Le
ziette: l’altra parte della famiglia
“Vado
a casa delle mie zie, perché io una casa non ce l’ho”. Chi parla è Tino
Faussone, il protagonista della Chiave a
stella, di Primo Levi. Grande e grosso, capace di montare con le sue manone
ponti, tralicci e piattaforme petrolifere, non ha casa e quando, tra un viaggio
di lavoro e l’altro, torna a Torino, va dalle zie. “Sono due zie di chiesa, mi
ricevono nel salotto buono e mi danno i cioccolatini”, spiega a Levi Faussone;
e qui c’è un particolare che fa riflettere. Faussone non dice “due donne di
chiesa”, dice “due zie di chiesa”, e con questo ha aggiunto all’indicazione di
genere una caratteristica che rende uniche queste parenti. Prima che donne,
zie.
“Cosa
faremo di questo ragazzo?”, si chiede Betsey, l’energica la zia di David Copperfield, tipico personaggio
dickensiano, interrogandosi sul suo futuro. “Io gli farei un bagno”, risponde
imperturbabile il signor Dick. La zia Betsey è un tipo che paga regolarmente
l’ex marito perché non si faccia vedere e ha un affittuario, il signor Dick
(nome allusivo? Chissà) che, anche se non viene esplicitato, sembra vivere more
uxorio con la zia. Siamo nella puritana Inghilterra vittoriana, dove già il
fatto che la zia abbia cacciato il marito è del tutto al di fuori dai canoni
sociali borghesi, e che in sovrappiù
conviva con un uomo addirittura scandaloso. Ma le zie sono così, e per
questo rappresentano un originale soggetto letterario.
Compaiono
carsicamente, nell’universo letterario, ma sono stelle di prima grandezza. Il
loro compito è obliquo, ma spesso centrale. La Sanseverina, zia vedova di
Fabrizio del Dongo, presa da tumultuosi rapporti sentimentali, sotterraneamente
innamorata del nipote, è un personaggio chiave della Certosa. Una zia di carattere, anticonformista al limite
dell’incoscienza, volitiva e incurante di norme e convenienze. Tutt’altra cosa
le Sorelle Materassi, emblematiche di
un mondo di zie tutte casa e parrocchia, che però perdono la testa per il
nipote sciagurato e per amor suo si fanno derubare di tutto.
Ci
sono, è vero, importanti zii letterari maschi, dal principe di Salina ai paperi
di Disney. Ma non arrivano mai ad avere la peculiarità delle zie. Perché la loro
ironia corrosiva, la volontà di dare ai nipoti strumenti per maturare fuori
dalle convenzioni e per conquistare una visione del mondo capace di
rinnovamento, in conflitto con le tradizioni, rappresenta un formidabile
strumento di progresso etico e sociale. Così per Zia Mame, così con In viaggio
con la zia di Graham Green, così con la formidabile Zia Julia di Vargas Llosa. Per non parlare delle terribili zie di
Jane Austen: quella di Darcy, in Orgoglio
e pregiudizio e quella di Fanny Price, in Mansfield Park, tutte e due usate dall’autrice per dimostrare che
anche le più tenaci e ostinate opposizioni al cambiamento sociale della
modernità non possono che essere sconfitte.
C’è
un modello di zia che lascia una traccia indelebile nella letteratura moderna e
che giustifica l’idea che il ruolo delle zie, nel romanzo, vada al di là della semplice parentela. Perché le zie
sono spesso un surrogato dei genitori, ma con caratteristiche completamente
diverse. Tenere e ingenue, alle volte autoritarie e crudeli, ma anche
coraggiose al limite della temerarietà. Hanno un’autonomia, sociale e
affettiva, che una madre non può avere. E insieme un ruolo di protettrici se
non educatrici che possono esercitare con la libertà che nessun genitore ha.
Non hanno gli stessi patemi delle madri, ma possono esprimere un affetto anche
più caldo e disinvolto. Non devono essere severe, perché non è da loro che ci
si aspetta un’educazione rigorosa, ma possono esercitare una sorta di dominio
sotterraneo che le porta a insinuare nei nipoti il tarlo dell’anticonformismo e
della ribellione.
Le
zie della letteratura sono uno strumento per la comprensione dei modelli di
formazione dell’uomo moderno. Un archetipo letterario che lascia il segno:
quando in un racconto compare una zia, tutti solleviamo le sopracciglia,
allunghiamo le orecchie. Sta per succedere qualcosa. Le zie sono grimaldelli
per entrare nelle dinamiche famigliari da una porta laterale, per aprire
prospettive inusuali nei problemi della consanguineità, per guardare con un
prisma che cambia l’ottica dell’osservazione quello che nascondono le
parentele. Le muse di un’umanità in via di sviluppo.
Personaggi
formidabili per costruirci intorno un racconto. Tant’è vero che se n’è accorto
anche il cinema, in più di un’occasione, com’è accaduto con le terrificanti
ziette di Arsenico e vecchi merletti,
che seppelliscono i loro pigionanti in cantina. Grazie, zia!
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