SONO
CONNESSO MA NON CONNETTO
La
critica letteraria serve ancora a qualcosa? E le recensioni degli utenti, in
rete, la possono sostituire? La questione non è sprovvista di una sua
sensatezza, se sono in molti ad affermare che le terze pagine dei giornali
hanno perso autorevolezza e che, al contrario, la sincerità e la mancanza di
vincoli che caratterizzano i liberi interventi in rete aprono la strada a una
nuova e più limpida analisi dei testi, lontana dalle ipocrisie e dalle piccole
e grandi mafie della società letteraria.
Non
c’è bisogno di verifiche particolari per dire che una buona parte delle pagine
culturali dei quotidiani sono dedicate all’inesausta produzione di “marchette”
letterarie: noi giornalisti culturali recensiamo entusiasticamente i libri dei
direttori, dei caporedattori e dei colleghi della nostra testata, e anche di
quelle concorrenti. Non si sa mai, la volta dopo potremmo trarne merce di
scambio.
Ma
in rete, nella limpida, democratica rete, fuori da ogni condizionamento, da
ogni do ut des, da ogni servaggio
professionale? Una riflessione mi è stata sollecitata da una recente
ricognizione. Ho fatto, per un lavoro che mi era stato chiesto, una ricerca su Cuore di tenebra, di Conrad. Sfogliati
alcuni testi classici di critica, ho cominciato a frugare tra blog e commenti
in rete, per farmi un’idea di cosa ne pensava il grande pubblico. Ho trovato
qualche sincero commento positivo; ma anche prose di questo genere:
(su
IBS.it) Andrea (voto: 2/5); Conrad ha
mancato della capacità di irretire il lettore e quindi la lettura delle pagine
scorre lenta e noiosa cosa che, pur trattando di temi complessi, non si
riscontra ad esempio in Orwell (che scrive anche lui romanzi). Poi se gli elogi
sono fatti in massa perché viene ritenuto da sempre un capolavoro della
letteratura e le persone non vogliono fare la figura degli “intellettuali
timidi” perché criticano un “capolavoro” è un po’ come darsi dell’imbecille
agli occhi degli altri.
(ancora
IBS) Nicola Mosti (voto: 3/5): Per
cominciare, intenderei demolire la tiritera in base alla quale ai lettori non è
consentito esprimere critiche a un testo di narrativa se non lo si
contestualizza, se non si sposta il piano di lettura, se non si trasfigurano i
contenuti e altre amenità (…) Premessa necessaria per sgomberare il campo dai
preconcetti che ammorbano la mente dei critici di professione, secondo i quali
i mostri sacri della letteratura non posso mai essere messi in discussione dai
semplici lettori. Quegli stessi personaggi che, dallo scranno del loro
dottissimo studio, distruggono inappellabilmente scrittori contemporanei (…).
(su Qlibri) Martillo8: Lo stile è quello che si addice all’800, basato su termini di
linguaggio elevato e quasi aulico, scritti in un inglese antico e ormai in
disuso.
(Sempre
Qlibri) Artemisia: Il mio “disappunto” si
rivolge principalmente alla “scorrevolezza” dell’opera che nonostante la
tematica “umanistica” non riesce, a mio parere, a interessare il lettore e a
“travolgerlo” come invece vi riesce il film “Apocalypse now”.
(su
Letterati.it) Giuseppe Salsano: Il mare e
gli oceani sono, come in Melville, il simbolo di ogni sfida, ma la mole
smisurata della loro forza e delle loro dimensioni sono inconcepibili, quindi
sublimi, ad ogni ragione umana…
Be’,
sarebbe troppo facile fare dell’ironia su un linguaggio povero o inappropriato,
su paragoni fuori luogo con autori distanti nel tempo e nelle tematiche, sull’uso
spropositato delle virgolettatura e così via.
Quello che colpisce è l’astio nei confronti della critica ufficiale,
colpevole di dare giudizi (ma cos’altro dovrebbe fare) e di non apprezzare gli
scrittori contemporanei (qui sospetto una stroncatura non digerita), ma
soprattutto di negare il diritto di dire la loro ai lettori qualunque.
Naturalmente è in parte vero: lo sto facendo anch’io, in questo momento. Ma è
anche vero che tendo a non considerare autorevole una recensione scritta in un
italiano zoppicante, e gravida di risentimento verso la cultura ufficiale. Che
si merita il massimo disprezzo, sarà vero, ma per ridimensionare la quale è
necessaria un’autorevolezza che questi scritti non hanno.
Se
una conclusione posso trarre, da questa come da altre ricognizioni fatte in
rete, debbo dire che i giudizi dei lettori sono spesso superficiali, frutto di
letture mal digerite e di piccoli risentimenti personali. Qualcuno dirà che non
è un problema, che opinioni del genere sono sempre esistite. Ma una volta non
si trovavano in rete, e non avevano altro ruolo che quello di una chiacchiera
da bar. Oggi i pareri su Conrad che ho riportato hanno, per certi versi, la
stessa dignità di una introduzione di un
grande anglista o della recensione di uno specialista di letteratura marinara. Ecco,
questo secondo me è un problema. Perché se tutti i pareri hanno diritto allo
stesso rispetto, alla fine nessun parere avrà diritto a rispetto alcuno. Se lo
studioso vale come il lettore comune, non ci sarà più nessuno che rappresenterà
un momento di mediazione tra chi ha competenza e chi non ne ha. Se non ci sono
più gerarchie della conoscenza, non ci sono nemmeno gerarchie dei ruoli.
Immagino
che qualcuno penserà che questa è la democrazia, che quello che accade per le
recensioni dovrebbe accadere per tutto e che in questo modo saremmo tutti più
uguali e più felici. Non sono d’accordo. Neanche un po’. Saremmo tutti più
ignoranti, più arroganti e più confusi. La democrazia è anche rispetto per le
competenze. Senza quel rispetto, è logico che i genitori vadano a minacciare il
professore che dà cattivi voti al ragazzo che non studia, che i cittadini disonesti
protestino il giudice che li condanna e gli evasori fiscali chi vuol far pagare
loro le tasse. L’uguaglianza è necessaria in partenza, per dare a tutti le
stesse opportunità. Dopo, chi più sa deve avere più responsabilità, ne deve
portare il peso, risponderne e esserne degno. Questo sì. E chi non ha
l’autorevolezza necessaria per svolgere il ruolo che ha conquistato, ne paghi
le conseguenze. Ma non tutti possono fare tutto. E la rete, che per la sua
capacità di dare infinite informazioni a tutti, è uno strumento di grande
democrazia, non lo è se ci riduce tutti allo stesso ruolo.
Ricordiamo il percorso
della rivoluzione della Fattoria degli
animali. Non siamo, e non vogliamo diventare tutti uguali. Anche perché,
dietro l’angolo, c’è sempre un maiale che sostiene di essere più uguale degli altri.
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