AIUTO, ARRIVA LA
REPUBBLICA PLATONICA
Sono in ritardo,
terribilmente in ritardo. Non mi ero accorto che, mentre tutti si baloccavano
nel maldestro tentativo di riformare il parlamento, c’era chi aveva trovato la
chiave per far funzionare, finalmente, le istituzioni, realizzando la
Repubblica platonica e il governo dei filosofi.
Forse avrei dovuto stare più attento, perché qualche segnale c’era già
stato. Ma la dimostrazione che i tempi erano maturi per arrivare alla kallipolis, dove l’aurea classe dei
filosofi potrebbe governarci con naturale saggezza e razionalità, mi è venuta
dall’articolo pubblicato dalla senatrice a vita Elena Cattaneo su Repubblica,
il 7 agosto scorso, dal titolo “Senato, occasione persa. Si poteva volare più
alto”. Il nodo sta nell’ultima parte dell’articolo, nel quale la studiosa – per
la cui competenza scientifica ho la massima stima – lamenta la “distanza” con
la quale è stata accolta la proposta di “rafforzare nel nuovo Senato le
competenze culturali, accademiche o di eccellenze internazionalmente
riconosciute”. E’ chiaro che la
senatrice non ritiene sufficienti le dieci personalità che – secondo il
progetto governativo - nominerà il Presidente della Repubblica, che saranno pur
sempre un decimo dell’assemblea. Devo immaginare che abbia immaginato che
potessero essere il 20, il 30 per cento, o addirittura di più. Vediamo come ci
si sarebbe potuti arrivare e cosa ne sarebbe derivato.
Innanzitutto, come si fa ad
individuare le “personalità abituate a disegnare le frontiere del mondo”, come
auspicato nell’articolo? Se dovesse essere il Presidente della Repubblica, a
farlo, ne verrebbe fuori una sorta di “Parlamento del Presidente”, e non oso
immaginare la pioggia di critiche e contestazioni che produrrebbe. Le
“personalità” dovrebbero essere allora elette direttamente dai cittadini, o
dagli amministratori che nomineranno il senato “politico”? E perché mai i
cittadini e gli amministratori dovrebbero sapere chi sa disegnare le frontiere
del mondo, e perché questi dovrebbero essere meglio dei politici che saranno
nominati? O dovremmo avere una lista bloccata di “disegnatori di frontiere”,
garantita da qualche entità scientifica? Peggio mi sento. Ve lo immaginate un
ramo del Parlamento nominato dai rettori, dai docenti universitari, dai
ricercatori? Gli stessi che da anni non riescono a varare un solo concorso che
non sia contestato per clientelismo, che hanno trasformato le maggiori
università in emblemi del nepotismo, che sono responsabili di una selezione
alla rovescia, che ha portato in cattedra amici e parenti, mentre i cervelli
migliori dovevano emigrare? Per non parlare di quelli che portano a far lezione
Gheddafi o Schettino. E certo che ci sono docenti degnissimi, di grandi
capacità e di grande dirittura morale, Ma c’è il modo di selezionare solo i
migliori, gli onesti, i veri “disegnatori di frontiere”? Io non lo vedo. E non
vedo quindi nessuna possibilità di realizzare la Repubblica platonica. Si
chiama utopia, quel nobile progetto,
perché è irrealizzabile. E credo che sia bene che utopia rimanga.
