lunedì 24 maggio 2021

 

 

Rileggere Malraux oggi

 

“Manuel prendeva coscienza che la guerra consiste nel fare l’impossibile perché dei pezzi di ferro entrino nella carne viva”. La nuova, impeccabile traduzione fatta da Giovanni Pacchiano di Speranza, di Malraux, pubblicata da Bompiani, è un utile ripasso di un passaggio storico che ha avuto molte versioni letterarie, quasi sempre però filtrate da una visione eroico-agiografica che ne ha tradito la realtà, non sempre limpida.

Raccontare la guerra di Spagna, vista dalla prospettiva delle brigate internazionali, vuol dire, in gran parte, spiegare cosa succede quando chi combatte non è stato addestrato a farlo e non è un soldato. Con i tratti di eroismo e di commovente slancio ideale che caratterizzano chi è convinto di combattere una guerra giusta, anche se spesso non capisce bene cosa accade; e con i momenti di confusione, militare quanto ideologica, che caratterizzano un esercito raccogliticcio, in parte composto da spagnoli, in parte da stranieri di varie provenienze e  varie fedi politiche, e in parte anche da mercenari. “Chi comanda qui?”, chiede a un certo punto il comandante Garcìa, un intellettuale, raffinato e ironico, prestato alla guerra civile; “Chi vuole che comandi?.. Tutti… Nessuno…” gli viene risposto. E al capitano Hernàndez, uno dei pochi militari di carriera, che osserva che una barricata è troppo bassa, viene chiesto chi è; “Non sei della CNT [i comunisti stalinisti]. Allora, cosa c’entri con la mia barricata?”.

Ma la guerra è violenza e morte, e Malraux la descrive con una prosa tumultuosa, a partire dai convulsi dialoghi telefonici iniziali, in cui le voci dei falangisti si incrociano paradossalmente con quelle dei miliziani, per arrivare ad alcuni tra gli scontri più duri, all’assalto con armi inadatte ai carri armati tedeschi, ai duelli aerei con gli apparecchi italiani, superiori per numero e potenza allo scombinato stormo dei “pellicani”, gli aeroplani rappezzati alla meglio comandati da Magnin, l’alter ego di Malraux.

Ma questo “esercizio dell’apocalisse”, che è la spina dorsale del libro, non richiede riflessioni, perché le battaglie, per chi non sia un esperto, sono la cosa più difficile da commentare, mentre è la prosa tambureggiante con cui è descritto che cattura e coinvolge. Mentre insieme ai combattimenti ci sono gli scontri politici, le gelosia tra le componenti delle milizie, l’autorità dei commissari politici comunisti e l’inafferrabile indisciplina degli anarchici. Perché quella di Spagna è insieme guerra e rivoluzione, e contiene durezza militare e slanci ideali. “Barcellona era incinta di tutti i sogni della sua vita”. In un clima decisamente anticlericale, in contrapposizione al clericalismo dei fascisti, ci si propone di permettere di decorare i muri come una volta si decoravano le cattedrali. “C’è più fratellanza qui, per strada, che in qualsivoglia cattedrale dall’altra parte”. E il conflitto tra comunisti e anarchici è sempre aperto: “Un tempo, i nostri erano disciplinati perché comunisti. Adesso molti diventano comunisti perché sono disciplinati”. Sullo sfondo, la consapevolezza che si tratta di una guerra che è quasi impossibile vincere, ma che si tratta innanzitutto di una battaglia di libertà, e che chi la vive si trova in una situazione di sospensione, come se il tempo di fosse fermato, perché non c’è altro che quel conflitto, quell’ideale; e la vita quotidiana, con le sue gioie e il suo tedio, è sospesa fino a nuovo ordine. “La rivoluzione è una vacanza dalla vita”.

Pure, questi uomini, che sanno di rischiare moltissimo, vivono momenti di poesia, di riflessione e di confronto, pur rendendosi conto che la guerra è sempre tragica, e non permette mai di essere a proprio agio, di vivere spensieratamente. Manuel, musicista, trovandosi in una chiesa si mette all’organo e suona il Kyrie di Pierluigi da Palestrina. Ma poi si dice che non può più suonare. “Credo che per me, col combattimento, sia iniziata un’altra vita; quanto quella che è cominciata quando per la prima volta sono andato a letto con una donna. La guerra rende casti”.

E la speranza del titolo si può rintracciare negli interstizi tra le battaglie, che lasciano spazio a ritratti originali, come quello di Hernandez, che sarà catturato e fucilato dai falangisti. “Nella vita tutto può avere la sua compensazione; (…) Ma la tragedia della morte sta in questo: trasforma la vita in destino, e a partire di qui niente può più essere compensato”. E il pilota mercenario Leclerc, che viene sospettato di viltà, e si lancia in un diverbio con Magnin: “Ti piscio addosso”; “Hai sbagliato”, fa Magnin. “Ti piscio addosso. Sei un salame legato, una faccia di vacca”. E l’italiano Scali (che pare sia disegnato sul personaggio di Nicola Chiaromonte), un raffinato storico dell’arte che si trova a maneggiare armi e soldati e una dimensione di sentimento collettivo mai provato. “Lei che è l’interprete di Masaccio, di Piero della Francesca, come può sopportare questo universo?”, gli chiedono. E lui, un intellettuale che è abituato non solo a spiegare, ma anche a persuadere, risponde: “Gli uomini uniti allo stesso tempo dalla speranza e dalla passione raggiungono, come gli uomini uniti dall’amore, territori ai quali da soli non arriverebbero mai”.     

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