COME SBAGLIARE OBIETTIVO
E FARE POLEMICHE PRETESTUOSE
Buffo che siano proprio quelli che
rimpiangono una scuola dove si insegnavano per bene materie come la storia a
dimenticare che ogni pensiero, ogni testo e ogni personaggio vadano inquadrati
nel periodo in cui sono nati. E’ accaduto a Lorenzo Tomasin, illustre filologo
che, sul Domenicale del Sole del 26/2,
ha spiegato come il disastro della scuola odierna sia figlio di don Milani e
della Lettera a una professoressa. Don Milani e la Lettera avrebbero avuto l’effetto di abolire la storia antica, i
classici, il diritto di bocciare. E, cosa ancor più grave, avrebbero esposto al
pubblico ludibrio, con manifesto odio di classe, la professoressa, dipinta come
privilegiata, fintamente progressista, strapagata e dedita a lussuose vacanze.
La settimana dopo Carlo Ossola e Franco Lorenzoni gli hanno risposto dalle
pagine dello stesso giornale. Non ci sarebbe altro da aggiungere alle loro
intelligenti, pacate e acute note. Quel che è curioso è che Tomasin si è affrettato
a replicare, in un riquadro, insistendo a vedere nel tono della Lettera
“un’allarmante continuità nella pervicace tendenza italiana a fare del
risentimento e del rancore la base d’ogni rivendicazione”. Insomma, secondo
Tomasin anche oggi ci si scaglia contro le professoresse con feroce odio di classe.
Ma dove? Nelle sonnacchiose assemblee delle rituali occupazioni scolastiche?
Forse ha pensato alla faccia di Landini in un talk show; ma non mi risulta che
Landini si occupi di scuola, e il rituale delle trasmissioni di dibattito
politico mi paiono tutto fuorché grondanti sentimenti di classe.
C’è qualcosa che non va. Se ci
riferiamo alla scuola, alla società, agli equilibri economici di oggi, anch’io,
come molti altri, sto dalla parte delle professoresse; almeno di quelle che il
loro lavoro lo fanno con dedizione ed entusiasmo. Ma alla metà degli anni
Sessanta, le cose erano molto diverse. Tomasin lo sa che bocciare un ragazzo
che veniva da una famiglia di analfabeti, e doveva lavorare nei campi prima di
andare a scuola, voleva dire impedirgli di diventare un cittadino a pieno
diritto? E lo sa che nel ’67 solo il 3% dei ragazzi che frequentava il liceo poteva
iscriversi all’università? Si direbbe di no, e la sua giovane età lo spiega. Ma
non excusat. Non si fanno polemiche
giornalistiche, non si aprono facili revisioni del passato senza inquadrarle
storicamente.
Sembra che Tomasin non ricordi
nemmeno che da qualche anno a questa parte, ministra Moratti juvante, si è voluto dare alla scuola lo
statuto dell’impresa. Che questo ha imposto agli istituti scolastici di cercare
gli allievi - pardon, gli utenti - promettendo facili promozioni e uno studio
poco faticoso. Che sono gli studenti e i loro famigliari che ricorrono al Tar a
ogni bocciatura e che i dirigenti scolastici questi incidenti cercano di evitarli
come possono. Se questa è la scuola di oggi sarà anche in minima parte colpa
del ’68 e di don Milani; ma è soprattutto colpa del lassismo che ha dominato la
scena culturale italiana dagli anni ’80 in poi; dalla decadenza del valore
della conoscenza e della formazione morale dei cittadini. Questo don Milani non
l’avrebbe mai voluto.
Consiglierei invece a Tomasin la
lettura di un interessante libro, Scuola
di classe, di Roberto Contessi, Laterza, dove si dimostra con cifre
inoppugnabili che, non certo per colpa di don Milani, la scuola di oggi è
classista quanto quella degli anni ’60. Solo che nessuno, e in primis gli studenti, si sogna di
contestarlo. Perché una scuola che promuova facilmente va bene a tutti, anche
se in questo modo lascia inalterati i vantaggi di chi viene da ceti
privilegiati, o è più dotato per natura. Una scuola seria dovrebbe farsi carico
proprio di chi è meno dotato allo studio, indipendentemente dai motivi; anzi,
dovrebbe essere lo strumento di crescita e di sviluppo intellettuale soprattutto
per chi non proviene da famiglie di buona cultura. Come sosteneva la Lettera, e come non è successo.
Se oggi possiamo dire che il progetto
di Barbiana è superato, arcaico, ribellista, è perché don Milani, e chi l’ha
ascoltato, ha rimosso alcuni degli ostacoli che impediscono la crescita civile
del Paese. Paradossalmente, io credo
che sia merito della Lettera se oggi
possiamo indignarci perché la scuola non funziona. Il problema, casomai, è che
non ci indigniamo abbastanza; che le proteste degli insegnanti sembrano
corporative, che gli studenti non contestano una scuola che non li aiuta a
conquistare un’autentica maturità intellettuale.
Sarebbe stato meglio se le scuole
avessero mantenuto la capacità di premiare i migliori, di stimolare i meno
dotati, e non fossero diventate aziendine. Ma nessuno può rimpiangere la scuola
che bocciava i ragazzi di Barbiana perché non erano all’altezza di programmi
difesi da professoresse un po’ distratte.
(Da "l'Immaginazione", n. 299, 5-6/2017)
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