Personalmente non ho nessun
particolare entusiasmo per la riforma costituzionale così com’è disegnata;
avrei preferito, per esempio, l’eliminazione completa del senato. Ma nessuno si
illude che la politica faccia quel che piace a lui (e se lo fa, dimostra di
essere assai immaturo). Credo invece che valga la pena dare un’occhiata alle
altre obiezioni che la senatrice oppone alla riforma, visto che sono condivise
da molti commentatori e anche da alcuni eminenti studiosi. Dice Elena Cattaneo
che: 1) Si è dato scarso ascolto a chi
aveva altre idee. Sarà vero, ma a me è parso che le altre idee, ampiamente
discusse, fossero fondamentalmente opposte a quelle di chi ha disegnato il
nuovo senato. Farle convivere era semplicemente impossibile, per cui, come
succede in democrazia, si è andati a votare e ha vinto la maggioranza. 2) Il voto è stato condizionato da pressioni
esterne ed è andato a buon fine per la disciplina di partito. E che novità
sarebbe? A meno che in parlamento sieda una maggioranza coesa e autoritaria, la
decisioni importanti devono essere prese tenendo conto dell’opinione del
maggior numero di votanti, come anche del maggior numero di cittadini. E i
rappresentanti dei partiti, di solito, si mettono d’accordo per votare insieme;
salvo contestatori che, infatti, ci sono stati. Così funziona un parlamento, ed
è giusto che i parlamenti siano condizionati dall’opinione pubblica. 3) Il progetto è pasticciato perché manca la
riduzione dei numero dei deputati e mancano garanzie di bilanciamento. Sul
numero dei deputati non posso che essere d’accordo, ma temo che il parlamento
non fosse ancora pronto a un simile sacrificio: sappiamo tutti che chi vi siede
spera di essere rieletto, alle prossime elezioni, e difficilmente si
troverebbero i numeri per far passare una riforma che prevede che il numero dei
parlamentari (retribuiti) scenda ulteriormente. Sugli strumenti di
bilanciamento dei poteri, sono stati molti a chiedere che se ne varassero, ma
nessuno ha spiegato di quali si tratterebbe, se non di un redivivo senato
elettivo. L’obiezione nasce dal fatto che in questo modo il paese sarebbe
vittima dello strapotere di un solo partito, e che questo ci porterebbe a una
forma di democrazia autoritaria. Ma dove erano, mi chiedo, le forme di
bilanciamento dei poteri del passato, quanto passavano le leggi ad personam, lo svuotamento delle casse
dello stato per favorire i benestanti a danno dei ceti meno abbienti, e si
varavano improvvidi alleggerimenti fiscali che ci hanno portato sull’orlo del
baratro e si sono dovuti subito correggere? E, in definitiva, le leggi non
possono essere corrette, che ci siano una o più camere, cambiata la
maggioranza?
Ci sono altre obiezioni che mi
lasciano perplesso, sulla riforma costituzionale e sull’italicum. Perché l’elezione indiretta dovrebbe portare in senato
dei farabutti, mentre quella diretta no? Forse che, quando votiamo per i comuni
e le regioni siamo corrotti, mentre quando votiamo alle politiche siamo spiriti
illuminati? Se così fosse, oltre alle provincie si dovrebbero eliminare anche
tutte le altre forme di amministrazione locale. Ma c’è anche l’obiezione che
così mancherebbe pluralismo e ci si affiderebbe a un unico partito, con rischi
dittatoriali. A me sembra che questo ci porterebbe, piuttosto, verso un
bipartitismo meno imperfetto di quello provato finora; forse che in Germania,
Regno Unito, Francia, USA non vigono da decenni bipartitismi quasi perfetti? O
forse che lì c’è meno democrazia? E ancora, si rimpiangono le preferenze, che
però sono state eliminate con un referendum perché erano la peggiori forme di
clientelismo e di corruzione, o ce ne siamo dimenticati? Ma sarebbe meglio
l’uninominale a doppio turno, alla francese, dice qualcuno; e io – per quel che
vale - sarei d’accordo. Ma ci sono i numeri, in parlamento, per farlo passare?
Mi pare proprio di no.
In definitiva, ho la sensazione che
le obiezioni alle riforme in atto siano in sostanza obiezioni alle riforme tout court, e che nascondano una
nostalgia, comprensibile ma inopportuna, per tempi passati. Passati non solo
perché non ci sono più i partiti di massa, ma soprattutto perché non ci sono
più grandi ideologie contrapposte. Un vuoto che, negli ultimi anni, ha lasciato
spazio a un immobilismo colpevole e a un clientelismo devastante. Il nuovo non
sarà meraviglioso, ma bisogna almeno prima provarlo; poi ci sarà il tempo (con
altre maggioranze, e con tempi ridotti) di cambiare.
Abbia pazienza, senatrice Cattaneo,
la politica è l’arte del meno peggio. Chi vuole il meglio, il più delle volte,
produce disastri. Ma lei è una novizia dei lavori parlamentari. Ho paura che,
dietro le sue argomentazioni, si siano schierate vecchie volpi che pensano solo
a se stesse. O, forse, anche chi ha nostalgia di un parlamento in cui a ogni
passaggio, da una camera all’altra, si aggiungeva un codicillo che premiava una
lobby, un paragrafo che garantiva una
corporazione, una spesa in più per tutti che andava a premiare solo alcuni
privilegiati. Oppure, addirittura, chi rimpiange le nobili gesta dei
Turigliatti, la conquista a suon di donazioni dei deputati (confessi), il
repentino voltafaccia degli Scilipoti.
E’ questo è il parlamento che si
rimpiange? Questo il ricco fluire di pluralismo? Meglio dimenticarlo: è quello
che ha portato al declino politico, economico, morale e culturale del paese. Bisogna
cambiare pagina.
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