociale, sono una perfetta fotografia di quel tempo.
Tre sorelle, zitelle, una cieca, figlie di una famiglia borghese decaduta,
vivono una vita di decorosi risparmi nella casa di famiglia, a Sestri. Ma
qualcuno cerca di cacciare loro e i tradizionali abitanti della piccola
comunità di palazzine e villini della periferia bene. Ci sono amministratori
ambigui e spregiudicati, giovanotti che esibiscono il primo benessere del
dopoguerra, fanciulle che cascano nella trappola delle apparenze, e soprattutto
una vecchietta che rischia, oltre che il suo benessere, addirittura la pelle. Le
signorine Devoto, indagano e arrivano a una conclusione imprevista e clamorosa.
La trama è tesa e piena di sorprese, la costruzione un meccanismo perfetto; ma
è il clima, i profumi di vecchi merletti e di brodini di magro, le
conversazioni in parrocchia e i tè con amiche e conoscenti che costituiscono il
nerbo del racconto. Difficile essere più acuti nel cogliere il delinearsi di
un ceto affamato e moralmente disinvolto che vuole la sua parte del benessere
che cresce nel paese, agli albori del boom
economico, e la occhiuta e rigorosa vigilanza delle terribili vecchiette,
tanto piene di tradizione, superstizioni e pregiudizi, quanto capaci di
cogliere i segni del degrado incipiente.
Non troppo
dissimile, per l’ambientazione provinciale e per la capacità dell’autore di
descrivere un clima e un ceto abitualmente invisibile, è La copia infedele, di Stefano Trinchero, 66thAnd2ND. Qui
l’ambientazione è contemporanea, il luogo è Torino, ma originale è chi indaga:
Riberto, un giornalista sportivo, specializzato nel seguire la terza squadra di
calcio torinese (dopo Juve e Toro, non può che essere una formazione molto
marginale). Un cronista un po’ indisciplinato, piuttosto alcolico, capace di
aggressività, molto autonomo nella sue scelte professionali e sempre in attrito
con il direttore.
Il caso da
cui parte la vicenda è un incidente automobilistico, in seguito al quale un
calciatore rimane in coma. Riberto è costretto a indagare. Non è il suo
mestiere, ma l’uomo è cocciuto, e inizia a seguire un pista che risulta
esatta e pericolosa. Mentre alcuni
balordi tentano di farlo fuori, la trama ci porta nelle zone oscure dei periti
e dei liquidatori delle assicurazioni. Non anticipo altro. Quel che conta però
è la scrittura, pulita e ricca di dettagli; il disegno dei personaggi, uno più
curioso dell’altro, un piccolo universo di sfigati, di impiegati infedeli e di
funzionari bigotti e testardi. E lo sfondo di una Torino che non è più né la
capitale sabauda né la città-Fiat, ma una metropoli postmoderna, senza
personalità, piena di piccoli trafficanti che si arrangiano al margine della
legge (e oltre), di artisti falliti, di paesaggi urbani devastati e sconsolanti. Forse qualcosa che avrebbe potuto far intravvedere gli ultimi risultai elettorali. Perfetta, infine, la descrizione della vita di redazione di un giornale.
Terribile, come oggi accade.
C’è, in
questi due libri, come in tanti altri usciti negli ultimi anni, una vivacità
letteraria, uno sguardo analitico, una visione critica del presente che i più
raffinati intellettuali che descrivono senza
ironia il proprio mediocre e limitato mondo non riescono nemmeno a
sfiorare. Lì, secondo me, nell’indagine, nel peregrinare dei detective più o
meno improvvisati, c’è lo sguardo più lucido sulla contemporaneità che abbiamo
avuto in questi anni.
Da'"l'Immaginazione", Maggio-giugno 2016
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