Perché il latino? Perché è inutile!
“Chiamare morta una lingua scritta non più parlata è negare i
poteri della letteratura, (…) è come dar fuoco agli Uffizi”. Chi arriva alle
conclusioni di Viva il latino, di
Nicola Gardini, sottotitolo Storie e
bellezza di una lingua inutile, Garzanti editore, trova questa che, più che
una conclusione, è un’ invettiva. Giustificatissima, a mio avviso, soprattutto
dopo aver letto il testo che, a partire dall’analisi dell’incidenza del latino
sull’italiano, passando per una ricognizione dei maggiori autori del nostro
passato ci porta fino al latino medievale e alla (facilissima!) Vulgata di Gerolamo. Gardini spiega, assieme all’analisi della
lingua di Cicerone, Cesare, Tacito e Tito Livio e alla poesia di Virgilio,
Orazio, Ovidio e Lucrezio, per non citare che i maggiori, come il latino si sia
evoluto, come sia arrivato alla perfezione ciceroniana pur mantenendo in autori
come Sallustio una sua vitale duttilità, trasformandosi da una penna all’altra
e seguendo la personalità degli scrittori.
Ripercorrere con Gardini le metafore
virgiliane è un piacere che la scuola non ci aveva dato; rileggere con una
guida così acuta l’Eneide ci rivela
dettagli sintattici che non avevamo nemmeno notato; ricordare come Tacito sia
allusivo, ometta verbi e congiunzioni costringendoci al tumulto della sua
narrazione ce lo rende vivissimo (e ci ricorda alcuni incubi da versione in
classe); tornare a “Tityre, tu patulae…” dà un senso di struggente nostalgia
per qualcosa che è impossibile dimenticare. Ma è affascinante anche rileggere
Lucrezio alla luce di un’analisi filosofica che al liceo non ci avevano
illustrato, e Seneca, la sua distillazione di saggezza che vede al centro del
mondo l’uomo e la sua natura spirituale. Una visione di sintesi che ci riporta
a un mondo che ha saputo produrre più consapevolezza di quella che oggi
abbiamo, di fronte alla caducità della vita e al modesto ruolo dell’uomo di
fronte all’immensità della natura.
Ripercorrendo i grandi del passato
Gardini scrive anche, a tratti, un’autobiografia letteraria che ce lo presenta,
fin dalle medie, incoercibilmente votato al culto del latino. “Senza latino non
sarei chi sono”, dice; e vien fatto di pensare che, anche se non abbiamo
dedicato la nostra vita alla latinità, forse l’affermazione ci riguarda tutti.
Perché da lì viene tutto quello che diciamo tutti i giorni; perché anche il
francese, lo spagnolo, il rumeno sono lingue romanze; perché quando ci vortica in capo l’etimologia delle parole di uso quotidiano, “una
parola italiana vale almeno il doppio”.
Gardini ci ricorda che il latino che
impariamo a scuola è il latino letterario,una lingua artificiale, non quella
che veniva parlata, e che nessuna lingua letteraria è mai stata parlata;
esattamente come l’italiano di Manzoni non era certo quello che si parlava a
Milano nell’Ottocento. Ma non per questo può essere considerata né morta né
inutile. Ci ricorda anche che l’imponente mole di testi che ci arrivano dalla
latinità non sono che una minima parte di quello che quella cultura ha prodotto.
Ragionamento che ci ricorda che una lingua ha vita se ha una cultura
ascendente, se ha una letteratura dietro di sé; e che la letteratura latina non
solo esiste, ma ha lasciato una segno indelebile sulla letteratura italiana.
Non ci sarebbero Dante, Machiavelli, ma anche Leopardi e Montale, senza le
letteratura latina che avevano alle spalle.
Resta, in conclusione, il tema del
sottotitolo. Lo studio del latino è utile o no? Le ragione usate abitualmente
per affermare l’utilità del latino, dice Gardini, sono banali e forse anche
controproducenti. Dire, come fanno gli “utilisti”, che il latino è formativo,
che insegna a ragionare, che impone disciplina intellettuale, che forma la
mente, è favorire gli “inutilisti”: sono qualità che si potrebbero attribuire
ad altre materie e ad altre lingue. Bisogna invece pensare che la progressiva
riduzione dello studio del latino è anche una riduzione dell’attenzione alla
nozione stessa di letteratura, che invece è la parte più significativa del
lascito della storia, quello che ci permette di sentire, con la freschezza
delle emozioni e dei ragionamenti di chi ha vissuto una volta, la nascita del
mondo in cui viviamo.
“Chi studia il latino, dice Gardini,
deve studiarlo perché è la lingua di una civiltà, perché nel latino si è
realizzata l’Europa”. E lì ci sono le basi della nostra identità. Ma il latino
è anche bello: versatile, duttile,
alle volte oscuro e retorico, ma pieno di stile, di storia, bello da capire, da
abitare. E’ casa nostra. E se siamo quello che siamo è perché c’è la latinità
alle nostre spalle, perché il Rinascimento è la riscoperta dell’antichità, e
senza lo studio e la consapevolezza di quello che è stato non possiamo nemmeno
vivere consapevolmente la modernità.
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