Sono in ritardo, terribilmente in ritardo.
Credevo che fosse tempo di superare il bicameralismo,
e non mi ero accorto invece che è il senato
che ci ha salvati finora dall’avvento di una dittatura.
Poiché se ne parla
da anni, mi ero illuso che ci fosse una convergenza di opinioni
sull’opportunità di superare il bicameralismo, in Italia. C’è stata invece una
levata di scudi di fronte al progetto di riforma costituzionale che prevede un
senato di soli 100 membri, non elettivo, con un ruolo limitato e soprattutto
senza il potere di dare o togliere la fiducia al governo. Certo, a me era parsa
una riforma timida: mi sarebbe parso molto più sensato eliminarlo
definitivamente, il senato, limitandosi a chiamare qualche rappresentante di
comuni e regioni ad eleggere il Capo dello stato e le altre cariche di
rilevanza nazionale.
Invece vari
commentatori, e soprattutto Eugenio Scalfari, mi hanno fatto capire che sarebbe
un errore. In particolare il 19 luglio, nella sua “omelia” domenicale su
Repubblica, Scalfari ci ha ricordato che il senato ha un essenziale ruolo di
garanzia e di contrappeso alle altre istituzioni dello stato, e soprattutto che,
nel novembre del 2011, se non ci fosse stato il voto contrario del senato, non
saremmo mai riusciti a liberarci di Berlusconi.
Il giorno dopo
Scalfari ha dovuto rettificare, ricordando che non è stato il senato, ma la
camera a sfiduciare nel 2011 Berlusconi. Niente di male: una piccola svista,
onestamente e tempestivamente corretta dal Nostro. Si potrebbe persino
argomentare che l’importante non è quale sia stato, dei due rami del parlamento,
a sfiduciare il governo, ma che i due rami abbiano ruoli, meccanismi elettivi ed
età eleggibile diversi, e quindi svolgano l’uno il ruolo del controllore di ciò
che fa l’altro. Il fatto è che Berlusconi era altrettanto forte nelle due
camere, ed è stato il venir meno dei voti della Lega, e non il ruolo di
contropotere del senato a farlo cadere.
Se questo è vero,
tutta l’argomentazione perde senso. Anche se, per il lettore che non ricordasse
il meccanismo argomentativo, la precisazione del giorno dopo non modificherebbe
quanto letto il giorno prima, a me sembra che Scalfari avrebbe dovuto ricordare
che questo dettaglio cambiava qualcosa. Anzi, cambiava tutto, poiché l’argomentazione sull’essenziale ruolo del
senato nella difesa della democrazia in Italia sembrava reggersi proprio
sull’occasione nella quale aveva sollevato il paese dal pesante giogo
berlusconiano. Il che non è.
A me pare che
l’occasione meriti una riflessione. Perché da più (ed eterogenee) parti si
sostiene che l’eliminazione del senato metterebbe in pericolo la sopravvivenza
della democrazia? Forse che il bicameralismo ci ha salvato, negli ultimi
vent’anni, dall’esistenza di un drammatico conflitto di interessi, dall’abnorme
concentrazione di potere editoriale nelle mani del presidente del consiglio (tutte le televisioni generaliste e
alcune importanti testate nazionali sono state sotto il controllo di Berlusconi
per due decenni, e in buona parte lo sono ancora), dal varo di una legge
elettorale che gli stessi estensori definivano “una porcata”, per non citare
che le più clamorose violazioni delle più elementari norme della vita
democratica del paese. Cosa faceva l’indispensabile senato, mentre il paese
andava a picco e ci rendevamo ridicoli davanti al mondo intero? Niente, perché
era una fotocopia della camera dei deputati, e lo sarebbe di nuovo se
passassero le obiezioni di Scalfari, della sinistra Dem, di variegate parti della
destra e di altri partitini assortiti.
