PAROLE PESANTI E OPINIONI LEGGERE
“Le parole sono importanti”,
protestava Nanni Moretti di fronte alla vaghezza espressiva di giovani della
penultima generazione. Lo sono ancora.
E’ successo, poco tempo fa, che un capo politico, in una dichiarazione
pubblica, si sia espresso così: “dirò ai miei deputati e ai miei senatori di
fare…”. Quell’uomo non stava parlando dei suoi compagni di partito. Voleva affermare
esattamente quello che ha detto, e cioè di esser il proprietario di uno schieramento parlamentare, che per lui evidentemente
non era fatto di esseri pensanti ma di suoi famigli, suoi scherani. Un capo,
che dà ordini a un esercito uso a obbedir tacendo.
Al di là del partito politico in
oggetto, del fatto che affermazioni del genere non suscitano nessuna reazione,
né di stupore né di indignazione, e questo già preoccupa, credo che quella
espressione, per isolata che sia (ma non lo è), abbia un significato che va al
di là della brutalità ormai consueta del gergo politico attuale. Mi pare tocchi
un paio di problemi, culturali, che
sono stati, sì, oggetto di dibattito, ma in modo, a me pare, confuso e un po’
superficiale.
Uno è quello sull’opportunità di definire
o meno chi fa politica oggi fascista.
Seri studiosi si sono impegnati a ricordarci che per fascismo si intende un
modo di gestire la cosa pubblica, con la deriva sociale, economica e culturale
che, a suo tempo, ne è conseguita. E naturalmente, vista l’obiettività di
questa osservazione, dobbiamo ammettere che nessun movimento politico, oggi,
potrebbe essere definito fascista. Però ci si è fatti beffe anche di uno
scritto sul fascismo di Umberto Eco dove, come spesso faceva, parlava con lieve
divertimento di cose serissime, e dove sosteneva esservi una matrice fascista
che si può riscontrare nei comportamenti umani, che stava alla base dei valori
del fascismo mussoliniano. Dunque, c’è anche qui un problema di uso del
linguaggio. Se diamo del fascista a chi, essendo un conservatore un po’
arrogante , bellicoso e poco incline a riconoscere il valore del
parlamentarismo democratico, esageriamo? Per non essere imprecisi dovremmo –
come suggerisce qualcuno – parlare di postfascismo,
o neofascismo? Oppure bisogna
ricordare che è da quel tipo di valori che il fascismo ha avuto origine?
A me pare che, in questo caso, non ci
si debba perdere nel nominalismo. E’ bene definire fascista chi aborrisce le
istituzioni democratiche e tradisce una vocazione autoritaria. Se non lo si fa,
si finisce per accettare che la sua cultura politica abbia un valore
accettabile per tutti. Se no, rischiamo di dimenticarci che i parlamentari non
sono proprietà di un capo, ma rappresentano, ognuno per sua responsabilità
personale, i propri elettori e quindi la
nazione.
C’è un altro termine che, negli
ultimi anni, è diventato oggetto continuo di polemica e di aggregazione
ideologica: è il rifiuto nei confronti delle élites. Anche qui l’uso della parole è discutibile, ma soprattutto
impreciso. Con chi se la prendono i movimenti e i loro capi che ricordano in
continuazione che le élites hanno
rovinato il paese? Molto difficile capirlo, tanto che sembra trattarsi
fondamentalmente di puro strumento di
propaganda: si inventa un nemico, ancorché inesistente, gli si dà un nome che
suona plausibile e si va all’attacco. Penso che sia importante riflettere su
questo, che è ancora una volta un problema culturale, perché tutti i movimenti
autoritari hanno costruito la loro fortuna inventando nemici immaginari, dando
loro la parvenza di un’entità segreta e pericolosa che lavora nell’ombra contro
gli interessi di un popolo. Dai tempi dei Protocolli
dei savi di Sion, il meccanismo è stato usato ripetutamente, e con
efficacia. Tempo fa un leader politico continuava a chiamare i suo i elettori a
combattere il pericolo comunista, mentre i comunisti erano spariti dalla scena
politica italiana ed europea da un pezzo. Oggi il pericolo sono le élites. Ma quali? Le élites economiche, finanziarie, quelle politiche (cioè gli stessi
che ne stigmatizzano l’esistenza ), le élites
intellettuali (ormai senza potere), i giornalisti (mentre i lettori dei
giornali stanno sparendo) o quelle degli apparati della comunicazione
digitale?
Penso che dietro questa fantasiosa costruzione
propagandistica ci sia qualcosa di pericoloso, e cioè l’idea di mettere in
guardia gli elettori nei confronti di chi, avendo competenze, può imporre loro
qualcosa di spiacevole. Un economista che spiega che, se non si pagano le tasse,
non si hanno più servizi; un medico che dice che, senza vaccini, c’è il
pericolo di epidemie; un intellettuale che dice che, se la collettività non
studia, non legge, non si informa non è consapevole.
Ecco, qui il vero problema culturale.
Un’onda emotiva che dice che chi più sa più ti danneggia. Ecco perché le élites fanno paura. C’è il rischio che
dicano la verità.
(Da l'Immaginazione)
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