MARKARIS: GUARDARE
ALLA GRECIA PER CAPIRE L’ITALIA
La
caratteristica più originale dell’attempato commissario ateniese Costas
Xarìtos, il protagonista dei romanzi di Petros Markaris, è di essere un uomo
del Novecento, e di non avere né interessi né informazioni culturali. L’unica lettura di cui si diletti
è quella dei dizionari. Ne possiede alcuni e la sera, prima di dormire, si
diletta ad aprirne uno e a leggere la definizione di una parola che non conosce.
Da queste letture il commissario a volte trae ispirazione per cogliere
l’elemento che gli permette di risolvere un caso. Ricordo un romanzo in cui
Xarìtos si imbatte nel termine “ossimoro”, ne studia il significato, e
improvvisamente capisce che, nell’indagine che sta compiendo, c’è la
compresenza contraddittoria di alcuni
elementi, un ossimoro appunto, che però spiega tutto.
In L’assassinio
di un immortale, raccolta di racconti pubblicata dalla Nave di Teseo,
troviamo storie diverse, ambientazioni disparate, intrecci complessi, con sullo
sfondo i grandi problemi dei conflitti storici tra i popoli e la terribile
crisi greca. Solo due dei racconti hanno come protagonista Xarìtos, ma sono di
grande efficacia. Anche perché il commissario si trova a dover indagare in
mondi per lui ignoti, la società letteraria e il mondo del cinema, e Markaris si
diverte a farci capire quanto possano essere grotteschi i vizi e le mediocri
ambizioni di chi vive nella speranza del successo intellettuale.
In un racconto,
l’assassino se la prende con i candidati
all’Accademia greca, gli immortali, e Xarìtos si trova di fronte a un cadavere
a lui sconosciuto. Il suo assistente gli dice trattarsi di un famoso scrittore
e lui chiede come l’ha scoperto: “Su Wikipedia”, risponde arguto il giovane.
“Se gli chiedo informazioni su cosa sia Wikipedia rischio di giocarmi tutta la
mia autorevolezza”, dice tra sé Xarìtos.
Le vittime, come
i sospettati dei delitti, sono scrittori affermati ma, scavando nelle loro
vite, la polizia trova solo presunzione e arroganza, e dietro un’apparente
bonomia, gelosie e violenti risentimenti. Delizioso il ritratto del romanziere pieno
di sé, che scrive a penna nei caffè, dove ha un tavolo riservato e i camerieri
lo conoscono e sanno i suoi gusti; esilarante l’autore che gira con un
cappellaccio in casa, e disprezza tutti i colleghi; un cammeo quello
dell’editrice, che definisce i candidati all’Accademia degni di Harmony. Qui
Xarìtos finalmente è a suo agio, perché sua moglie gli Harmony li divora, e si
sente preparato.
Non va molto
meglio nel mondo del cinema, perché anche qui i protagonisti si credono dei
padreterni, ma il mercato greco è modesto e tutto si risolve in produzioni
sostenute dallo stato, che poco incassano al botteghino. Ma quando un regista ha il sostegno del Centro
cinematografico greco, tratta i collaboratori come servitori, spadroneggia e non
accetta suggerimenti da nessuno. Che qualcuno finisca per ammazzarlo a colpi di
travertino non stupisce nessuno.
C’è, in questi
racconti di Markaris, l’ironia di chi gli intellettuali li conosce bene. Sa
quanto possano gonfiarsi di autostima e chiudersi in se stessi, e non abbiano
il senso dei limiti del proprio valore. Il confronto con il semplice e
intuitivo commissario è amaro e induce a poco entusiasmanti paragoni con il
nostro paese.
La propensione
dell’intellighentsia a organizzarsi
in circoli che hanno la funzione di promuovere solo chi ne fa parte, escludendo
dalle preziose collaborazioni – al cinema, alle riviste, ai mezzi di comunicazione - chi non è
funzionale alla conventicola, è una delle caratteristiche più deprimenti del
mondo della cultura italiana. Pochi gli scambi tra autori, difficile che ci sia
rispetto e interesse per il lavoro e le idee di chi non fa parte del “giro”
giusto. Raro che si dimostri interesse per autori emergenti. E, ancora, divaricaz[UW1] ione
per i legami con le forze politiche, i gruppi editoriali, le alleanze che
determinano la distribuzione dei premi più prestigiosi e persino le diverse
provenienze regionali.
Markaris si
limita a descrivere una società culturale molto simile alla nostra: autoriferita,
provinciale e senza consapevolezza né del proprio valore né dei propri compiti.
Il senso ultimo di quel disegno è che chi ha il privilegio di avere un ruolo
tra chi può trasmettere idee, narrazioni, fascinazioni letterarie e visuali, semplicemente non ha il senso ultimo
di quello che è il lavoro più interessante che un uomo possa compiere.
Non è un caso
che uno dei protagonisti di Markaris concluda: “Chi, in questo paese, prova ad
avere successo senza raccomandazioni e maneggi è un potenziale assassino”. Un
po’ esagerato, per l’Italia; ma lo schema è
quello. Pure, sarebbe bello se gli intellettuali fossero meno
individualisti e avessero interesse per il mondo che li circonda. Ma forse è
difficile porre rimedio.
Da "L'Immaginazione", settembre 2016
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