Rileggere Malraux oggi
“Manuel
prendeva coscienza che la guerra consiste nel fare l’impossibile perché dei
pezzi di ferro entrino nella carne viva”. La nuova, impeccabile traduzione fatta
da Giovanni Pacchiano di Speranza, di
Malraux, pubblicata da Bompiani, è un utile ripasso di un passaggio storico che
ha avuto molte versioni letterarie, quasi sempre però filtrate da una visione
eroico-agiografica che ne ha tradito la realtà, non sempre limpida.
Raccontare
la guerra di Spagna, vista dalla prospettiva delle brigate internazionali, vuol
dire, in gran parte, spiegare cosa succede quando chi combatte non è stato
addestrato a farlo e non è un soldato. Con i tratti di eroismo e di commovente
slancio ideale che caratterizzano chi è convinto di combattere una guerra
giusta, anche se spesso non capisce bene cosa accade; e con i momenti di
confusione, militare quanto ideologica, che caratterizzano un esercito
raccogliticcio, in parte composto da spagnoli, in parte da stranieri di varie
provenienze e varie fedi politiche, e in
parte anche da mercenari. “Chi comanda qui?”, chiede a un certo punto il
comandante Garcìa, un intellettuale, raffinato e ironico, prestato alla guerra
civile; “Chi vuole che comandi?.. Tutti… Nessuno…” gli viene risposto. E al
capitano Hernàndez, uno dei pochi militari di carriera, che osserva che una
barricata è troppo bassa, viene chiesto chi è; “Non sei della CNT [i comunisti
stalinisti]. Allora, cosa c’entri con la mia barricata?”.
Ma
la guerra è violenza e morte, e Malraux la descrive con una prosa tumultuosa, a
partire dai convulsi dialoghi telefonici iniziali, in cui le voci dei
falangisti si incrociano paradossalmente con quelle dei miliziani, per arrivare
ad alcuni tra gli scontri più duri, all’assalto con armi inadatte ai carri
armati tedeschi, ai duelli aerei con gli apparecchi italiani, superiori per numero
e potenza allo scombinato stormo dei “pellicani”, gli aeroplani rappezzati alla
meglio comandati da Magnin, l’alter ego di Malraux.
Ma
questo “esercizio dell’apocalisse”, che è la spina dorsale del libro, non
richiede riflessioni, perché le battaglie, per chi non sia un esperto, sono la
cosa più difficile da commentare, mentre è la prosa tambureggiante con cui è
descritto che cattura e coinvolge. Mentre insieme ai combattimenti ci sono gli
scontri politici, le gelosia tra le componenti delle milizie, l’autorità dei
commissari politici comunisti e l’inafferrabile indisciplina degli anarchici.
Perché quella di Spagna è insieme guerra e rivoluzione, e contiene durezza
militare e slanci ideali. “Barcellona era incinta di tutti i sogni della sua
vita”. In un clima decisamente anticlericale, in contrapposizione al
clericalismo dei fascisti, ci si propone di permettere di decorare i muri come
una volta si decoravano le cattedrali. “C’è più fratellanza qui, per strada,
che in qualsivoglia cattedrale dall’altra parte”. E il conflitto tra comunisti
e anarchici è sempre aperto: “Un tempo, i nostri erano disciplinati perché
comunisti. Adesso molti diventano comunisti perché sono disciplinati”. Sullo
sfondo, la consapevolezza che si tratta di una guerra che è quasi impossibile
vincere, ma che si tratta innanzitutto di una battaglia di libertà, e che chi
la vive si trova in una situazione di sospensione, come se il tempo di fosse
fermato, perché non c’è altro che quel conflitto, quell’ideale; e la vita
quotidiana, con le sue gioie e il suo tedio, è sospesa fino a nuovo ordine. “La
rivoluzione è una vacanza dalla vita”.
Pure,
questi uomini, che sanno di rischiare moltissimo, vivono momenti di poesia, di
riflessione e di confronto, pur rendendosi conto che la guerra è sempre
tragica, e non permette mai di essere a proprio agio, di vivere
spensieratamente. Manuel, musicista, trovandosi in una chiesa si mette
all’organo e suona il Kyrie di Pierluigi da Palestrina. Ma poi si dice che non
può più suonare. “Credo che per me, col combattimento, sia iniziata un’altra
vita; quanto quella che è cominciata quando per la prima volta sono andato a
letto con una donna. La guerra rende casti”.
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