LIBRO,CULTURA E DEMOCRAZIA
Credo che i buoni libri non
debbano fornirci definizioni e interpretazioni forti, ma casomai dubbi e
interrogativi. Non mi hanno mai persuaso gli analisti che, con più o meno
fortunate sintesi, descrivono la modernità in modo univoco; liquida, solida o gassosa,
globalizzata o mucillaginosa, aurorale o escatologica, poco importa. Trovo
stimolanti i libri che ci mettono di fronte ai paradossi del presente, ne
descrivono le sfaccettature, e non pretendono di indicarci la retta via per
capire a che punto siamo del complesso processo storico che ci riguarda. Un millimetro più in là, intervista sulla cultura, di Marino
Sinibaldi, a cura di Giorgio Zanchini, Laterza 2014, fa parte dei libri del
dubbio, e per questo ci è utile.
“La cultura è un’arma possibile
contro la disperazione del nostro tempo”; “La cultura ci può insegnare a
mettere tutto in discussione”; “Fare cultura per me vuol dire fare attenzione
alle cose belle e intelligenti”; “Per me la cultura, come forma di conoscenza
della propria realtà, è la condizione necessaria per autodeterminare la propria
vita”; “Quella parte di vita che puoi cambiare […] dipende dalla tua forza,
autorità, libertà. Per me la cultura è la condizione per esercitare queste
possibilità”.
Ecco, basta questa serie di
tentativi di definizione, che segnano il ritmo delle riflessioni del
libro-intervista, per capire come Sinibaldi proceda per approssimazioni
successive, suggerendo nuovi rami di estensione della ricerca di un concetto
univoco. Perché la sostanza del nostro essere cultura è insieme sfuggente e
pervasiva: il concetto antropologico di cultura sembra abbracciare tutte le
attività umane, mentre una preoccupante propensione alla negazione dei valori
della conoscenza sembra invece ridurne l’estensione a circoli elitari, sempre più
isolati. E qui l’analisi di Sinibaldi, stimolato da Zanchini, non poteva non
addentrarsi nel risvolto culturale che la mutazione tecnologica in atto può
produrre.
La rete, per Sinibaldi, è
un’occasione epocale, non solo per le dimensioni smisurate dell’offerta
informativa, ma anche per la spinta egualitaria che comporta. E’ vero che
malgrado conosciamo più cose, lo facciamo con meno profondità; ma questo non
può non comportare maggiore apertura e maggior tolleranza. E internet è una
“macchina per la soddisfazione di tutti i desideri di conoscenza e di
informazione possibili”. Produce relazioni, senso di appartenenza. “Tende a configurarsi come il
posto dove tutte le esperienze hanno luogo”. E “la molteplicità degli scambi
non può che favorire la qualità culturale”. Permette e di scavalcare i
parassiti della mediazione, e può persino liberare dalle egemonie culturali, da
una società letteraria oligarchica e chiusa. E, anche se per il momento è solo
un’ipotesi, la rete rende possibile l’abbattimento della distinzione tra
consumatori e creatori di cultura e di informazione.
I problemi però sono altrettanto
significativi dei vantaggi. Il rischio è che prevalga in rete il modello per
cui si ottengono “risposte veloci, gratuite e mediocri”. Che la mancanza di
materialità e di autorevolezza “imponga un sapere senza sostanza, e senza
responsabilità”, che “rischia di diffondere una specie di virale irrilevanza
delle cose, delle scelte e degli atti di ognuno di noi”. E la maggiore libertà
di scelta può significare che ogni gruppo “si concentrerà su quello che
preferisce, e sperimenti meno”; che resti confinato nelle sue passioni, nelle
sue convinzioni, e non si metta mai in
discussione. “Nella rete sei connesso con tutti, ma prossimo a nessuno”. Gli
algoritmi della rete premiano la maggioranza, la quantità prima della qualità.
Se può valere per un ristorante, non può essere accettabile per i prodotti
culturali: “Non si possono giudicare i libri come le stanze d’albergo”. In
definitiva la rete, finora, vive un paradosso perché, malgrado viva di
connessioni, “genera un sapere sconnesso”, favorendo forme polverizzate di
conoscenza “come se l’attenzione al dettaglio facesse perdere di vista quella
dimensione più generale che chiamiamo cultura”.
Zanchini coglie il punto quando
chiede a Sinibaldi se crede che sia possibile vivere senza mediatori, e che il
progresso della cultura sia quello di emanciparci dalle élites. Sinibaldi dice
di sì, anche se poco prima ha ricordato che, senza mediazione, avremmo alle
spalle “una distesa irriconoscibile di rovine”; e che c’è bisogno di ricerca,
di esercizio, di maturazione. E questa è forse l’osservazione più preziosa.
Ogni nuovo medium, ricorda, nasce come una nuova tecnologia, che trasmette
saperi e formati già esistenti. Solo a completa maturazione produce un suo
modello specifico. Così è accaduto per la stampa a caratteri mobili, così per
il cinema, così per la tv. Accadrà anche per la rete. Ma non sappiamo ancora
cosa sarà.
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