IL GIALLO, O DELLA CENTRIFUGAZIONE DELLA REALTA'
Capita di sentir dire, periodicamente,
che di gialli ce n’è troppi, che non se ne può più, che sul giallo si è detto
tutto e che non c’è nulla da aggiungere. Poi, puntualmente, si scopre che la
letteratura gialla, come tutta la letteratura, ha sempre qualcosa di nuovo da
dirci e noi non abbiamo che da impegnarci a scoprirla.
Adelphi sta meritoriamente
ripubblicando tutto Sciascia, e Il metodo
di Maigret è, appunto, una raccolta di saggi sul giallo che risulta
illuminante. Sciascia, negli anni ’50, parte da un atteggiamento dubbioso, che
nel tempo va modificandosi: forte consumatore di gialli Mondadori, all’inizio non
ritiene che abbiano altro che la dignità di un prodotto di consumo. Pensa anzi
che tendano a snaturarsi con un eccesso di violenza gratuita e una propensione
a riempitivi erotici che ne definiscono una deriva deteriore. Sa però che i
buoni giallisti hanno appreso la lezione di Stevenson e di Conrad, di Melville,
Proust e Kafka. E insieme sa che Faulkner e Cain hanno preso molto dal giallo,
e che Hemingway e Graham Green devono qualcosa a Hammett. L’idea che in realtà
tutta la grande letteratura abbia spesso preso spunto da stimoli polizieschi
porta Sciascia a pensare al furto della mandria di Ercole, nell’Eneide, o al metodo – poliziesco – della
follia di Amleto nella sua indagine
sull’assassinio del padre, e così via. A questo punto Sciascia arriva ad
apprezzare anche quello che definiamo il giallo commerciale, e scopre che “assume
la realtà quotidiana del delinquente che misteriosamente opera e della società
che da esso si difende” e che la tecnica specifica del romanzo poliziesco è la
“centrifugazione della realtà”. Magnifica
intuizione, perché è vero che il giallo comprime in un romanzo quello che,
nella nostra vita quotidiana è generalmente diluito in tempi lunghi. Così
facendo, però, ci costringe e prendere contatto col male. E qui Sciascia arriva
pensare che, in fondo, quella dimensione un po’ gratuita dell’eccesso di delittuosità
della realtà del poliziesco sia qualcosa che, in altri tempi, “si manifestava
con il sentimento del sacro”. Un’altra fantastica intuizione: pensare che la
proliferazione del racconto giallo altro non sia che la sostituzione del racconto
mitico, della tragedia greca, del confronto con il destino mortale che accompagna
la coscienza dell’uomo dalle origini del pensiero simbolico ad oggi.
Non posso qui riassumere tutte le
intuizioni di Sciascia, ma val la pena arrivare alla sua lettura di Simenon e
del metodo di Maigret che, per Sciascia, è “un uomo che si affida alla
conoscenza del cuore umano e alle istantanee intuizioni”, e che coglie
“nell’esitazione di un gesto e nell’arredamento di una stanza più verità che
nelle impronte digitali e nelle perizie balistiche”.
Un’osservazione che ci porta a un altro libro che di giallo
parla, sia pure con altra prospettiva. E’ La
versione di Fenoglio, di Gianrico Carofiglio che è, sì, una serie di casi
gialli; ma anche una riflessione sui metodi di indagine e sugli strumenti
analitici che hanno gli investigatori. Carofiglio li mette in bocca al suo
maresciallo, e i casi che si susseguono, assieme alla vicenda del rapporto che
il maresciallo instaura con un giovane, rendono particolarmente accattivante la
lettura. Ma quel che voglio sottolineare qui è che anche il maresciallo
Fenoglio, come Maigret, indaga più con la riflessione psicologica che con la
tecnologia. “Le indagini ben fatte devono
contenere sbavature: sono sinonimo di genuinità”, dice. Si deve procedere
per aggiustamenti progressivi. Ed è un errore, trovato un sospetto, passare
subito alle conclusioni. Anche perché, se ci si fissa su uno schema, questo può
produrre una cecità selettiva:
un’illusione logica. Le indagini non sono procedure lineari, perché tutti, in
qualche modo mentono, anche quando credono di essere sinceri. E non esiste un
trucco magico che consenta di smascherare le bugie. Quello più originale può
essere quello di ripercorrere una testimonianza a ritroso, partendo dalla fine:
difficile non contraddirsi, se si sta mentendo.
Ricalcando Poe, Fenoglio spiega che
alle volte un’indagine coglie nel segno perché, invece di cercare indizi, ne
scopre uno mancante. Fedele alla logica della ricerca scientifica, Fenoglio
ritiene che per provare davvero una congettura si debba sforzarsi di demolirla;
e che solo se resiste al tentativo di falsificarla è davvero utile a spiegare
ciò che è accaduto. E che l’importante
non è avere certezze, ma dubbi. Non credo di esagerare se dico che riflettere
sulle indagini è come riflettere sulla vita. Su come dovremmo confrontarci con
il nostro vissuto, con i nostri fallimenti, con la nostra visione del mondo.
Tutte prospettive che dovrebbero passare al vaglio di un tentativo di
demolizione; alla ricerca di un pezzo di verosimiglianza.
(da L'IMMAGINAZIONE)
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