IL ClASSICO E' UTILISSIMO
PERCHE' NON SERVE A NIENTE
Venerdì 13 gennaio, nell’indifferenza
generale, 388 istituti italiani hanno celebrato la terza edizione della Notte nazionale del liceo classico. Per
quel che ho potuto vedere, ne hanno parlato pochi articoli sui quotidiani e un
isolato servizio, senza immagini, del Tg2. Eppure la Notte è un evento importante, perché negli ultimi anni il classico
ha conosciuto una grave crisi di iscrizioni, e da tempo si parla di riformarlo,
se non di chiuderlo; ma anche perché è l’occasione in cui i licei mettono in
scena rappresentazioni, mostre, concerti, si aprono alla cittadinanza, e
studenti e docenti sono disponibili a dialogare con i cittadini per spiegare
cosa succede dentro i loro istituti.
I problemi che incontra la
sopravvivenza del classico sono
legati alla presenza significativa, nei programmi, del latino e del greco, e lo
scarso peso delle discipline scientifiche. Ma è forte anche la diffidenza per
una scuola che – si dice - rappresenta un relitto del passato perché non
prepara al lavoro, ha un connotato di classe, non è orientata alle nuove
tecnologie e alla sfida della comunicazione digitale. Insomma, un’istituzione
del giurassico, frequentata da dinosauri, un mondo in via di estinzione.
Personalmente, ho avuto occasione di
assistere alle iniziative mese in atto per la Notte dal liceo ”Vitruvio Pollione”, di Formia. Si è trattato di tredici
laboratori, organizzati e ideati dagli studenti, sia pure con il sostegno dei
professori. Una serie di rappresentazioni, scenette, tableaux vivants, discussioni, danze e musica di qualità e
originalità coinvolgenti, per non dire commoventi. Solo per citarne alcuni, ho assistito a una
messa in scena, in forma ridotta, del Mercante
di Venezia, recitato in un ottimo inglese, con una particolare attenzione
al personaggio di Shylock; a una zattera della Medusa con i naufraghi di oggi;
ho assistito all’abiura di Galileo davanti a due cardinali inquisitori; ho
visto Saffo rivendicare il suo modo di intendere l’amore; ho assistito a una ricostruzione del mito
della caverna, con gli attori incatenati che vedevano passare le ombre sulla
parete di fronte e un giovanissimo regista che spiegava il senso e l’attualità
del testo platonico, con particolare riferimento alla comunicazione di massa;
ho visto una serie di ricostruzioni sceniche delle opere di Leonardo (dama con
ermellino di peluche), Caravaggio (il bacchino: perfetto!), Dégas (la ballerina
che si allaccia le scarpette, delizioso) e così via, con la logica delle opere
che hanno segnato un punto di rottura nella storia dell’arte; ho visto Kant
dialogare con Cacciari sul problema dello straniero; ho sentito Dante lamentare
la condizione dell’esule; ho visto una serie di esperimenti di fisica che
mettevano in luce come quasi sempre le apparenze dei fenomeni siano
ingannevoli; e via dicendo, in un entusiasmante alternarsi di laboratori,
distribuiti in tante classi della scuola, affollate di genitori e cittadini che
facevano la fila per assistere alle rappresentazioni.
La Notte di Formia non è certo sufficiente a tacitare i comprensibili
dubbi di tanti sull’utilità della sopravvivenza del liceo classico; né a
superare i problemi che tutta la scuola, e non solo il classico, deve
affrontare da anni. Ma quello che ho visto io, e che molti avrebbero potuto
vedere, se i media si fossero interessati alla Notte, era la dimostrazione della vitalità e della utilità del classico.
Perché l’insieme delle attività dei
laboratori del liceo di Formia
rappresentavano uno straordinario esempio di come, attingendo alla letteratura
antica e moderna, ai miti della classicità, alla storia dell’arte e alle più
attuali teorie della fisica, ripercorrendo la storia del pensiero e quella dei
conflitti sociali sia possibile affrontare con capacità analitica la complessità
del presente.
Io credo che ogni paese abbia bisogno
di una classe dirigente degna di questo nome. Forse il classico è ancora una
scuola di élite, forse è vero che presenta difficoltà che non tutti possono
affrontare, ed è certamente vero che non prepara a un mestiere, non dà
competenze specialistiche, non è concentrato sulle nuove tecnologie. Ma,
rispetto a una volta, dedica più attenzione alle discipline scientifiche, alle
lingue moderne, alla sperimentazione e a una certa elasticità dei programmi. Non
forma a una professione, ma stimola le capacità di apprendimento, di analisi e
di visione critica che sono, quelle sì, le basi fondamentali per qualsiasi
ruolo sociale che preveda consapevolezza e creatività. Senza il classico, io
credo, le prossime generazioni perderebbero la possibilità di formare una
classe dirigente capace della spinta alla sfida della conoscenza e alla
curiosità necessaria ad essere protagonisti di un futuro difficile e complicato
come quello che abbiamo davanti.
(Da "l'Immaginazione, n. 298, 3-4/2017)
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