C’è qualcosa invece
che non sarebbe accaduto, se nella storia repubblicana non fosse esistito il
senato. Per esempio, il palleggio tra le due camere di ogni legge che ledesse
qualche interesse personale o di categoria che un sia pur piccolo spicchio
parlamentare rappresentava. O l’infinito rimpinzarsi, nel loro andirivieni, delle
leggi finanziarie (o come si vogliano chiamare) di emendamenti, aggiunte,
rifiniture destinate a premiare più o meno significativi interessi locali, di
parte, di corporazioni, di correnti di partito, di singoli parlamentari. Non
sarebbe accaduto, forse, che semplici interventi legislativi restassero lettera
morta, senza decreti attuativi, perché incontravano l’opposizione di minime
parti di una delle camere. O che il pletorico numero di parlamentari, i loro
uffici, i loro portaborse, l’enorme apparato burocratico che le due istituzioni
si sono date, il tutto condito con stipendi fuori misura, benefit strepitosi,
Tfr precoci, e pensioni e vitalizi di entità ingiustificate producessero una
giustificata ondata di rifiuto della politica, dei partiti e delle istituzioni,
e l’insorgere di movimenti di protesta che rendono difficile l’amministrazione
stessa della nazione.
Vogliamo aggiungere
che l’esistenza di quasi mille parlamentari – senza distinzione di
schieramento, purtroppo – rappresenta uno stimolo allo sviluppo della
propensione italiana al clientelismo, alla raccomandazione, al nepotismo, alla
tendenza di trovare il modo di farla franca malgrado accertate responsabilità e
quindi, per dirla tutta, un sostegno per la tendenza all’illegalità di massa
che rende così difficile organizzare l’Italia come un paese moderno.
Un’ultima cosa: si
dice che un senato non eletto direttamente dai cittadini ma nominato dagli enti
locali sarebbe vittima della corruzione e dell’inefficienza che caratterizza
comuni e regioni. Curioso ragionamento. Forse che, quando votiamo per il
parlamento, siamo onesti e oculati, mentre quando votiamo per la regione siamo
corrotti e clientelari? Io temo che noi italiani votiamo sempre allo stesso
modo. E il fatto – se accade - che nelle nostre scelte politiche prevalgano
interessi personali invece che senso dello stato rispecchia purtroppo una
cultura (o incultura) diffusa, che caratterizza non solo il ceto politico, ma
l’intera società civile.
Ritornando alla
domanda posta prima: perché allora un così vasto schieramento cerca di bloccare
l’eliminazione del senato, visto che, così com’è, produce più guai che
vantaggi? Temo – ma forse sono troppo pessimista - che nei partiti ci siano
forti spinte a mantenere alto il numero dei parlamentari perché sono posti di
lavoro, tra gli eletti e il largo indotto, che aiutano la loro stessa
sopravvivenza. Temo anche che la nuova legge elettorale, assieme alla revisione
costituzionale, faccia sì che alcuni, nelle forze sopravvissute alla prima e
alla seconda repubblica, rimpiangano il meccanismo di alleanze e di
consociazioni che permetteva anche alle forze minori e all’opposizione di avere
un certo potere nel processo decisionale del parlamento. Temo infine che,
magari in buona fede, ci sia una vasta parte di opinione pubblica che ha
nostalgia di un ordine ormai tramontato e di un parlamento dove il dibattito era
sempre ampio, aperto e democratico, ma dove nessuna forza politica aveva la
forza di imporre nessun vero cambiamento, senza sottostare a piccoli e grandi
ricatti delle altre.
Per concludere, può
darsi che qualche rischio, ad eliminare il senato, lo si corra, non lo nego.
Anche se ad ogni riforma sbagliata si può porre rimedio. Ma a me pare che il
rischio più grave, in Italia, sia quello di continuare a non cambiare niente, e
di farsi fermare dai distinguo e dagli allarmismi di una classe politica che
non è riuscita a eliminare una sola delle storture che affliggono il paese. E
non c’è niente di peggio di chi viaggia sempre con la testa rivolta all’indietro.
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