CHE DISGRAZIA, SE NON CI FOSSE IL
FANTASTICO
Ho simpatia e stima per Edoardo
Boncinelli per cui, quando ho visto che aveva pubblicato un articolo intitolato
Contro il fantasy (La lettura,
25/6/2017), mi sono compiaciuto perché a me il fantasy, diciamo la verità, mi è
sempre stato sullo stomaco. Ho un pregiudizio di fondo, lo confesso, ma le
saghe di elfi e altri esserini magici, ambientate in società primitive,
pretecnologiche, dominate da angosciose monarchie assolutistiche mi hanno
sempre lasciato freddo e un po’ annoiato. Se anche Boncinelli mi sostiene in
questa mia idiosincrasia, mi son detto, forse riuscirò a convincermi che sono
nel giusto e che il mio non è un pregiudizio, per l’appunto.
Purtroppo non è andata così. Dopo un
inizio brillante, e dopo aver giustamente distinto la fantasy dalla
fantascienza, dove “gli eventi rispettano sempre un filo di coerenza
tecnico-scientifica”, lo scienziato Boncinelli ha preso il sopravvento e si è lanciato
in un’apostrofe che finisce per mescolare fantasy e fantastico in un giudizio
estremamente negativo che, lo dico sommessamente, mi risulta poco convincente.
“Nelle storie fantasy”, argomenta
Boncinelli, “tutto è magia, ovvero il contrario della scienza, in un crescendo
di inverosimiglianza”. E continua dicendo che probabilmente questo rappresenta
il massimo dell’evasione, e arriva a dire che il magico costituisce l’emblema
del disimpegno e della deresponsabilizzazione, le stesse istanze che hanno
portato il romanticismo a disintegrare l’illuminismo. La conclusione ha toni
apocalittici, perché per Boncinelli non è difficile “trovare un nesso tra tutto
questo e il dilagare del ricorso alle medicine alternative (…) e
all’imperversare del complottismo come spiegazione degli eventi più diversi”.
Ora, è vero che una potente ventata
di irrazionalismo ha colpito i nostri tempi, dal rifiuto dei vaccini alle scie
chimiche, per passare, appunto, per i complotti più stravaganti e finire col
ritenuto falso allunaggio del ’69. Ma attribuire la colpa di tutto questo alla
letteratura fantastica mi sembra decisamente esagerato: non sarà invece il
portato del sapere “disintermediato” che caratterizza la diffusione
dell’informazione in rete? Perché la letteratura che è “tutto il contrario
della scienza” non è intrattenimento irrazionale, ma un potente strumento per
parlare della realtà con altri mezzi.
Basta pensare a cosa perderemmo se Poe non avesse scritto i suoi racconti
fantastici, che cosa sarebbe il mondo senza Kafka, come potremmo vivere senza i
poco razionali viaggi in ippogrifo di Ariosto, senza la magia del Prospero di
Shakespeare, dei viaggi di Alice; e non
dimentichiamolo, del Pinocchio di Collodi.
Il fantastico ha le sue radici nei
miti dell’antichità, si è sviluppato nei grandi poemi epici e ha continuato ad
avere ampio spazio nel racconto e nelle fiabe popolari, per arrivare poi a
maturazione col romanzo gotico e il romanticismo tedesco. E’ dunque quasi
connaturato con la produzione narrativa e non è solo un modello letterario
legittimo, ma vorrei dire quasi necessario.
Senza il fantastico la letteratura
sarebbe soltanto realistica, e questo vorrebbe dire una drammatica rinuncia a
immaginare, a confrontarci con universi diversi dal nostro, a sforzarci di
trovare una logica anche dove apparentemente non c’è. Anche se si trattasse
soltanto di un gioco, ricordo che Calvino sosteneva che il gioco è il grande
motore della cultura; e anche della scienza, aggiungo io, e Boncinelli non
potrà negarlo.
Né mi spaventa che i ragazzi delle
ultime generazioni si siano formati sui racconti di Harry Potter. Che male c’è?
Intere generazioni si sono costruite un universo di riferimento tra i pirati
della Malesia (mai esistiti), negli improbabili viaggi del capitano Nemo, tra le
straordinarie avventure raccontate da H.G.Wells; e non sono diventati né
fanatici delle medicine alternative (almeno non tutti) né complottisti irriducibili.
Il fantastico è necessario perché noi
siamo fatti di ragione e di emozione, di coscienza e di inconscio,di cultura e
di pulsioni. E la letteratura fantastica, più o meno bella, racconta da sempre
questa complessità, in modo allo volte allusivo, alle volte simbolico, alle
volte pescando nei nostri sogni più reconditi. Ma serve, serve non a farci
diventare disimpegnati e deresponsabilizzati, ma a sviluppare coscienza di sé.
Quando la bella bambina dai capelli
turchini fa venire al capezzale del burattino tre medici, un barbagianni, un
corvo e un grillo, che diagnosticano che “se il burattino non è morto è segno
che è ancora vivo”, per poi lasciare spazio ai coniglioni con la loro piccola
bara che si porterebbero via Pinocchio se non prendesse la medicina siamo, certo,
nell’irrazionale più profondo. Ma quante cose ci dice, dopo averci intrattenuto
e fatto ridere, quel passo. Che disgrazia, mamma mia, che disgrazia, se non
esistesse la letteratura fantastica.
(Da "L'IMMAGINAZIONE, n. 301)
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