Tra tecno entusiasti e tardoumanisti
Ma cos’è la disintermediazione? “L’eliminazione di intermediari dalla catena
distributiva di beni o servizi”, recita il dizionario. Dunque un fenomeno di
eliminazione di passaggi intermedi tra chi produce e chi consuma. Il fatto che
oggi si usi spesso il termine a proposito dei nuovi media, però, non ha a che
fare solo con merci, musica, video e giochi, ma anche con informazioni, idee e
giudizi. Con la conoscenza, il sapere, in parole povere. E che, con l’uso del
web, si possa comprare proficuamente tutto senza mediatori è vero; ma se
parliamo di conoscenza? Della disintermediazione negli scambi culturali si
discute e si sa poco; ed è quindi particolarmente prezioso l’ultimo libro di
Giorgio Zanchini, Leggere, cosa e come,
sottotitolo: Il giornalismo e l’informazione
culturale nell’era della rete, Donzelli editore, che a questo problema è
dedicato.
Anticipiamo che, dopo una accurata
descrizione, ricchissima di dati, di come avvengono oggi gli scambi culturali,
Zanchini conclude che non abbiamo né il tempo né la preparazione per leggere tutto
quanto la rete ci propone, e che quindi di mediazione c’è ancora bisogno. E che
“i nostri saperi sono troppo incerti per affrontare da soli (…) l’oceano di
impulsi, informazioni, opinioni che la rete ci squaderna davanti”. Aggiunge
però che i meccanismi stessi della rete hanno messo in discussione i mediatori
tradizionali: giornalisti, intellettuali, critici. E che nuove forme di
intermediazione si sovrappongono a quelle tradizionali, per le quali gli onnivori, i consumatori indefessi del
web, hanno sospetto se non vero e proprio rifiuto. La crisi di credibilità dei
mediatori culturali tradizionali è certo in parte giustificata. La società
letteraria che domina i supplementi culturali della carta stampata è un mondo
spesso elitario, autoriferito, viziato da condizionamenti interni, che parla a
una platea ristretta. In rete, invece, proliferano blog di critica letteraria,
di gruppi di lettura, di giudizi spontanei. Quello che una volta passava
attraverso il passaparola verbale oggi passa attraverso i luoghi deputati in
rete, i “media partecipativi”. E questo ha anche ridotto il principio di
autorità, rivoluzionato i criteri del giudizio, erodendo la separazione tra
alto e basso, cancellando i confini tra impegno ed evasione.
Chi sono, dunque, i nuovi mediatori?
Il pubblico,la collettività, i consumatori, dirà chi è convinto delle
caratteristiche di indiscussa democraticità della rete. Sono Google, Amazon,
Facebook e Microsoft, ma soprattutto il mercato, dirà invece chi, come Asor
Rosa, è convinto che questo sia il tramonto della modernità. E il rifiuto della
mediazione produrrà una cultura più libera e più diffusa, una nuova
intelligenza collettiva, o favorirà la nascita di una generazione di
semianalfabeti, sempre connessi ma titolari di un sapere sconnesso, che non
sanno leggere un libro ma, poiché passano ore davanti ai dispositivi
elettronici, sono convinti di essere bene informati sul mondo in cui vivono?
Cinquantadue anni fa Umberto Eco,
affrontando il dibattito aperto dallo sviluppo della cultura di massa, ha
coniato la definizione di apocalittici e integrati per identificare chi di
quella rivoluzione era un sostenitore acritico e chi la riteneva un fattore di
drammatico declino. E sosteneva che solo chi studia con serietà i fenomeni della comunicazione può descriverne la
qualità, perché ogni novità comporta cambiamenti, anche negativi, ma non può
essere né rifiutata né arrestata. Zanchini riparametra a oggi quella divisione
e parla di “tecnoentusiasti” e “tardoumanisti”, due categorie altrettanto
estremizzanti e poco utili a definire il cambiamento in atto, che finiscono per
accentuare la separazione storica tra consumatori e professionisti della
cultura.
Sarebbe bello e auspicabile che quei
due mondi si integrassero, ma la sensazione è che, invece, si guardino “con
sospetto, contrapposta altezzosità o disinteresse”.
Innegabile, in definitiva, che la
rete sia anche uno spazio di riappropriazione dei contenuti da parte dei
fruitori, un’occasione per recuperare autonomia di giudizio e capacità di
analisi. Ma vero anche che bisogna essere in grado di verificare le fonti,
distinguere le semplici opinioni dalle analisi ragionate. E che, se i lettori
oggi non sono più soltanto passivi, la conoscenza, la competenza, lo studio, la
passione di chi sui testi ha lavorato non per questo sono diventati inutili, né
la funzione critica può essere considerata soltanto l’elitaria pretesa di
imporre un sapere oligarchico. “Il mediatore resta a mio avviso una figura
decisiva per un’appropriazione controllata delle forme culturali altrui”,
conclude Zanchini, ricordando che “C’è un briciolo di umiltà nell’affidarsi ai
mediatori”. E, aggiungo io, un briciolo di arroganza nel rifiutarli in blocco.
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