ISOLE E FORMICAI
La letteratura è nata
su un’isola. Da Itaca parte Ulisse per Troia, e a Itaca ritorna, alla
conclusione del nostos, fuggendo da
Ogigia, l’ultima isola che lo ha avuto prigioniero. L’Iliade, e soprattutto l’Odissea,
sono popolate di isole. Di isole si nutre la narrazione antica, di isole è
popolato il dramma classico come il romanzo, di isole ancora oggi parla con
costanza la letteratura. Se la dimensione insulare è così connaturata a ogni
forma di narrazione, quasi necessaria per raccontare vicende, è perché il
modello di terra circondata dal mare, chiusa in una società con caratteristiche
di autonomia, scelte o imposte poco importa, rappresenta una sorta di luogo
geometrico delle interazioni umane, delle contraddizioni della vita associata,
degli archetipi del comportamento degli individui.
Solo
su un’isola può accadere che si concentrino caratteristiche altrimenti uniche:
come quelle dei ciclopi, violenti e stolidi, come i Lestrigoni. Su un’isola può
vivere Eolo, con il suo otre contenente tutti i venti . Ma soprattutto solo
in una comunità chiusa si può rappresentare nella sua ipotetica realizzazione
un’utopia. La prima la troviamo appunto nell’Odissea: l’isola dei Feaci racchiude una società pacifica, che
rinnega la violenza e aspira alla kalos k’agathìa,
alla bellezza e alla bontà. E sono isole
quelle che, nel tempo, ospiteranno comunità utopistiche come l’Utopia di Tommaso Moro, la Città del sole di Campanella. la Nuova Atlantide di Bacone. Lì, in
una’enclave non contaminata da società bellicose e intolleranti, può nascere e
prosperare l’utopia, costruendo non solo un modello organizzativo perfetto, ma
anche l’uomo nuovo che lo vive e ne rappresenta il prodotto ultimo. Un po’ come
l’ideale bolscevico del socialismo in un solo paese, le isole delle utopie
letterarie confermano, con la loro stessa insularità, di essere un modello
irrealizzabile se non in un luogo separato dai conflitti del mondo.
In
fondo, ancora oggi è solo su un’isola che possiamo trovare una società legata a
valori comunitari, fortemente coesa e orgogliosa della propria autonomia
sociale e intellettuale, pronta a difenderla con l’orgoglio di conosce la
propria originalità. Lì, tra paesaggi che
non escludono mai l’immensità marina, vita e sogno si confondono, ed è
come se il suono incessante del mare che si frange sulle sponde insulari
producesse un incantamento perpetuo.
Ma
l’isola è anche il luogo chiuso, dove esplodono le contraddizioni che su un
continente ampio e aperto si possono diluire in spazi sconfinati. Ed è su un
isola che Prospero e Calibano vivono il conflitto della Tempesta scespiriana; è sull’Isola
misteriosa che i naufraghi di Verne ritroveranno il capitano Nemo; è
l’isola delle Api industriose quella dove Pinocchio ritrova la Fata e mette (o
meglio, dovrebbe mettere) la testa a posto; è un’isola quella dove i ragazzi
isolati del Signore delle mosche
costruiscono una società di infantile violenza e intolleranza; è un’isola
quella dove Napoleone sogna la rivalsa del 100 giorni; è un’isola quella dove
viene scritto il manifesto di Ventotene; isola è Alcatraz, luogo di sofferenza
e di evasioni; isola è quella del
castello di If, da dove parte il progetto di rivalsa e vendetta del Conte di Montecristo, ed è un’isola
quella che custodisce il tesoro che ne permette la realizzazione. L’Alcina
ariostesca vive in un’isola al di là delle colonne d’Ercole, geograficamente
vicina all’isola del Purgatorio dantesco; isole sono quelle dove si organizza
il dinosaurico Jurassic Park e dove
si conclude la ricerca della latitudine dell’Isola del giorno prima di Umberto Eco; isola è quella dove i 10 piccoli indiani muoiono in una tipica
vendetta a chiave di Agata Christie.
Se
le isole sono un luogo privilegiato di ogni narrazione, questo è dovuto al
fatto che rappresentano una contraddizione formidabile. Difese dal mare, sono
una sorta di fortezza naturale, che dà sicurezza e autonomia a chi ci nasce o
ci si rifugia, perché difficili da conquistare e da dominare. Ma insieme sono i
luoghi dell’endogamia, dell’isolamento culturale e quindi del rischio di
arretratezza; sono terre che non possono chiedere solidarietà ai territori vicini,
perché vicini non sono. L’isola, grande o piccola non conta, è un continente a
sé che sembra esprimere in modo accentuato tutti i nodi dell’organizzazione
sociale. L’isola è insieme un meraviglioso mondo, che può essere più puro e più
genuino delle terre attraversate da migrazioni e da invasioni, ma insieme una
sorta di laboratorio sociale dove le contraddizioni si acuiscono e i conflitti
si radicano.
Accade
perché per descrivere un mondo particolare, in cui si verificano fatti che
meritano di diventare racconto, si aprono prospettive originali e rotture degli
schemi che sollecitano la descrizione romanzesca, bisogna che ci sia una specie
di laboratorio, come quelli che usano i mirmecologi per studiare la vita delle
formiche. Insomma, la letteratura ha usato le isole come formicai, le ha
trasformate in strumenti di indagine, ci ha messo dentro gli esseri umani e li
ha costretti a vivere in condizioni a volte estreme, spesso violente, altre
ireniche, sempre diverse da quella che si potrebbero trovare nella sterminata
distesa di un continente. Nelle isole ha creato utopie, come quella degli Houyhnhnms, i cavalli sapienti di Gulliver, dalle mente così limpida da non conoscere nemmeno le parole della falsità e della negazione; e distopie, come la società di infantile violenza e intolleranza del Signore delle mosche; dalle isole ha fatto nascere miti, come quello del piccolo regno di Ulisse, e originali percorsi formativi, come quello dell'Isola di Arturo. Sulle isole ha indagato su cosa possono diventare gli uomini
in condizioni altrimenti inimmaginabili, lì ha fatto sopravvivere per anni naufraghi
isolati e sperduti, lì ha fatto crescere creature fantastiche e mostruose, lì
ha sperimentato ogni possibile esasperazione dei rapporti sociali.
E
lì ha prosperato.
Anticipazione dell’intervento per il
festival
“Passavamo sulla terra leggeri”
Siliqua, 20/7/18
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