GIAN ARTURO
FERRARI
E IL
ROUSSOIANESIMO DIGITALE
“I fortissimi
lettori non sono sempre pozzi di scienza, ma molto spesso anziane casalinghe
che leggono uno dietro l’altro romanzi rosa tutti uguali”. Il sarcasmo di Gian
Arturo Ferrari non è ingiustificato, perché ogni tanto è bene ricordare che il
libro (e il lettore), anche se godono da sempre di un’aura di superiorità
intellettuale, se non spirituale, non vanno sacralizzati. Né deve scandalizzare
il taglio spregiudicato col quale Ferrari parla del mercato editoriale nel suo
eponimo Libro (Bollati Boringhieri,
2014), ricordandoci che il libro serve
tanto Dio che Mammona, e che se il libro è diventato un business bisogna tener
presente che si tratta di un processo iniziato quattro secoli fa.
La parte in cui
Ferrari descrive – con precisione e senza falsi pudori - la situazione
dell’editoria oggi, non interesserà tanto gli addetti ai lavori, che già ci
vivono dentro, quanto chi quel mondo lo vede dal di fuori. Si stampano troppi
libri, e pochi buoni, c’è un profluvio di non-libri, nel lungo periodo
sopravvivono solo i migliori (mah, mica sempre vero), la preoccupazione
principale degli editori è di trovare di che alimentare le proprie macchine, e
in definitiva è stata solo l’editoria industriale, con bassi prezzi e contenuti
semplificati, a garantire l’auspicio illuminista di una diffusione capillare
della conoscenza.
La parte più
originale e benissimo documentata è la prima, quella che riguarda la storia del
libro dalle origini ad oggi, con informazioni precise sulla nascita e lo
sviluppo della scrittura, sul modo in cui si è sviluppata la forma del libro e
sul modo in cui i cambiamenti della forma hanno modificato progressivamente la
sostanza di quello che i libri contengono. Ed è il torchio a caratteri mobili,
la nascita del libro a stampa, che produce i principali mutamenti. Ferrari
giustamente sottolinea che solo allora, con l’apparire della data
dell’edizione, ogni libro acquista una sua identità anagrafica precisa, e sviluppa
una caratteristica che fino allora la scrittura non poteva avere, e cioè il
pregio della novità. Perché, nel ‘500 come oggi, il pubblico compra ciò che è
nuovo: buono o cattivo che sia, purché sia una novità. E la possibilità di
stampare molte copie è l’altro strumento che completa l’essenza del libro a
stampa. E’ lì che nasce una forma nuova di diffusione della conoscenza, non più
elitaria e quasi esoterica, come accadeva per il codice copiato a mano, ma alla
portata di (quasi) tutti.
Di lì all’e-book
il passo non è breve, ma Ferrari ci arriva con idee non banali. Quella
digitale, riflette, è il primo caso di una tecnologia che incorpora
direttamente un’ideologia; “talmente forte da non nascondere la propria natura
di supporto di giganteschi interessi monopolistici”. E l’e-book ha la
caratteristica di non essere una tecnologia che lentamente soppianta la
precedente (come il CD ha soppiantato il vinile), ma di convivere in un
confronto diretto con la tecnologia precedente. Ora, l’ideologia digitale applicata
al libro ha come caratteristica principale quella di “aprire le porte al regno
del tutto”, in un’idea di totalità che suggerisce uno spazio di libertà
assoluta. Al sentimento di limitazione che accompagna da sempre il libro
stampato, che non può raggiungere tutti e che non tutti possono raggiungere,
l’ideologia dell’e-book sostituisce una sfacciata pretesa di totalità, di
libera espressione alla portata di tutti.
Non c’è mai
stata, ricorda Ferrari, e mai ci sarà una biblioteca come quella di Borges, che
contiene tutti i libri; e a cosa servirebbe, in definitiva, la totalità dei
libri, cosa ce ne faremmo? Ed è vero che ogni libreria ha un assortimento
diverso da tutte le altre. Questo ne
costituisce il limite, ma anche il fascino e il pregio, dico io. Nell’idea di
totalità, invece, c’è un po’ tutta l’ideologia digitale, presentata come se
fosse una magica porta che apre la strada verso il sapere universale. Con una
brillante intuizione, Ferrari la definisce una sorta di roussoianesimo digitale, l’idealizzazione di uno spazio senza
divieti né balzelli, libero e gratuito, senza controlli e interessi occulti,
dove tutto si regola da solo e dove la genuina espressione della natura umana
tende naturalmente al bene e al bello.
Mi sembra una
suggestione perfetta. Un’illusione ingenua e pericolosa, anche se probabilmente
inarrestabile, tipica di chi pensa che la rete, da sola, metta a disposizione
tutta la conoscenza umana senza chiedere niente in cambio. Un’illusione
anarchica e sentimentale come quella, opposta, del sentimentalismo liberale:
che il libero mercato, incontrollato, non possa che produrre benessere e
felicità.
Inutile fare
previsioni sul futuro. Ferrari ricorda che la lettura è un’attività complessa e
faticosa, e che i libri si vendono anche perché c’è un libraio esperto che ce
li suggerisce, perché li incontriamo, fisicamente, in una libreria, perché
hanno una fisicità, una copertina, e un dorso visibile anche quando, già letti,
prendono posto negli scaffali della nostra biblioteca personale. Può l’e-book
sostituirli? Più probabile che diventi un prodotto multimediale, un ibrido che
poco ha a che fare col libro. “Non si vede, infatti, quale beneficio
multimediale potrebbero mai ricevere i racconti di Alice Munro o di Philip
Roth”. Appunto.
Ma allora forse
bisogna fare attenzione, forse bisogna immaginare una forma di difesa del vecchio
e buon libro cartaceo; perché se questo è ciò che prevarrà, la nuova forma del
libro – come è accaduto con Gutenberg – ne cambierà anche la sostanza, il contenuto,
la forza. Forse aprirà la strada a nuovi lettori, che finora erano spaventati
dall’impegno che la lettura tradizionale comporta. Forse sarà anche ulteriore
una forma di democratizzazione della conoscenza. Ma anche di mutamento di
paradigma. Una lettura fatta per immagini, sostenuta da rimandi a dettagli
sulla vita dell’autore, magari con appositi video, qualche pettegolezzo, non
sarà più il complesso esercizio di astrazione che il libro tradizionale ci
impone, facendoci allenare un muscolo essenziale per produrre il pensiero. Ecco,
forse, assieme ai vantaggi di una più ampia distribuzione del sapere, di una
immediata, economica e capillare distribuzione del nuovo prodotto, rischiamo di
restringere la capacità di lettura e un’élite di studiosi, affezionati al loro
esercizio di interpretazione simbolica di quei piccoli, neri segni
convenzionali che hanno composto fino ad oggi le parole, le frasi, i capitoli,
i volumi nei quali si è addensata la conoscenza dell’uomo negli ultimi tre
millenni. Perderemo qualcosa? Ho paura di sì. Senza quell’esercizio, addio
lettura, addio sogni illuministici, e addio libro, almeno per come li abbiamo
intesi fino ad oggi.
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